Lamerica

Milano, 31.10.2014
 
Regia  Gianni  Amelio Soggetto e sceneggiatura Gianni  Amelio Andrea  Porporati Alessandro  Sermoneta Fotografia Luca  Bigazzi  Musiche Franco  Piersanti Canzoni: “Impazzivo per te” (Leoni-Celentano-Del Prete), “Rosamunda” (Nisa-Vejdova), “L’italiano” (Minellomo-Cotugno) Montaggio Simona Paggi Scenografia Giuseppe M.  Gaudino Arredamento Giuseppe M.  Gaudino Costumi Liliana  Sotira Claudia  Tenaglia  Interpreti Enrico Lo Verso, Michele Placido, Piro Milkani, Carmelo Di Mazzarelli, Elida Janushi, Sefer Pema, Nikolin Elezi, Esmeralda Ara, Marian Pietrj, Besim Kurti, Idajet Sejdia, Marieta Ljarja, Ilir Ara Produzione Mario e Vittorio Cecchi Gori per C.G. Group, Tiger Cinematografica, Enzo Porcelli per Alia Film, in collaborazione con Rai-Radiotelevisione Italiana, Arena Films, Canal Plus (Parigi), Vega Film (Zurigo) Distribuzione Cecchi Gori Group – Cecchi Gori Home Video – Laserdisc: Philips Video Classics Durata 135
 
 
Fiore e Gino, due faccendieri italiani, arrivano in Albania a bordo del fuoristrada di Gino e vagano per i ministeri, con il supporto di corrotti funzionari locali, per mettere a punto l’ennesima truffa ai danni del loro governo e di quello albanese, rilevando e la finta ristrutturazione di una fatiscente fabbrica di scarpe. Serve anche un incapace presidente, il solito vecchio rimbecillito ma ancora in grado di firmare i documenti dopo un vagabondaggio in un ex carcere, trovano Spiro Tozaj, che non parla ed, alla prima occasione, fugge con il treno. Gino lo insegue col fuoristrada, e lo raggiunge in un ospedale dove lo hanno ricoverato dopo che dei monelli gli hanno rubato le scarpe e tentano di soffocarlo in un bunker col fuoco. A poco a poco, mentre l’agghiacciante realtà di miseria e disperazione del paese emerge in tutta la sua evidenza, Gino scopre non solo che Spiro è in realtà un ex miliziano fascista, Michele Talarico, un disertore che dopo 50 anni di galera ha perso il senno e crede di vivere nell’Italia del ’48, ma anche che la gente miserabile e il povero, ignorante ma generoso vecchio, affrontano una realtà che il suo continuo quanto inutile ricorso ai soldi non può certo modificare. Dopo una lunga odissea in camion per tornare a Tirana, Gino telefona a Fiore, che si è dileguato. Poi la polizia lo arresta al rientro in albergo: il funzionario albanese è stato arrestato, e Gino potrà allontanarsi solo firmando una confessione che permetta al funzionario di polizia di incriminarlo. Successivamente Gino tenta di rientrare in Italia con una nave di profughi, e vi ritrova Spiro convinto di andare in America.
 
Il film di Amelio, vincitore di numerosi premi quali  miglior film all’efa (european film awards) ed il David di Donatello ha avuto il merito di portare al grande pubblico una visione particolare dei temi dell’emigrazione, allora alla ribalta con quella nave di albanesi stracarica che spaziava su tutte le tv.
 
LA CRITICA
 
Emerge dal film – diretto da Amelio con quella proprietà di linguaggio, quella sensibilità e quell’amore per il vero che gli conosciamo da ‘II ladro di bambini’ – il ritratto straziante di un’Albania ai limiti della sopravvivenza, che s’è lasciata alle spalle il fascismo (il Duce l’aveva annessa nel 1939 al regno d ‘Italia) e il comunismo (ma sono sempre gli stessi che comandano) per restare nella più nera miseria. E il viaggio in Italia di questi disperati più che una speranza è una illusione. Il bravissimo Lo Verso è l’italiano che fa da trait-d’union tra il vecchio e il nuovo mondo ma è un disperato pure lui, un italiano vero nel formicaio degli albanesi senza futuro. Il vecchio – e forse non è un caso – ha una sorprendente somiglianza con l”Umberto D.’ di De Sica. (Franco Colombo, ‘L’Eco di Bergamo’, 12 settembre 1994)
 
Il film ha il suo nucleo centrale nel viaggio che il giovane compie in compagnia del vecchio dopo averlo rintracciato. E i due diventano il perno del racconto. Il vecchio è l’emblema di tutti gli umiliati e offesi del mondo, strappato alla sua terra e ai propri affetti, perseguitato da tutti, sprofondato nel pozzo di una follia dove sono sopravvissuti solo i pochi ricordi felici di una misera esistenza. Il giovane scopre la sua vera condizione umana vivendo sulla propria pelle il calvario degli umili, dei disperati che affidano il loro destino a una sgangherata carretta dei mari nella speranza di trovare ‘Lamerica’ sull’altra sponda dell’Adriatico. Film epico che sa dilatare una vicenda personale in un dramma corale, ‘Lamerica’ fa capire quanto sia profondo il solco tra Paesi ricchi (come il nostro) e Paesi poveri (come l’Albania). Ma ci avverte anche che questo solco potrebbe scomparire da un momento all’altro riportandoci alle misere esperienze del passato, perché il sogno degli albanesi d’oggi è identico a quello degli emigranti italiani che cent’anni fa vedevano
‘Lamerica’ come la terra promessa. (Enzo Natta, ‘Famiglia Cristiana’, 19 ottobre 1994)
 
Meraviglioso pamphlet politico che si autocombustiona via via al fuoco delle ipocrisie della visione filosoficamente corretta, kolossal minimalista, omaggio impossibile a Roberto Rossellini e David Lean, opera chiusa che non concede sostegni al sentimento, una delle massime vette di cinema europeo che interiorizza il malessere ‘Lamerica’ è un film che non va consumato o schiacciato dalla memoria come un cattivo ricordo. Rimeditato, depositato sulle nostre cattive coscienze, lasciato riposare sui nostri incubi più infami, pretende di non dire e che voi ‘non diciate’. E questo – in tempi di esternazioni e sublimazioni – è già utopia. L’utopia del nostro scontento. (Fabio Bo, ‘Vivilcinema’)
 

 

Abbandonato dal suo socio (M. Placido) con cui nell’Albania del 1991 aveva progettato una grossa speculazione, l’italiano Gino (E. Lo Verso) cerca di tornare in Italia portandosi con sé Spiro, ovvero Michele Talarico (P. Milkani), un compatriota che ha perso la memoria e crede di essere in Sicilia, pronto a emigrare verso l’America. In bilico tra epica e intimismo, realismo e metafora, è un film di viaggio a 2 strati: il primo è sugli albanesi che nel ’91, usciti dagli orrori del comunismo reale e attratti dalla merda televisiva, si precipitano verso l’Italia, illusoria America del paradiso capitalista; il secondo, quello “vero”, è sull’emigrazione italiana del primo dopoguerra. Di solito si raccontano storie di ieri per parlare dell’oggi. Amelio ribalta genialmente lo schema. (M. Morandini)