Euronote – Le parti sociali e il futuro dell’Ue

Milano, 21.10.2019

Qual è il ruolo delle parti sociali e del dialogo sociale nella realizzazione di un’Europa competitiva, equa e sostenibile? Questo il tema in discussione il 16 ottobre scorso a Bruxelles nel corso del Vertice sociale trilaterale, forum che riunisce i presidenti delle istituzioni dell’Ue e gli alti dirigenti delle parti sociali europee. Co-presieduto dai presidenti del Consiglio europeo e della Commissione europea, che per l’ultima volta sono stati rispettivamente gli uscenti Donald Tusk e Jean-Claude Junker, oltre che dal capo di Stato o di governo della presidenza di turno, in questo caso il primo ministro finlandese Antti Rinne, il dibattito del Vertice si è concentrato su tre ambiti: la transizione verso un’economia climaticamente neutra, investire nelle competenze e migliorare l’accesso alla formazione per adulti, elaborare una politica industriale «a prova di futuro». Per quanto concerne il primo ambito è stato sottolineato come la transizione comporti sia opportunità che sfide per l’economia, l’industria e i cittadini. In particolare, potrebbero risentirne soprattutto le regioni e i lavoratori, specie quelli poco qualificati, che dipendono da attività destinate a un probabile declino. Una transizione «giusta» verso un’economia climaticamente neutra, hanno osservato i partecipanti al Vertice, richiede alcune azioni e politiche prioritarie: riqualificare la forza lavoro e migliorarne le competenze, sostenere i lavoratori dei settori e delle regioni ad alta intensità energetica destinati a risentire della transizione, sostenere gli investimenti per l’efficienza energetica delle abitazioni e la riduzione della povertà energetica. La discussione si è concentrata anche sulla questione delle competenze e della formazione, affermando la necessità di investimenti per la riqualificazione, il miglioramento delle competenze, l’adeguamento dei posti di lavoro esistenti e l’evoluzione del panorama economico. Una politica industriale «a prova di futuro» invece, è stato detto, deve garantire il ruolo guida dell’Europa in materia di tecnologia, innovazione e sostenibilità, ma anche fornire sostegno ai cittadini nell’acquisizione delle competenze adatte per rispondere alle esigenze del mercato del lavoro.

«L’Europa sarà sociale o non sarà»

«In un mondo in rapida evoluzione è più che mai importante continuare ad affermare la dimensione sociale dell’Unione europea, perché l’Europa sarà sociale o non sarà Europa» ha dichiarato l’uscente presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, ricordando come durante gli ultimi 5 anni siano stati creati oltre 14 milioni di posti di lavoro, portando al numero record di 241 milioni le persone che hanno un lavoro nell’Ue, così come il Pilastro europeo dei diritti sociali sia diventato una realtà e stia incidendo nella vita dei cittadini grazie alle 24 iniziative giuridiche adottate finora. Per la presidenza di turno dell’Ue, il primo ministro finlandese Antti Rinne ha auspicato che l’economia europea diventi «la più competitiva, socialmente equa e con la minore intensità di emissioni di carbonio al mondo», cosa possibile solo investendo in competenze e istruzione e promuovendo giustizia sociale e uguaglianza, perché «non esiste sostenibilità economica senza una sostenibilità sociale ed ecologica». In rappresentanza dei datori di lavoro, poi, il presidente di BusinessEurope, Pierre Gattaz, ha sottolineato l’importanza di un’economia fiorente per generare crescita economica e occupazione, cosa che necessita di «una strategia industriale ambiziosa, unita a una strategia di sostegno alle Pmi». Per garantire la sostenibilità del modello sociale europeo, ha aggiunto, è necessario mantenere la competitività dell’Ue, mentre la sostenibilità economica «è alla base degli investimenti produttivi necessari allo sviluppo sociale e alla protezione dell’ambiente».

Sindacati europei: «Cambiare la politica economica»

«L’Europa ha bisogno di cambiare radicalmente la sua politica economica per rendere la crescita più sostenibile sia sul piano sociale che ambientale» ha invece affermato il segretario generale della Confederazione europea dei sindacati (Ces), Luca Visentini, secondo il quale gli investimenti pubblici e privati, così come i tassi di occupazione e le dinamiche salariali, «sono ancora molto al di sotto dei livelli pre-crisi e hanno bisogno di un forte impulso attraverso una riforma della governance economica, una solida politica industriale e il rafforzamento del dialogo sociale e della contrattazione collettiva in tutti gli Stati membri dell’Ue». Secondo la Ces, le transizioni riguardano principalmente l’economia a neutralità climatica ma anche il passaggio verso l’intelligenza digitale e artificiale, transizioni che non richiedono solo finanziamenti ma anche processi di governance con il pieno coinvolgimento delle parti sociali e delle comunità locali, per «assicurare che nessuno venga lasciato indietro». C’è poi il problema della «spirale salariale discendente», che non solo aumenta in modo massiccio la disuguaglianza e l’ingiustizia, ma danneggia anche la competitività del mercato unico: per questo, ha ricordato Visentini, i sindacati europei hanno «proposto ai datori di lavoro di aprire un dialogo su come rafforzare e sviluppare ulteriormente la contrattazione collettiva in ciascun Paese dell’Unione europea». Una transizione socialmente equa, ha aggiunto il segretario generale della Ces, necessiterà di investimenti pubblici per creare posti di lavoro di qualità in un’industria pulita, il diritto all’apprendimento lungo tutto l’arco della vita per tutti i lavoratori e la collaborazione di governi e datori di lavoro con i sindacati, per anticipare e gestire il cambiamento. È quindi necessario il pieno coinvolgimento delle parti sociali a tutti i livelli, ha concluso Visentini: «Il Vertice sociale trilaterale deve essere strettamente collegato ai vertici dell’Ue e al dialogo macroeconomico, così che le dimensioni sociale ed economica siano collegate e coerenti tra loro».