Cinema e lavoro – Quo vado?

Un film di Gennaro Nunziante (Italia, 2016)

Milano, 12.5.2022

Regia: Gennaro Nunziante – Sceneggiatura: Checco Zalone, Gennaro Nunziante – Fotografia: Vittorio Omodei Zorini – Montaggio: Pietro Morana – Musiche: Checco Zalone – Interpreti: Checco Zalone, Eleonora Giovanardi, Sonia Bergamasco, Maurizio Micheli, Ludovica Modugno, Ninni Bruschetta, Rufin Doh Zeyenouin, Paolo Pierobon, Azzurra Martino, Lino Banfi, Emanuel Dabone, Nicola Ciccariello, Federico Ielapi, Luciano Montrone, Fabio Casale, Gianni D’Addario, Giustina Buonomo, Giuseppe Ansaldi – Produzione: Taodue Film – Distribuzione: Medusa Film – Durata: 85 min.

La storia è narrata dal protagonista Checco (Checco Zalone), che dopo essere stato catturato da una tribù di indigeni africani, deve raccontare al capo del villaggio la sua storia e il motivo per cui si trova lì, in modo da convincerlo a fargli proseguire il suo viaggio. Checco è un ragazzo pugliese che nella vita ha raggiunto gli obiettivi che si era prefissato da bambino: a quasi 40 anni vive infatti quella che ha sempre ritenuto essere la sua esistenza ideale. Servito e riverito a casa dei genitori, così da evitare la costosa indipendenza, è eternamente fidanzato con una ragazza che, tuttavia, non ha alcuna intenzione di sposare per non incorrere nelle responsabilità del matrimonio.
Ma, soprattutto, ha realizzato il sogno che i suoi familiari gli hanno trasmesso fin da quando era piccolo: avere un posto fisso. Ma un giorno, quando il governo approva una riforma che decreta il taglio di parecchi dipendenti pubblici, la sua vita subisce un drastico cambiamento e molti lavoratori come Checco, vengono indotti a licenziarsi con una cospicua buona uscita. Queste cifre, però, non hanno alcuna presa di lui: Checco non rinuncerà mai al posto fisso, considerato sacro, e pur di mantenerlo accetta di essere trasferito. Per farlo dimettere, la spietata dottoressa Sironi (Sonia Bergamasco) lo spedisce in diverse località italiane a ricoprire i ruoli più improbabili e pericolosi, ma Checco resiste eroicamente a tutto. La Sironi esausta e infuriata, lo trasferisce al Polo Nord, in una base scientifica italiana col compito di difendere i ricercatori dall’attacco degli orsi polari. Proprio quando è sul punto di abbandonare il suo amato posto fisso, Checco conosce la ricercatrice Valeria (Eleonora Giovanardi) e s’innamora perdutamente di lei. Inizia così un’avventura fantastica nella quale Checco dovrà ambientarsi all’estrema civiltà tipica del nord, aprendo la sua piccola esistenza a orizzonti lontanissimi.

Una simpatica rappresentazione dell’italiano odierno alle prese, con i suoi pregi e difetti, con il tema del lavoro, la mobilità del posto e non solo.

LA CRITICA

Abolite le province, la mefistofelica dirigente ministeriale Sironi induce i dipendenti a dimettersi con allettanti buonuscite. Unico a rifiutare, Checco. Lei lo spedisce al Polo Nord affinché ceda. Lui si ambienta benissimo. Fin troppo. 4° film e nuovo centro del trio Valsecchi (produttore con Taodue, questa volta affiancata da Medusa), Nunziante (regista e cosceneggiatore), Luca Medici (alias Zalone, sceneggiatore e protagonista). Una commedia incentrata sulla satira dei vizi dell’italiano medio: il culto parassitario del “posto fisso”, il mammismo, il bamboccismo, la fannulloneria, l’intrallazzismo, la maleducazione civile, il gallismo, la pusillanimeria, il qualunquismo, il razzismo, il machismo omofobico. Ma anche racconto di formazione in chiave comica: storia di un’educazione civile, morale, (multi)culturale e sentimentale narrata attraverso un fuoco di fila di battute e gag esilaranti. La trama modesta è posta al servizio della straripante comicità di Zalone il cui segreto è aver inventato il “comico per caso”, capace di fare battute e gag con totale nonchalance , con il tono e la faccia del primo che passa per la strada. Forse è vero che “Dalle sue gag sono bandite capriole di senso e cattiverie” (R. Escobar), ma è anche vero che così l’accattivante Zalone massimizza l’immedesimazione del pubblico e la funzione educativa dei suoi film. (Il Morandini)

Si parla di Risi, di De Sica, di Sordi nella presentazione di Quo Vado?; riferimenti importanti solo citati come esempio di certi obiettivi della commedia e dei grandi attori di una volta. Quelli cui guarda – e sogna – il nuovo film di Luca Medici/Checco Zalone e dell’inseparabile amico/co-sceneggiatore/regista Gennaro Nunziante. Una squadra vincente che, invece di cambiare, continua a dare prove convincenti, riuscendo anzi a sorprendere ogni volta. Siamo talmente abituati a delusioni e tempi morti mal gestiti – o mal ‘riempiti’ – da molti prodotti del nostro cinema, che viene quasi spontaneo attendersi l’ennesima caduta anche dal recordman del boxoffice italiano, di nuovo pronto a sottoporsi al giudizio del pubblico restando se stesso. Eppure la formula, solita e conosciuta, continua a funzionare. Anche per un suo crescere, via via. Questa volta mostrandosi capace di leggere la realtà che ci circonda che va al di là di quel che di solito si riconosce – con più o meno merito – ad altre commedie. Sin dal titolo. Volendolo soprattutto interpretare come indicativo di una impossibilità di vedere vie, percorsi possibili, possibilità o prospettive… Dove andare? Dove proiettarsi? Bene fa, forse, il solito qualunquista e mammone Checco ad aggrapparsi alle poche certezze a disposizione. O forse no, visto che nemmeno il mitico ‘posto fisso’ sembra esser rassicurante in molti casi. E che anche lui, in fondo, sembra trovare altrove la sua felicità e realizzazione. Nel lungo viaggio alla ricerca di una propria strada – e, narrativamente, attraverso location di ogni tipo (che hanno reso questo il suo film più costoso) – però c’è spazio per tutto quello che vi aspettereste: paradossi, giochi di parole, autoironia, satira sociale e politica, comicità fisica e battute geniali. Il tutto a un ritmo invidiabile, e privo delle pause che spesso contraddistinguono altri comici, a tratti congelati come in attesa dell’applauso del pubblico. Qui si riesce a parlare dei nostri difetti e di una società ormai cambiata, tra società multietniche e convivenza di diverse fedi religiose, di furberie inestirpabili (spesso messe in atto dai molti che le stigmatizzano pubblicamente) e rieducazioni possibili senza esser mai pesanti o pedanti. Anzi regalando risate e sorrisi, un paio delle ‘sue solite’ canzoni e scene come quelle al Sud o al Polo (la degustazione dei campioni su tutte) o quella con la madre adorata e adorante (Ludovica Modugno), ennesima riprova della costruzione di un prodotto perfetto che annovera tra i suoi ‘comprimari’ – sparring partner, in alcuni casi – gli ottimi Maurizio Micheli, Sonia Bergamasco e un iconico Lino Banfi. (Film.it)

Con il suo quarto film, Quo vado?, Checco Zalone ha conquistato praticamente tutti, anche i critici che volevano essere sicuri che fosse abbastanza à la page per sdoganarlo, quelli che ancora non avevano scritto un editoriale sulla commedia all’italiana che rinasce, o i ministri della cultura che non avevano ancora twittato la banalità del film che salva le sorti del cinema italiano. Quello che ci si aspettava si è realizzato: Quo vado?, proiettato in migliaia di sale, fa soldi in modo prodigioso e supererà probabilmente anche Avatar come maggiore incasso di sempre: da qui a qualche settimana probabilmente l’avrà visto al cinema un italiano su dieci. Perciò parlare di Zalone e del suo film vuol dire anche chiedersi cos’è che lo rende un tale successo. Dopo Sole a catinelle (2013) è il secondo film che parla di lavoro. In Sole a catinelle Zalone era un rappresentante che si ritrovava senza clienti per la crisi, sposato con un’operaia a rischio licenziamento; in Quo vado? è uno sfaccendato lavoratore statale che non si arrende al dimagrimento della riforma amministrativa, e pur di difendere con le unghie e coi denti il posto fisso e non patteggiare la buonuscita, accetta di farsi spedire nei posti più sperduti d’Italia e d’Europa; fino in Norvegia dove si innamora di una ricercatrice brillantissima, il cui futuro lavorativo è chiaramente incerto. Partite iva e impiego dipendente: la fine del mondo del lavoro novecentesco è la stessa. Se c’è qualcosa che Zalone e Gennaro Nunziante (regista, cosceneggiatore e sodale di Checco dai tempi di Telenorba) hanno capito è che se la comicità è un linguaggio che funziona quando si riferisce al tempo presente e se viene condiviso dal maggior numero di persone possibile, allora il riferimento più semplice dev’essere alla condizione più comune oggi in Italia: quella del ceto medio impoverito.
Il tono della satira di Zalone non può mai essere feroce perché anche il potere è debole, arreso, avvinghiato a privilegi sempre più miseri Zalone tocca il nervo scoperto della diffusa sensazione di perdita della sicurezza economica: il sogno berlusconiano che aveva prolungato oltre il tempo massimo la proiezione di benessere della prima repubblica è svanito, e insieme è evaporata anche la distinzione tra destra e sinistra, alto e basso, ricchi e poveri. Il tono della satira di Zalone non può mai essere feroce perché anche il potere è debole, arreso, avvinghiato a privilegi sempre più miseri, pensionato, moribondo. La stessa aggressività tamarra dei suoi esordi e dei precedenti film è molto smussata.
Per questo Zalone non è l’erede della commedia all’italiana, perché il suo codice è esplicitamente postmoderno. Da un punto di vista stilistico cita, copia, ammicca, elabora, parodieggia, fa il verso, tratta il pubblico come un complice, porta a sospendere in continuazione la credulità; da un punto di vista formale rifiuta programmaticamente la terza dimensione, la carnalità, il tragico. Fin dalla prima scena, Checco Zalone è più un fumetto che un essere umano: è un italiano in Africa che viene catturato da una tribù di dogon che somigliano più ai personaggi delle vignette sui cannibali che alla popolazione del Mali. Per non finire nel pentolone, deve convincere il capo tribù della sua innocenza e per questo raccontargli la sua storia. Ci riuscirà. La narrazione è quindi una metanarrazione, sul modello perfetto di Prendi i soldi e scappa (anche il film recente di Capatonda e moltissime commedie degli ultimi anni hanno un meccanismo simile), e il protagonista di Quo vado? è uno Zelig alla meridionale. Mimetico per una scelta diventata vocazione: la funzionaria renziana che vorrebbe strapparlo al posto fisso deve arrendersi alla sua capacità adattiva, che lo porta a cavarsela nella val di Susa tra gli scontri per la Tav, nell’isola di Lampedusa assiedata dai migranti e alla fine anche tra i ghiacciai della Norvegia artica. Ma, come accadeva anche in Sole a catinelle, il suo conformismo quasi patologico diventerà invece – dopo vari tentativi goffi e fallimentari – una vera formazione sul modello gesuitico (se fai qualcosa finirai per essere qualcosa): Zalone da egoista, maschilista, mammone, strafottente, alla fine del film è diventato un padre e compagno modello, filantropo e politicamente impegnato. Il serio rischio che corre è di trasformare la sua bonarietà in un’indulgenza plenaria Dall’altra parte invece il nuovo che avanza ha stampato in bocca il sorriso falso dell’innovazione dietro il quale cela la dismissione (e non la riforma) dell’apparato statale – questo sottotesto è la critica più corrosiva che mi viene in mente portata all’anima e non alla facies del renzismo da parte di un comico. Ed è efficace e acuminata anche per merito della bravura di Sonia Bergamasco e Ninni Bruschetta che intepretano i politici ministeriali convertiti al ridicolo credo renziano. Se Zalone è bravo a fare satira sociale dissimulando, essendo più un cartoon che un personaggio di carne e sangue (vedi la scena dove arriva fra le nevi del Polo nord e sta in camicia a giacca), gli riesce meno di toccare le altre corde della comicità. Nei film di Zalone l’amore e il sesso sono una roba da scuole elementari – le gag in cui per esempio masturba degli animali hanno una volgarità infantile e non adolescenziale – e la morte, al contrario dalla commedia all’italiana, non esiste. È questo forse il limite strutturale di un film che da un punto di vista tecnico possiede tutto ciò che gli si richiede: la fotografia pastellata di Vittorio Omodei Zerini, il montaggio di Pietro Morana con un ritmo da sketch che però riesce a essere funzionale alla narrazione, l’uso non macchiettistico dei caratteristi (da Lino Banfi a Gianni D’Addario), e anche la performance attoriale di Luca Medici/Zalone migliorata di molto. Se negli altri film non erano poche le scene in cui era poco più di un talentuosissimo cabarettista prestato al cinema, in Quo vado? sembra aver inglobato la maschera del cozzalone (e il debito nei confronti di Emilio Solfrizzi e Antonio Stornaiolo, Toti e Tata di Telenorba, di cui Nunziante era autore); e invece di esibirla nelle uscite sguaiate, nell’abbigliamento implausibile, riesce a plasmarla nel personaggio. Ossia: funzionano molto di più le sue espressioni da parvenu che le gag tipo quella del pizzetto decolorato.
Ma il guizzo di coraggio che gli si richiede – forte di questo successo senza ombre – è più da autore che da attore: di confrontarsi con un mondo che non sia solo bidimensionale. Altrimenti il serio rischio che corre è di trasformare la sua bonarietà in un’indulgenza plenaria. Una forma di rassicurazione per grandi e piccini di famiglie impaurite che possono permettersi di andare al cinema tutti insieme solo a Natale, una forma di rassicurazione un po’ facile. Che forse però è proprio il motivo per cui Quo vado? sta facendo soldi a palate. (Christian Raimo – Internazionale)