Bergamo, la Cassazione dà ragione alla Cisl: il caratteraccio non è reato

Milano, 26.9.2016
 
Una causa trattata dall’Ufficio vertenze della Cisl di Bergamo “fa giurisprudenza”. È successo infatti che la corte di Cassazione si è espressa sul caso di un lavoratore bergamasco, 36 anni, impiegato in una ditta metalmeccanica, licenziato per il suo “caratteraccio” e, contrariamente all’interpretazione di alcuni giudici di merito sulla Fornero,  ha condannato l’azienda a reintegrare sul posto il proprio dipendente, riconoscendogli pure gli arretrati dal giorno del suo licenziamento. “La completa irrilevanza giuridica del fatto (pur accertato) equivale alla sua insussistenza materiale e dà perciò luogo alla reintegrazione”, hanno scritto i giudici di Cassazione nella sentenza al ricorso fatto dall’azienda. “Una pronuncia di rilievo in tema di licenziamento, al fine dell’applicabilità della reintegra nel posto di lavoro, emessa dalla Suprema Corte con la Sentenza del 20 settembre 2016 – dice Salvatore Catalano, responsabile dell’Ufficio Vertenze Cisl di Bergamo che, appoggiato dallo studio dell’avvocato Aldo Arena ha condotto l’azione legale. Questa tutela, dunque, non può essere esclusa per il solo motivo che il fatto contestato sia stato effettivamente commesso, ma la Cassazione ha posto come pregiudiziale la condizione che il motivo del licenziamento sia una reato, o almeno un atto illecito, e il brutto carattere di una persona non lo è”.
La vicenda riguarda un lavoratore licenziato per aver tenuto un comportamento litigioso con il personale che lui stesso aveva il compito di formare. La questione risale al 2013 . M.Z. da 5 anni dipendente dell’azienda della Valle Seriana , veniva licenziato per l’ennesimo scontro con altri colleghi. Assistito dall’Ufficio Vertenze della Cisl, i primi tre gradi di giudizio hanno dato ragione alle tesi sostenute dal lavoratore, che ha sempre sostenuto di aver subito pratiche di demansionamento, ottenendo la reintegra in servizio. L’azienda ha fatto ricorso in cassazione con la certezza che al massimo avrebbe corrisposto un’indennità risarcitoria al lavoratore. Invece, secondo la Suprema Corte, il comportamento del lavoratore non può essere considerato causa di licenziamento. “Secondo la Cassazione – continua Catalano – è dunque sbagliata la tesi secondo cui,  dimostrato il comportamento contestato, al dipendente spetta sempre e solo il risarcimento. Bisogna anche vedere se tale comportamento può definirsi illecito. Ebbene, se il lavoratore è semplicemente scontroso con i colleghi o con i clienti, dovrebbe essere punito solo con una sanzione conservativa e non con il licenziamento: in tal caso scatta la reintegra. Ma l’interpretazione della Suprema Corte è andata ben oltre, visto che permetterà l’ampliamento della tutela normativa nei confronti dei lavoratori. Grazie a una nostra causa – conclude orgoglioso Catalano -, la giurisprudenza supera i limiti  delineati dalla riforma in senso favorevole al lavoratore”.