La zuppa del demonio

Milano, 6.10.2010

 

L’Olivetti a Ivrea è stata non solo una anticipatoria esperienza industriale ma anche una grande occasione culturale legata ad una immagine di futuro che purtroppo è stata delusa. Il cinema industriale era uno degli strumenti per diffondere idee e progetti ed a questo, conservato presso il Centro Sperimentale di Cinematografia d’Ivrea,  ha attinto Davide Ferrario per la sua ultima fatica La zuppa del demonio. E lo ha fatto rispettandone i messaggi che tale cinematografia voleva lanciare in ordine a quella utopia di riscatto sociale operaio. Il film di Ferrario, quindi, diventa opera di attualità e non operazione nostalgica dal momento che oggi abbiamo gli occhi per valutare le speranze e le delusioni rispetto ad allora. Ecco quindi che l’immagine degli oliveti abbattuti per costruire l’Ilva di Taranto non diventa più solo il messaggio  del lavoro portato al Sud nell’ottica di un nuovo sviluppo, ma la tragedia di una morte diffusa a causa dell’inquinamento odierno. Operazione anche culturale dicevamo che ben emerge dal lavoro di Ferrario che cita Pasolini, Gadda, Primo Levi ed altri che hanno dedicato i loro scritti alla società industriale, a partire da Dino Buzzati, autore della espressione che dà il titolo al documentario parlando del lavoro in altoforno. Una bella occasione dunque per riflettere sul miracolo economico italiano e sulla sua triste fine e sull’utopia del progresso che ha caratterizzato il ‘900.