Cinema e lavoro – Si può fare

Milano, 5.7.2019

Regia: Giulio Manfredonia Soggetto: Fabio Bonifacci Sceneggiatura: Giulio Manfredonia, Fabio Bonifacci Fotografia: Roberto Forza Musiche: Pivio , Aldo De Scalzi Montaggio: Cecilia Zanuso Scenografia: Marco Belluzzi Costumi: Maurizio Millenotti Suono: Bruno Pupparo Interpreti: Claudio Bisio (Nello), Anita Caprioli (Sara), Andrea Bosca (Gigio), Giovanni Calcagno (Luca), Giuseppe Battiston (Dottor Federico Furlan), Giorgio Colangeli (Dottor Del Vecchio), Maria Rosaria Russo (Caterina), Michele De Virgilio (Nicky), Carlo Giuseppe Gabardini (Goffredo), Andrea Gattinoni (Roby), Natascia Macchiniz (Luisa), Rosa Pianeta (Enrica), Daniela Piperno (Miriam), Pietro Ragusa (Fabio), Franco Ravera (Carlo), Giulia Steigerwalt (Chiara) Produzione: Rizzoli Film Distribuzione: Warner Bros. Pictures Italia Durata: 111 min

1983, Milano. Nello è un sindacalista che dopo aver scritto un libro sul mondo del mercato viene attaccato duramente dai “compagni”; viene quindi trasferito alla Cooperativa 180, una delle tante sorte dopo la legge 180 per accogliere i pazienti dimessi dai manicomi. Dopo alcuni attriti iniziali con i pazienti, Nello decide di far capire loro il vero spirito di una cooperativa coinvolgendoli maggiormente. Ascoltando le idee di tutti, in un’assemblea viene presa la decisione di abbandonare il lavoro assistenziale e di entrare nel mercato diventando posatori di parquet: ogni paziente ricoprirà un ruolo all’interno della cooperativa secondo le proprie caratteristiche. Dopo il primo lavoro, fallito per inesperienza, riescono a ottenere un appalto in un atelier d’alta moda. Il giorno della scadenza della consegna finisce il legno: così Luca e Gigio, vista anche la loro abilità artistica, decidono di usare gli scarti per realizzare un pannello raffigurante una stella e coprire così l’intero pavimento. L’idea, oltre a venire molto apprezzata, si fa strada e la cooperativa ottiene sempre più appalti. Nello si rende conto che c’è bisogno di ridurre il dosaggio dei farmaci, ma a questo il dott. Del Vecchio si oppone fortemente. A questo punto Nello si affida al dott. Furlan e con i fondi ricevuti dall’Unione europea i soci si trasferiscono in una nuova sede. Quando tutto sembra andare per il meglio avviene una tragedia: nel frattempo, infatti, Gigio si innamora di Caterina, una ragazza per la quale ha lavorato, che poi invita lui e Luca ad una festa in casa sua; quella sera però vengono derisi dagli amici di Caterina, Luca perde il controllo e scatta una piccola rissa. In questura Gigio sente Caterina che, mentre cerca di far ritirare la denuncia, li definisce “poveracci” e lascia intendere di non aver dato molta importanza al bacio che aveva dato a Gigio; a seguito di ciò Gigio si suicida e il fatto viene imputato anche alla riduzione elevata dei farmaci. I pazienti vengono riportati nella vecchia sede sotto l’assistenza del dottor Del Vecchio. Nello perde ogni speranza, convinto di finire in carcere per la morte di Gigio, ma qualsiasi possibile accusa contro di lui non avviene, perché Del Vecchio ammette di aver riscontrato dei miglioramenti impensabili dovuti all’attività lavorativa. Il suicidio del ragazzo è stato causato in parte da tutti, compreso Del Vecchio stesso che non aveva voluto collaborare, quindi la questione viene chiusa e Nello, dopo qualche esitazione, torna a dirigere la cooperativa che ottiene un grosso appalto a Parigi per decorare le fermate della nuova linea metropolitana. Sei mesi dopo il lavoro per Parigi è quasi finito, Nello finalmente riesce a dirigere il gruppo senza trascurare la fidanzata Sara (che a parte qualche litigata per le sue mancanze gli è sempre rimasta vicino), e il dott. Furlan porta nuovi soci diversamente abili.

Ispirato a storie vere che hanno caratterizzato le cooperative sociali sorte negli anni ’80 il film è dedicato ai soci diversamente abili che vi lavorano e mostra un mondo spesso sconosciuto che ha saputo rendere operativa l’utopia di Basaglia.

LA CRITICA

Milano, primi anni ’80. Nello è un sindacalista dalle idee troppo avanzate per il suo tempo. Ritenuto scomodo all’interno del sindacato viene allontanato e “retrocesso” al ruolo di direttore della Cooperativa 180, un’associazione di malati di mente liberati dalla legge Basaglia e impegnati in (inutili) attività assistenziali. Trovandosi a stretto contatto con i suoi nuovi dipendenti e scovate in ognuno di loro delle potenzialità, decide di umanizzarli coinvolgendoli in un lavoro di squadra. Andando contro lo scetticismo del medico psichiatra che li ha in cura, Nello integra nel mercato i soci della Cooperativa con un’attività innovativa e produttiva. “La follia è una condizione umana” dichiarava Basaglia, psichiatra. “In noi la follia esiste ed è presente come lo è la ragione. Il problema è che la società, per dirsi civile, dovrebbe accettare tanto la ragione quanto la follia, invece incarica una scienza, la psichiatria, di tradurre la follia in malattia allo scopo di eliminarla”. Prima dell’introduzione in Italia della “legge 180/78”, detta anche legge Basaglia, i manicomi erano spazi di contenimento fisico dove venivano utilizzati metodi sperimentali di ogni tipo, dall’elettroshock alla malarioterapia. Il film di Giulio Manfredonia si colloca proprio negli anni in cui venivano chiusi i primi ospedali psichiatrici e s’incarica di raccontare un mondo che il cinema frequenta raramente, non tanto quello trito e ritrito della follia, quanto quello dei confini allargati in una società impreparata ad accoglierne gli adepti. Attenzione però. Il regista evita accuratamente qualunque tipo di enfasi, sfiorando appena la drammaticità senza spettacolarizzarla, in favore di un impianto arioso, ridente, talvolta comico, letiziando lo spettatore con una commedia (umana) che diverte e allo stesso tempo fa riflettere. Se Pippo Delbono nel documentario Grido mostrava una via alternativa alla pazzia attraverso il teatro, Manfredonia tramuta episodi reali – e nello specifico la storia della Cooperativa Sociale Noncello – in fiction, trattando con la dovuta discrezione un argomento tanto delicato che appartiene alla storia dell’Italia, nel rispetto di chi convive con l’infermità mentale e di chi ci lavora. La sceneggiatura scritta a quattro mani insieme all’autore del soggetto Fabio Bonifacci non ha falle e permette agli attori di immergersi nella condizione dei loro personaggi con grazia. Sebbene Claudio Bisio dia un’ottima prova recitativa nei panni di Nello, Si può fare è il frutto di un lavoro collettivo che vede tutti gli interpreti (compreso il regista) impegnati a ricreare un ambiente credibile nel quale far muovere a piccoli passi un ensemble di “matti” talmente autentici da strappare un applauso. (Tirza Bonifazi – MyMovies)

«Siamo matti, non siamo scemi», dice un “folle” di Si può fare (…). La battuta è vecchia, forse anche antica, ma non è citata a sproposito. Non sono per niente sprovveduti, i molti protagonisti della commedia girata da Giulio Manfredonia e da lui scritta con Fabio Bonifacci. Non lo sono nonostante gli anni passati in manicomio, nonostante le dosi massicce di calmanti, nonostante l’esclusione “istituzionalizzata” dalla vita.Siamo nei primi anni Ottanta, per la precisione nel 1983. La legge 180 è in vigore da cinque anni. Da tre è morto Franco Basaglia, suo ispiratore tenace e coraggioso. In un ex manicomio nei pressi di Milano è stata costituita la Cooperativa di lavoro detta appunto 180. I soci sono i pazienti che nessun parente ha potuto o voluto riprendersi in casa. Indicato da un’organizzazione sindacale, a dirigerla arriva Nello (Claudio Bisio), convinto che il mercato non sia un luogo di perdizione, e insieme però certo che le sue leggi non siano assolute, e neppure le sole cui convenga attenersi.Per la prima ragione, Nello non può più fare il suo mestiere di sindacalista: sei troppo moderno, gli dicono i suoi dirigenti, che non a caso lo spediscono fra i matti. Per la seconda e opposta ragione, invece, è un disadattato e un perdente, in quegli anni rampanti e sempre più orgogliosamente reaganiani. Nella “Milano da bere” sembra non esserci posto per idealisti e illusi. Lo sa bene il suo antico amico e compagno Padellari, detto Padella (Bebo Storti). Non molti anni prima era più idealista e più “puro”di lui, l’ottimo Padella. Ora invece, yuppie orgoglioso e felice, è nel giro della moda, e ci sta del tutto a suo agio. Insomma, a confronto di quel che gli sta intorno, è un folle anche lui, povero Nello. Lo è tanto, che appena messo piede in cooperativa – ossia, in uno stanzone del manicomio –, si rivolge ai “soci” chiamandoli ognuno signore o signora. Non contento, decide di provare a fare quel che la ragione sociale suggerisce: guadagnarsi sul mercato commesse e appalti, e mettersi al lavoro. Se Si può fare non fosse raccontato come una commedia lieve e seria insieme, ora si potrebbero ricordare le parole di Basaglia: «Se la malattia mentale è, alla sua stessa origine, perdita dell’individualità, della libertà, nel manicomio il malato non trova altro che il luogo dove sarà definitivamente perduto, reso oggetto della malattia e del ritmo dell’internamento». E poi si dovrebbe aggiungere quanto la sua legge sia stata osteggiata e criticata. La malattia mentale non si può abrogare con una norma giuridica, dice appunto nel film il professor Del Vecchio (Giorgio Colangeli), riassumendole tutte, quelle opposizioni e critiche. Ma la sceneggiatura e la regia scelgono un’altra dimensione narrativa, un altro stile. In un certo senso, il film di Manfredonia e Bonifacci non è solo una commedia, ma addirittura una favola. O meglio, lo sarebbe se non raccontasse, molto liberamente, storie vere e fatti accaduti. Quello che nella finzione cinematografica Nello tenta e realizza con i suoi matti, fu davvero tentato e realizzato all’inizio degli anni Ottanta. Davvero qualche idealista, anzi molti idealisti scelsero il rischio del mercato, per recuperare alla vita gli internati psichiatrici. E davvero lo fecero convinti che la solidarietà fosse un valore, almeno quanto l’impresa e la concorrenza. Ma torniamo alla commedia e alla favola. La prima difficoltà che Nello deve affrontare e vincere è la dipendenza dei “matti” dal manicomio. Deve aiutarli a rifiutarne l’assistenza, per così dire: quella chimica e farmacologia, ma anche quella “istituzionale”. Insomma, deve riabituarli al rischio della libertà. Allo scopo, e forse ricordando vecchie abitudini assembleari, li coinvolge direttamente nella discussione e nella decisione. Cosa devono farne, della loro Cooperativa di lavoro? Come devono dividersi ruoli e compiti? Le risposte sono varie, e ognuna segnata da una follia molto saggia. Valga per tutte quella relativa alla scelta del Presidente. Tra i candidati c’è Roby (Andrea Gattinoni), autistico e ostinatamente silenzioso. Non ha mai fatto niente, e non sa far niente, dicono gli altri. Ed è proprio questa circostanza a risultare decisiva. Il curriculum è perfetto per il ruolo, decide Nello e la nomina è cosa fatta. Essendo matti ma non scemi, i soci non hanno niente da eccepire.Molto ancora accade nel film, spesso segnato dalla leggerezza del sorriso e talvolta appesantito dal lutto e dalla sconfitta. Ma tutto è sempre raccontato – e per fortuna anche recitato – con la simpatia e con il rispetto che vengono naturali a chi sappia che “si può fare”, o che almeno lo speri. (Roberto Escobar Il Sole-24 Ore)