Case popolari, sindacati: riforma regionale sbagliata e discriminatoria

 Milano, 6.11.2015

 
 La Giunta Regionale delibera oggi il suo progetto di legge per la riforma dell’edilizia residenziale pubblica che è un rifacimento completo del Testo Unico del 2009, già in parte riformato dalla legge sulla riorganizzazione delle Aler nel 2013.
La valutazione complessiva del sindacato è che questa riforma non risolve i problemi e stravolge le finalità sociali e di servizio dell’edilizia pubblica.
Cgil, Cisl, Uil insieme alle organizzazioni sindacali degli inquilini Sunia, Sicet, Uniat,Unione inquilini, Conia lombarde chiedono a Regione Lombardia: la modifica sostanziale del progetto di legge in grado di garantire equità sociale, tutela dei diritti delle persone e qualità del servizio, dando strutturalità alla leva finanziaria su programmi di recupero edilizio, nuova costruzione e riqualificazione da destinare al potenziamento dell’edilizia pubblica e sociale.
La riforma viene contestata innanzitutto perché apre alla gestione delle case popolari ai privati, senza aver individuato in modo certo le regole di trasparenza, le procedure di affidamento, i requisiti di qualità ed efficacia del servizio. Inoltre, la conduzione degli accessi è particolarmente discriminatoria verso i poveri e i migranti con meccanismi sbagliati di assegnazione degli alloggi. E non solo perché fissa il requisito dei cinque anni di residenza in Lombardia. “Sono previste addirittura vere e proprie “quote d’ingresso” per limitare la quantità di alloggi assegnabili alle famiglie in condizioni di disagio o indigenza – spiega Rancati -. Sono quote discriminatorie poste a salvaguardia non tanto della risposta al bisogno, quanto ai ricavi dei gestori pubblici o privati”. “Per le famiglie in condizioni di povertà che nei limiti della quota d’ingresso hanno avuto l’assegnazione dell’alloggio – aggiunge – la norma trasferisce ai Servizi sociali compiti e spesa per misure assistenziali che, a causa dei continui tagli di bilancio non potranno sostenere”. Si tratta di una norma, che pone seri problemi anche dal lato della risposta alla reale domanda abitativa, infatti le famiglie con grave disagio economico sono in gran parte nelle graduatorie per l’assegnazione di una casa popolare in Lombardia. Ad esempio, sul totale delle domande in graduatoria, circa 60.000 nuclei familiari su base regionale, il 54% hanno un indice di situazione economica fino a € 7.000. Nonostante poi l’assenza di un’offerta pubblica di allogi assegnabili a canone sociale, il progetto di legge prosegue la fallimentare politica della vendita degli alloggi,  amplia la possibilità di distogliere grosse quote di edilizia pubblica per destinare gli alloggi a gestioni più redditizie e, non ultimo, abolisce le norme che consentivano ai Comuni di anticipare l’assegnazione in caso di sfratto in esecuzione o altra grave emergenza, per sostituirle con risposte abitative precarie (i cosiddetti servizi abitativi transitori), che graverebbero in ogni caso sulla disponibilità di alloggi pubblici. “Con questa riforma avremmo ancora nel complesso una gestione dell’edilizia pubblica in condizioni di disequilibrio finanziario, nonostante tutti gli sforzi per spostare l’accesso e l’uso degli alloggi su servizi di maggiore e più sicuro ricavo per i gestori – sottolinea Beppe Saronni, segretario regionale Cisl Lombardia con delega alla Casa –  e si avrebbe anche un netto peggioramento della gestione dell’emergenza abitativa. Perché, a fronte della vigente legislazione sulle locazioni private, nessuna delle innovative misure di contrasto alla situazione degli sfratti e alla diffusa inaccessibilità al mercato dell’affitto può costituire una credibile alternativa all’offerta di un alloggio pubblico”.