Cinema e lavoro – Il vento fa il suo giro

Milano, 9.7.2018

REGIA: Giorgio Diritti SCENEGGIATURA: Giorgio Diritti, Fredo Valla FOTOGRAFIA: Roberto Cimatti MONTAGGIO: Edu Crespo, Giorgio Diritti MUSICHE: Marco Biscarini, Daniele Furlati INTERPRETI: Thierry Toscan, Alessandra Agosti, Dario Anghilante, Giovanni Foresti, Caterina Damiano, Giacomino Allais, Daniele Mattalia, Ines Cavalcanti, Kevin Chiampo, Frederique Chiampo, Emma Giusiano, Bruno Demaria, Angelo Martelli, Nadia Belliardo, Bruno Manzo, Piero Tomassino, Giuseppe Rinaudo, Lidia Ellena, Vittorio Luciano, Sergio Piasco, Bernardo Giaime PRODUZIONE: Simone Bachini, Mario Chemello e Giorgio Diritti per Aranciafilm, Imago Orbis Audiovisivi (Bologna) DISTRIBUZIONE: Lab 80 DURATA: 110 Min

Chersogno è un paesino sulle Alpi Occitane italiane abitato ormai solo da persone anziane che sopravvivono grazie ad un po’ di turismo estivo. Una ventata di novità arriva quando un ex professore francese vi si trasferisce con la sua famiglia alla ricerca di un modo di vita più vicino alla natura. L’uomo si trasforma in pastore e inizia un’attività casearia. I nuovi arrivati e la loro impresa risvegliano negli abitanti sentimenti contrastanti. L’integrazione è difficile e il rapporto con la ‘diversità’ diventa il cardine della narrazione in cui affiora la sensazione che, come dice uno dei personaggi: “Le cose sono come il vento, prima o poi ritornano.”

Un film sul lavoro della pastorizia ma soprattutto sul dramma della chiusura nelle valli rispetto ai temi dell’accoglienza. Un’opera da vedere e rivedere per meditare sul nostro tempo

LA CRITICA

“A dispetto di Tarantino, che non sa, ecco un nostro debutto da non dimenticare. Quello di Giorgio Diritti che racconta in tre lingue (italiano, occitano, francese e sottotitoli) il difficile trasloco, morale e materiale, di un pastore francese nel villaggio montano in una valle occitana piemontese. (…) Lo dice il titolo, le cose prima o poi ritornano; e in questo film, che usa un cast quasi tutto non professionista, c’è la sensazione di auscultare un mutamento biologico della gente che poi la tv si preoccuperà di ripresentare con piena falsità retorica. Autori di riferimento sono Olmi e Piavoli, una fiduciosa ripresa di quell’invisibile senso del Tempo che pervade sia il paesaggio sia tutti i nostri instabili affetti”. (Maurizio Porro, ‘Corriere della Sera’, 1 giugno 2007)

“Fotografato meravigliosamente da Roberto Cimatti, sostenuto dalla sceneggiatura sapiente e ben ritmata di Diritti e Fredo Valla, interpretato dall’amichevole partecipazione dei locali e da quella più consapevole di alcuni attori (Alessandra Agosti e Thierry Toscan), l’esordio di Diritti commuove e incanta. ‘Il vento fa il suo giro’ ha fatto diversi giri di vento, di festival e di mondo per potersi finalmente posare sullo schermo di qualche sparuta sala italiana. Ed è con la forza del suo dettato e della sua magia che questo ‘vento’ si sta affermando, lentamente tramite quel fondamentale esercizio di critica e democrazia che è il passa parola”. (Dario Zonta, ‘L’Unità’, 8 giugno 2007)

“Ecco un film che si prende tutto il tempo necessario per dire due-tre cose importanti con la forza, l’onestà, il gusto per la verità del buon cinema. E’ girato nelle valli occitane del Piemonte, uno dei tanti angoli dimenticati del nostro paese che non si vuole bene, ed è parlato in italiano, francese e lingua d’oc. Racconta l’arrivo di uno strano pastore francese, ex-insegnante di buone letture e solido coraggio, che si stabilisce con moglie, figli e capre in quel paesino abitato quasi solo da vecchi, per fare ottimi formaggi. Una piccola rivoluzione: ma le rivoluzioni raramente riescono e anche stavolta, esauriti gli entusiasmi iniziali, scattano diffidenze, invidie, rancori. A senso unico: perché saranno i valligiani a prendere l’opportunità per una minaccia, fino a costringerlo a ripartire. Il tutto scritto, recitato, ambientato con stile piano ma sapientissimo, sulla linea Olmi – Brenta – Piavoli, da un gruppo di non professionisti che lavorano in partecipazione (ognuno possiede una piccola quota del film). Il risultato è stupefacente per durezza (ed esattezza), ambientale e psicologica. Infatti è stato nei festival di mezzo mondo, ma in Italia esce dopo due anni. E non vincerà mai un premio ufficiale. Che dire?”. (Fabio Ferzetti, ‘Il Messaggero’, 15 giugno 2007)

“La cosa speciale di questo racconto è che non propone mai in modo semplicistico la dinamica tra conformismo e diversità. Non sventola facili slogan ecologici o di ritorno alla natura. Della relazione dialettica tra il pastore francese e i suoi interlocutori/antagonisti indaga ogni piega: entrambi sono portatori di una ideologia critica verso il modello di vita delle società ricche e contemporanee. Ma il punto è che mentre gli uni hanno congelato quei valori in una difesa chiusa e conservatrice, l’altro li misura concretamente e faticosamente in una scelta di vita”. (Paolo D’Agostini, ‘la Repubblica’, 15 giugno 2007)

Girato in una sperduta valle del Piemonte, con un budget talmente limitato che gli attori stessi e la troupe hanno contribuito a finanziarlo, Il vento fa il suo giro di Giorgio Diritti, uscito a maggio in sole quattro copie e costato appena 480 mila euro, è stato da subito ignorato dalla grande distribuzione, per i soliti motivi: un regista poco conosciuto, un cast di attori non professionisti e in gran parte sopra i sessant’anni, dialoghi in tre lingue (occitano, francese e italiano), sottotitoli, una location rustica tra greggi di capre e borgate di montagna in abbandono. C’era da aspettarsi un flop, invece Il vento si è rivelato un fenomeno del cinema d’autore. Tre mesi dopo l’uscita nelle sale ha avuto 38.000 spettatori (come se fosse andato a vederlo l’intera città di Spoleto) e una permanenza record nelle sale: 140 giorni di proiezione a Torino, 100 a Milano, 100 a Roma. E Il vento continua il suo “giro” in sei città italiane, sorretto dal tam tam degli spettatori e da un tema d’attualità: il difficile inserimento di uno straniero in una piccola comunità. “È un grande risultato per un film italiano”, dice Simone Bachini dell’AranciaFilm, coproduttore e distributore della pellicola. “Per ottenerlo abbiamo dovuto inventarci una strategia diversa da quella della distribuzione ufficiale, che promuove ogni film nello stesso modo. Abbiamo stabilito contatti con le associazioni di cinema, le sale autonome, le manifestazioni culturali, e tutte le realtà che potevano essere interessate a diffondere il film. Siamo andati ai festival, alle presentazioni e ovunque ci fosse il modo di incontrare il pubblico”. Questo lavoro sul campo ha dato un esito interessante: alcune sale, come il Centrale di Torino, hanno tenuto il film per un lungo periodo, confortate dalla presenza costante di spettatori. “Ricevevamo fin dal mattino decine di telefonate di persone che ci chiedevano se lo proiettavamo ancora. Erano interessati a vederlo perché ne avevano sentito parlare da altri”, dice Gaetano Renda, proprietario del Centrale, che ha proposto il film senza interruzione dal 4 maggio al 6 ottobre. “È un film che stimola la riflessione, diverso dal cinema di consumo a cui siamo ormai abituati. Racconta con semplicità una storia forte, e il pubblico all’uscita sente il bisogno di parlarne”. Il vento fa il suo giro affronta con sguardo lucido diversi temi che non hanno ancora avuto in Italia (e forse neanche in Europa) un’adeguata elaborazione: lo spopolamento delle montagne, la difficoltà di accettare lo straniero, la chiusura delle piccole comunità. La storia è presto detta. Un pastore francese arriva con la moglie e i tre figli in un paesino dell’Alta Val Maira in provincia di Cuneo. È un ex professore che ha scelto di vivere in montagna e di dedicarsi alla produzione di formaggi. La discreta accoglienza iniziale da parte dei pochi abitanti del paese si trasforma presto in diffidenza e infine in ostilità. È difficile per la gente del posto accettare l’idea che un “forestiero” possa riuscire dove loro hanno fallito. Il film mostra l’abbandono delle borgate montane, ridotte ad agglomerati di seconde case, mentre l’attività produttiva si svolge in pianura, nelle stalle moderne prefabbricate tipiche del paesaggio padano. Il film è girato in una valle alpina del Piemonte dove si parla occitano (una lingua di origine provenzale), ma potrebbe anche essere ambientato in Abruzzo o in Sardegna. Ovunque in Italia ci sono borghi in declino che non riescono a trovare una nuova identità, e che nello stesso tempo faticano ad accettare l’inserimento degli stranieri. Forse è per questo che il film piace a Torino come a Roma. E potrebbe piacere anche a Palermo, quando ci arriverà. (Laura Salvai – La Repubblica 13 ottobre 2007)