
Milano, 24.4.2019
Negli ultimi anni, a causa degli sviluppi demografici e della digitalizzazione, i mercati del lavoro hanno subito profondi cambiamenti che hanno portato alla nascita di nuove forme di lavoro al fine di favorire l’innovazione, la creazione di posti di lavoro e la crescita generale del mercato del lavoro. Alcune di queste nuove forme di lavoro si distanziano però notevolmente dai rapporti di lavoro tradizionali soprattutto per le loro flessibilità, precarietà e temporaneità, creando così incertezza rispetto alla protezione sociale e ai diritti dei lavoratori. «In questo mondo del lavoro in evoluzione, cresce l’esigenza che i lavoratori siano pienamente e tempestivamente informati in merito alle condizioni essenziali del loro lavoro. Per inquadrare adeguatamente lo sviluppo di nuove forme di lavoro, dovrebbero essere riconosciuti ai lavoratori dell’Ue anche alcuni nuovi diritti minimi intesi a promuovere la sicurezza e la prevedibilità dei rapporti di lavoro e a consentire, al tempo stesso, che si realizzi una convergenza verso l’alto in tutti gli Stati membri» ha dichiarato il Parlamento europeo, approvando il 16 aprile scorso una risoluzione contenente nuove norme sui diritti minimi per tutti i lavoratori dipendenti. L’obiettivo è di garantire i diritti ai lavoratori più vulnerabili, come quelli della gig economy (economia dei lavoretti, ossia dei lavoratori impiegati nelle forme di impresa nate con l’epoca digitale) che hanno contratti atipici o prestano servizio per lavori non standardizzati.
L’Europarlamento ha ricordato il principio n. 5 del pilastro europeo dei diritti sociali, secondo cui «indipendentemente dal tipo e dalla durata del rapporto di lavoro, i lavoratori hanno diritto a un trattamento equo e paritario per quanto riguarda le condizioni di lavoro e l’accesso alla protezione sociale e alla formazione». È pertanto opportuno, secondo il Parlamento europeo, stabilire prescrizioni minime sulle informazioni essenziali del rapporto di lavoro e sulle condizioni di lavoro applicabili a ciascun lavoratore, per «garantire che tutti i lavoratori dell’Ue fruiscano di un livello adeguato di trasparenza e di prevedibilità per quanto riguarda le loro condizioni di lavoro, mantenendo al contempo una ragionevole flessibilità del lavoro non standard e salvaguardandone così i benefici per i lavoratori e i datori di lavoro».
Nuove norme: trasparenza e protezione
La normativa approvata dal Parlamento europeo, che gli Stati membri avranno tre anni di tempo per integrare nella propria legislazione, introduce nuovi diritti per coloro che svolgono un’occupazione occasionale o a breve termine, come i lavoratori a chiamata, intermittenti, a voucher, tramite piattaforme quali Uber, Foodora o Deliveroo, così come i tirocinanti e gli apprendisti retribuiti se lavorano in media almeno tre ore alla settimana e 12 ore su quattro settimane. Secondo quanto previsto dalla risoluzione, tutti i lavoratori devono essere informati fin dal primo giorno, come principio generale e, ove giustificato, entro sette giorni, degli aspetti essenziali del loro contratto di lavoro, quali descrizione delle mansioni, data di inizio, durata, retribuzione, giornata lavorativa standard o orario di riferimento per coloro che hanno orari di lavoro imprevedibili. Se, a causa della natura dell’impiego come nel caso di un contratto a chiamata, non è possibile indicare una programmazione del lavoro fissa, i datori di lavoro dovranno informare i lavoratori in merito alle modalità di determinazione del loro orario di lavoro, comprese le fasce orarie in cui possono essere chiamati a lavorare e il periodo minimo di preavviso che devono ricevere prima dell’inizio di un incarico di lavoro.
Dovrà essere garantita una migliore protezione, in modo che i lavoratori con contratti a chiamata o con forme analoghe di occupazione possano beneficiare di: un livello minimo di prevedibilità; la possibilità di rifiutare, senza conseguenze, un incarico al di fuori dell’orario prestabilito o essere compensati se l’incarico non è annullato in tempo; il divieto per i datori di lavoro di sanzionare i lavoratori che vogliono accettare impieghi con altre imprese, se le nuove mansioni non rientrano nell’orario di lavoro stabilito; nuove misure nazionali, da stabilire, per prevenire le pratiche abusive sui limiti allo scopo e alla durata del contratto.
Periodi di prova e formazione
I periodi di prova consentono alle parti di verificare che i lavoratori e le posizioni per le quali sono stati assunti siano compatibili, fornendo al contempo sostegno ai lavoratori, osserva il Parlamento europeo ricordando però come il pilastro europeo sancisca che i periodi di prova devono essere di «durata ragionevole», pertanto l’ingresso nel mercato del lavoro o la transizione verso una nuova posizione non dovrebbe implicare lunghi periodi di insicurezza.
I periodi di prova non potranno quindi essere superiori a sei mesi o proporzionali alla durata prevista del contratto in caso di lavoro a tempo determinato. Eccezionalmente, i periodi di prova dovrebbero poter durare più di sei mesi se ciò è giustificato dalla natura dell’impiego, come nel caso di posizioni dirigenziali, esecutive o nella pubblica amministrazione, o se ciò è nell’interesse del lavoratore, come nel contesto di misure specifiche per la promozione dell’occupazione a tempo indeterminato. Un contratto rinnovato per la stessa funzione non potrà essere definito quale periodo di prova.
Il datore di lavoro dovrà inoltre fornire gratuitamente una formazione inclusa nell’orario di lavoro, sostiene il Parlamento europeo: «È importante garantire che tale formazione sia erogata con equità a tutti i lavoratori, compresi quelli in forme di lavoro non standard. I costi di questa formazione non dovrebbero essere a carico del lavoratore né trattenuti o dedotti dalla retribuzione del lavoratore».
L’Europarlamento sottolinea infine il rispetto per l’autonomia delle parti sociali, le quali possono ritenere più appropriate disposizioni diverse da alcune norme della direttiva al fine di perseguirne gli scopi: «Gli Stati membri dovrebbero pertanto poter consentire alle parti sociali di mantenere, negoziare, stipulare e applicare contratti collettivi che differiscono da alcune disposizioni contenute nella presente direttiva, a condizione che il livello generale di protezione dei lavoratori non sia abbassato».