Cinema e lavoro – Il posto dell’anima

Milano, 27.11.2017

Regia: Riccardo Milani Sceneggiatura: Riccardo Milani, Domenico Starnone Fotografia: Arnaldo Catinari Musiche: Leandro Piccioni Montaggio: Marco Spoletini Interpreti: Silvio Orlando, Michele Placido, Paola Cortellesi, Claudio Santamaria, Imma Piro, Flavio Pistilli, Maria Laura Rondanini, Paolo Setta, Donato Placido, Federico Di Flauro, Michele Buccini, Ermanno Grassi, Franco Di Nardo, Sergio De Guglielmo, Ennio Tozzi, Domenico Baiocco, Andrea Bayer, Nicola Soria, Andrea Pollutri, Paolo Gileno, Sandro Ruotolo, Michela Santini, Luciano Di Pietro, Davide Rossi, Alessandra Albo, Firpo Geminelli Produzione: Albachiara, Rai Cinema Distribuzione: 01 Durata: 106′.

La multinazionale ‘CarAir’, produttrice di pneumatici, annuncia l’imminente chiusura della stabilimento di Campolaro, con il conseguente licenziamento di decine di operai, la stragrande maggioranza dei quali provenienti dal piccolo paese situato sulle montagne circostanti. Decisi a non arrendersi, gli operai organizzano forme di lotta che, poco a poco, portano il loro caso ad approdare sui tg nazionali. Fra gli operai, Antonio sogna di tornare a vivere nel suo paese insieme alla compagna Nina, che ora lavora a Milano e che invece vorrebbe che fosse lui a lasciare tutto per andare a Milano e sposarla. Il sindacalista Salvatore ha un rapporto conflittuale con il figlio diciottenne. Mario, invece, che ha due figli e un mutuo da pagare, cerca una via alternativa aprendo una fabbrica di pasta fresca insieme a sua moglie Emanuela e alla moglie di Salvatore. Quando la CarAir decide di chiudere definitivamente lo stabilimento, gli operai tentano un gesto di protesta estremo, quello di andare in America per parlare con Gerardo, il lontano cugino di Emanuela emigrato in America che secondo molti in paese è la causa della chiusura dello stabilimento. Ma ormai è davvero troppo tardi…

Accolto dalla critica in modo ambivalente in realtà si tratta di uno dei pochi film degli anni 2000 che racconta della vita di fabbrica, degli scioperi, delle strategie delle multinazionali e di come una lotta si inserisce nelle vicende personali dei protagonisti. A suo tempo utilizzato anche in qualche corso sindacale, varrebbe la pena di riabilitarlo visto che stimola ancora ad una riflessione nonostante i cambiamenti del mondo del lavoro.

LA CRITICA

“I naufraghi sono, in ordine di età e di attaccamento al passato: Michele Placido, sindacalista puro e duro; Silvio Orlando, sognatore innamorato della sua terra; Claudio Santamaria, cinico-pragmatico tutto rabbia e vitalità. Non sono, ci dice ‘Il posto dell’anima’ di Riccardo Milani, tre santi. In compenso sono tre santini, così schematici e cuciti col filo bianco che non si crede ai loro tormenti più di 5 minuti. Nello script di Starnone c’è di tutto e di più, ma manca il tono (farsesco? sentimentale? neopopulista?). E fra macchiette stantie e incongrui affondi musicali l’insieme sa di vecchie formule in svendita. Fidanzate troppo lontane e moderne per essere capite. Mogli trattate da serve. Figli rifiutati e sviliti anche se sono il nuovo che avanza (leggi Internet). Morti in fabbrica sempre taciuti, per paura e sostanziale complicità coi padroni. E poi: dirette Rai, improbabili trasferte all’estero, cast ottimo e sprecato (Paola Cortellesi, Imma Piro, Flavio Pistilli, Maria Laura Rondanini). Continuiamo così, facciamoci del male”. (Fabio Ferzetti, ‘Il Messaggero’, 9 maggio 2003)

“Che sensazione di pienezza dà il film di Milani. E che bel trio Michele Placido, Silvio Orlando, Claudio Santamaria. Che bella scrittura (Domenico Starnone), che bella storia, che bei personaggi. E che titolo giusto. In un piccolo centro a ridosso della vergine montagna abruzzese si annuncia la chiusura del locale stabilimento produttore di pneumatici decisa dalla casa madre americana. Succede tutto quello che deve succedere. Ci si stringe nella protesta e nella solidarietà, nella difesa di quanto la fabbrica – tossica fonte di morte, luogo di identità e di orgoglio di classe – ha rappresentato per tutti, di tutte le età. Ci s’ingegna ad autofinanziare la resistenza, ma l’idea geniale di vendere gnocchetti fatti in casa accende nuove tentazioni imprenditoriali e nuovi appetiti individualisti. E dispute ideologiche su da che parte va il mondo, su quanto sia o non sia giusto adeguarsi. Tema che percorre anche il contrastato amore a distanza tra uno dei neodisoccupati (Orlando) e la fidanzata che da un pezzo ha piantato il posto dell’anima, troppo stretto e troppo morto secondo lei, per andarsene a Milano (Paola Cortellesi resta anche qui a un passo dal cogliere il risultato pieno: ma resta anche la convinzione che ancora ha da dare tanto come attrice del cinema italiano). Ciò che conta molto è come questo film, senza rinunciare a nessuno dei punti indispensabili dall’umorismo all’invettiva al patetismo, sappia difendersi dalla retorica. E gli faremmo un torto assimilandolo al cinema inglese-operaio. La scena madre di Orlando davanti ai boss di Detroit è nipote della requisitoria del professorino Mastroianni de I compagni; e il suo turbamento da “compagno” tradito è figlio del muratore Mastroianni di Dramma della gelosia che a San Giovanni non ascolta la voce di Ingrao ma si chiede perché la bella Adelaide lo abbia lasciato.”. (Paolo D’Agostini, ‘la Repubblica’, 10 maggio 2003)

“La classe operaia non va sullo schermo. O ci va poco, almeno nel nostro Paese. Se qualche studente dovesse elaborare la tesi «l’operaio nel cinema italiano» si troverebbe davanti una scarsa filmografia: Acciaio di Ruttmann, Olmi, Petri, Monicelli… A quest’ultimo si ispira Riccardo Milani riportando la macchina da presa in fabbrica per Il posto dell’anima. L’opificio si immagina in Abruzzo, ma è di proprietà di una multinazionale che ha deciso di chiudere e le lettere di licenziamento appaiono fin dalle prime immagini. La sceneggiatura di Domenico Starnone descrive tre operai alle prese con l’emergenza: Silvio Orlando, Michele Placido e Claudio Santamaria. Ciascuno reagisce a suo modo: Silvio bizzarramente, preso com’è da una tormentata storia d’amore con Paola Cortellesi; Michele da grintoso sindacalista, ferito nell’intimo dallo scontro generazionale con il figlio, e Claudio cercando una via di scampo nella produzione artigianale dei gnocchi di Santa Gemma. Anche su questo fronte, però, un supermercato finirà per togliere respiro ai poveri. Che cosa ha imparato Milani dal suo maestro Monicelli? La delicatezza del tocco, il divertimento di fare emergere le piccole cose della quotidianità, la capacità di proporre personaggi simpatici piuttosto che eroici; e soprattutto lo stoico pessimismo nei riguardi delle tragedie in agguato, quando il destino di uno dei protagonisti interviene a sottolineare il significato funesto che può assumere la parola fabbrica. I nostri personaggi scandiscono slogan, si fanno incatenare ai cancelli, vanno a Bruxelles e perfino nel cuore della New York capitalista dove Orlando in una sortita alla Frank Capra si prende il gusto di sputare in faccia a un compatriota considerato un servo del potere. Applausi in sala alla proiezione stampa, però poi si apprende che l’aggredito non era la persona giusta. Il posto dell’anima è un film di qualità nobile, che mira alto senza lanciare messaggi. La regia si fa complice dei bravi interpreti, concedendo a ciascuno spazi e tempi giusti: Placido incarnando la dignità del proletario, Santamaria da farfallone e Orlando in tutta la sua gamma di affermato promiscuo. Vedi la scena in cui stupisce un’assemblea parlando all’improvviso un buon inglese, mentre sta solo declamando i versi di una canzone. Qualche musichetta dolciastra, qualche indugio paesaggistico e un finale pasteggiato non tolgono granché al risultato positivo del film”. (Tullio Kezich, ‘Corriere della Sera’, 10 maggio 2003)

“Riccardo Milani racconta l’odissea di un gruppo di operai del solitario Abruzzo dimessi da una multinazionale spietata: nonostante la giusta rabbia il tono è dolce, a volte troppo”. (Claudio Carabba, ‘Sette’, 22 maggio 2003)