Cinema e lavoro – Mi piace lavorare (Mobbing)

Milano, 12.3.2018

REGIA: Francesca Comencini SOGGETTO: Daniele Ranieri, Assunta Cestaro, Francesca Comencini SCENEGGIATURA: Francesca Comencini FOTOGRAFIA: Luca Bigazzi, Marco Onorato MUSICHE: Gianluigi Trovesi, Gianni Coscia MONTAGGIO: Massimo Fiocchi SCENOGRAFIA: Paola Comencini INTERPRETI: Nicoletta Braschi, Camille Dugay Comencini. Marina Buoncristiani, Roberta Celea, Assunta Cestaro, Stefano Colace. PRODUZIONE: Bianca Film, Bim Distribuzione, Rai Cinemafiction DISTRIBUZIONE: Bim Durata: 89’.

Anna è una giovane donna separata, madre di una bambina di nome Morgana e figlia di un anziano padre malato, a cui spesso va a far visita nella casa di riposo che lo ospita. Con mille sacrifici e rinunce, riesce a sbarcare il lunario, con lo stipendio di 1500€ al mese. In ufficio ricopre il ruolo di segretaria capocontabile, lavoro che svolge con passione, guadagnandosi un pizzico d’invidia da parte delle colleghe. A casa, la sua vita è caratterizzata dall’amore per la figlia Morgana. La bambina si occupa quotidianamente di far la spesa e la sera, le legge Il piccolo principe di Antoine de Saint-Exupéry, mentre lei, sfinita, si addormenta. L’azienda per cui Anna lavora, per una fusione societaria, è stata assorbita da una multinazionale. Durante una piccola festa aziendale, i nuovi vertici informano i dipendenti sul rinnovato assetto societario, rassicurandoli che questa ristrutturazione non comporterà mutamenti per i loro posti di lavoro. Anna, e i colleghi, festeggiano brindando, mangiando e ballando. Il clima sembra rilassato anche se si percepisce nell’aria una nota d’insicurezza. Il nuovo assetto societario porterà, di lì a poco, inattesi cambiamenti nella sua vita lavorativa e di conseguenza anche in quella familiare. Anna viene rimossa dal suo ruolo. Le vengono proposti incarichi inutili o impossibili. Di lì comincia la sua tragica discesa in un vortice. Viene abbandonata dalla falsa amicizia delle colleghe e dei colleghi, che sembrano evitarla e comportarsi come un branco che abbandona l’animale malato. Subisce un primo demansionamento. Il computer che le viene assegnato è rotto e mai verrà riparato e neppure le sue colleghe l’aiuteranno. Viene poi incaricata di cercare due fatture in archivio una delle quali è stata sottratta dallo stesso capo del personale, che le ha surrettiziamente affidato, pertanto, una mansione impossibile. I lavori a cui è destinata diventano sempre più demotivanti, come quando viene assegnata al controllo della fotocopiatrice. Il fatto poi di venire evitata, isolata dai colleghi contribuisce ad accrescere la sua angoscia. Infine, posta a cronometrare il lavoro dei magazzinieri per ottimizzare i tempi di lavoro, è quasi aggredita da alcuni di loro e con violenza apostrofata “spia”. Anna cade in depressione e si ammala. A casa non riesce a fare più nulla: sarà sua figlia ad accudirla e a ridarle la vita. Tornata al lavoro, continuano però le stesse dinamiche di prima. Giunge il giorno del saggio di danza della figlia. Anna si prepara per uscire e raggiungere la bambina. Viene chiamata dal capo delle risorse umane che le propone di firmare una lettera di dimissioni affermando che ha deluso le aspettative, malgrado avesse buone capacità e malgrado l’azienda le abbia ripetutamente prodigato fiducia e pazienza, facendole inoltre un panegirico sulla sua condizione di donna sola e sul fatto che come madre debba pensare a sua figlia. A quel punto Anna reagisce e dicendogli di non nominare mai più sua figlia esce dall’ufficio. Cerca di raggiungere Morgana, ma non riesce a individuarla da nessuna parte. Alla fine, dopo tanto penare, la trova a casa del bambino del negozio di alimentari dove Morgana fa la spesa. Anna finalmente si reca dal sindacato e racconta quello che ha subito nei mesi precedenti sul lavoro. Farà causa e vincerà. Tra mille timori per il nuovo lavoro che l’attende al ritorno e per il viaggio che sta per fare, parte con sua figlia, rassicurata dalla bambina.

Il film è attuale anche per l’aumento delle discriminazioni nei confronti delle donne con il crescere della loro consapevolezza e dei diritti reali. Positivo anche il modo con il quale viene presentato l’intervento sindacale anche se, notava qualche recensore, nel film la cosa è forse idealizzata rispetto a quanto avviene in realtà.

LA CRITICA

“‘Mi piace lavorare’ di Francesca Comencini è un film intimista che va dritto al cuore e al contempo affronta un grosso problema sociale, quello del mobbing: ovvero della vessazione psicologica sul lavoro. Nella vibrante e sommessa interpretazione della Braschi ben corrisposta dalla piccola Camille Dugay (figlia della Comencini), il rapporto d’amore madre-figlia è il vero centro emotivo di questo bel film.” (Alessandra Levantesi, ‘La Stampa’, 12 febbraio 2004)
“‘Mi piace lavorare’ di Francesca Comencini si potrebbe definire il vero film dell’orrore. Non quello dei mostri o dei vampiri, ma l’orrore quotidiano che in tanti casi rende angosciosa l’esistenza di chi fatica sotto padrone. (…) Se si pensa che quarant’anni fa, a proposito di ‘Il posto’ di Olmi, si parlò di un clima alla Kafka, che paragone letterario si dovrebbe inventare oggi per ‘Mi piace lavorare’? La verità è che qui non c’è spazio per la letteratura e che di fronte a una vicenda narrata con tanta aderenza alla realtà sociale e psicologica anche il diaframma costituito dalla macchina cinema non sembra esistere più. Pur inserendo nel film tanti elementi personali, l’autrice fa un severo sforzo di oggettività e riesce a enucleare un grave problema sociale senza paraocchi ideologici. Tutti gli interpreti di contorno, presi dalla vita, sono stati invitati a improvvisare sugli spunti delle varie situazioni le loro battute e lo fanno con assoluta credibilità; e in mezzo a loro Nicoletta Braschi è tanto vibrante e partecipe da sembrare una persona vera anziché un’attrice. Uscendo domani sugli schermi italiani, Mi piace lavorare meriterebbe di essere visto e meditato da molti; ma il problema è sempre quello dai tempi del Neorealismo: ha voglia la gente entrando in un cinema di ritrovare sullo schermo gli aspetti crudi della realtà?”. (Tullio Kezich, ‘Corriere della Sera’, 12 febbraio 2004)

“Francesca Comencini e i suoi collaboratori sono bravissimi nel mettere in scena una storia di mobbing che è un montaggio di tante vicende vissute e un ponteggio, avveduto e partecipe, tra documentario e finzione: attori e non attori, regia e pedinamento di azioni, copione ed esperienze personali rielaborate per la macchina da presa. L’editing della trama e la circolarità tra cinema e fuoricampo hanno un unico limpido punto di vista. Il lavoro continua a nobilitare le persone e a renderle meno fragili”. (Enrico Magrelli, ‘Film Tv’. 17 febbraio 2004)

Risorse umane ci ha raccontato l’applicazione delle 35 ore in Francia. Ken Loach da anni ci descrive come cambia il mondo del lavoro, così come fa col suo cinema Robert Guédiguian. Lo spagnolo de I lunedì al sole ci ha portato di recente nel dramma della disoccupazione. Il posto dell’anima di Riccardo Milani ha fatto altrettanto in chiave italiana come, in parte, anche Liberi di Gianluca Tavarelli. Ma mai fino ad oggi il cinema si è spinto in un territorio così cruciale e insidioso come quello del mobbing.
A farlo adesso è Francesca Comencini con Mi piace lavorare un film coraggioso, politico, forte che denuncia uno dei tanti sistemi di intimidazione sul lavoro, esemplare nel contribuire a rendere sempre più precario e incerto l’impiego. Selezionato al festival di Berlino – passa nella sezione Panorama l’11 febbraio – Mi piace lavorare arriverà nelle nostre sale il 13 febbraio, distribuito dalla Bim. Al centro del racconto è Anna, interpretata da una sorprendente Nicoletta Braschi, contabile da anni in un’azienda. Separata dal marito, con una figlia da crescere e un padre malato, la donna è tutelata dal diritto del lavoro di fronte alle minacce di trasferimento che si prospettano quando la società viene acquistata da una multinazionale, pronta ad ottimizzare e spingere al massimo sulla flessibilità. Ma è proprio perché la legge è dalla parte di lei che scatta il mobbing, quello cosiddetto «strategico», pensato a tavolino per portare alle dimissioni il dipendente in esubero (…..) racconta la stessa regista. «Per vincere la causa devi riuscire a rimanere nel tuo posto di lavoro, continuando cioè a subire le umiliazioni tutti i giorni. Per cui spesso ci si accorda prima, senza arrivare alla causa». Anche perché chi è colpito dal mobbing, prosegue Francesca Comencini, «arriva ad un livello di grave debolezza emotiva per cui pensa sempre di essere colpevole. Le donne, poi, sono le più vulnerabili. Soprattutto quelle sole, con i figli. Devono pagare sempre un prezzo più alto». E anche fare il film non è stato facile. C’è voluta, infatti, tutta la caparbietà di Francesca Comencini perché il progetto, nato completamente «autarchico», trovasse poi il sostegno della Bianca film di Donatella Botti e ancora di RaiCinema. Incuriosita da un servizio trasmesso da Arte, Francesca Comencini si è rivolta ad uno sportello anti-mobbing della Cgil a Roma per capirne di più. Lì, con l’aiuto di Luca Bigazzi, direttore della fotografia già suo «complice» del toccante Carlo Giuliani, ragazzo, ha intervistato una serie di lavoratori «mobbizzati», soprattutto donne. Quel materiale è diventato un documentario per la Cgil, ma soprattutto la spinta per fare un film che approfondisse l’argomento. (Gabriella Gallozzi – L’Unità)