
Finalmente anche l’Ue denuncia una situazione inaccettabile, ma urgono atti
«L’espansione delle operazioni militari israeliane a Gaza, che prendono di mira le infrastrutture civili, uccidendo civili, compresi bambini, è abominevole». È quanto dichiarato dalla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, nel corso di un colloquio avuto con il re Abdullah II di Giordania e reso noto dai servizi dell’esecutivo dell’Ue. La Commissione europea, ha affermato von der Leyen, «ha sempre sostenuto – e continuerà a sostenere – il diritto di Israele alla sicurezza e all’autodifesa, ma questa escalation e l’uso sproporzionato della forza contro i civili non possono essere giustificati dal diritto umanitario e internazionale». Per questo l’Ue, oltre al rilascio incondizionato di tutti gli ostaggi da parte di Hamas, chiede al governo di Israele «di porre immediatamente fine all’attuale escalation», riaffermando che «l’impegno dell’Europa per una pace giusta, globale e duratura basata sulla soluzione a due Stati rimane incrollabile».
Per ora si tratta solo di parole e di nessun atto concreto, ma almeno per la prima volta nell’ultimo anno e mezzo l’Ue assume una posizione ufficiale di ferma condanna contro l’operazione militare voluta dal governo israeliano nella Striscia di Gaza. Pochi giorni prima era stata l’Alta rappresentante dell’Ue per gli Affari esteri, Kaja Kallas, ad annunciare, dopo una riunione dei ministri degli Esteri dell’Ue, che «una forte maggioranza dei Paesi membri» si era pronunciata a favore della revisione dell’articolo 2 dell’accordo di associazione con Israele, secondo cui le relazioni bilaterali si basano sul rispetto dei diritti umani come elemento fondamentale. Se l’Ue deciderà che Israele ha violato tale clausola, potrebbero scattare misure diplomatiche o restrizioni commerciali per le quali è sufficiente raggiungere una maggioranza qualificata.
Silenzio del mondo complice del massacro
L’iniziativa era già stata proposta lo scorso anno dal predecessore di Kallas, Josep Borrell, su una richiesta di Spagna e Irlanda che però non era stata condivisa da molti altri Stati membri dell’Ue. «Meglio tardi che mai» ha commentato Borrell in un’intervista, sottolineando come siano purtroppo passati «15 mesi e quasi 30 mila morti in più». Oltretutto, ha aggiunto l’ex responsabile degli Affari esteri dell’Ue, «se l’Europa volesse, avrebbe una grande capacità di influenzare Israele», dal momento che «la metà delle bombe che cadono su Gaza sono fabbricate in Europa». Secondo varie fonti, in un anno e mezzo di offensiva militare l’esercito israeliano ha utilizzato oltre 100 mila tonnellate di esplosivo nella Striscia di Gaza e nel solo primo anno di bombardamenti aveva superato la quantità di esplosivo utilizzato durante tutta la seconda guerra mondiale.
La Striscia di Gaza è «una ferita aperta dell’umanità», dove Israele sta conducendo «una guerra ingiusta, crudele e disumana», mentre il silenzio del mondo è «complice di questo massacro» ha dichiarato il ministro degli Esteri spagnolo, José Manuel Albares, nel corso di un incontro svoltosi a Madrid tra i rappresentanti di 20 Paesi europei e arabi per cercare una via d’uscita diplomatica alla guerra, in preparazione della Conferenza di alto livello dell’Onu prevista il 17 giugno a New York e dedicata alla soluzione a due Stati. Lo Stato palestinese dovrebbe esercitare la propria sovranità sui territori della Cisgiordania e della Striscia di Gaza (su ciò che ne resta, ormai), ma dovrebbe essere riconosciuto ufficialmente da un numero maggiore di Paesi rispetto agli attuali 147 (sui 193 Stati membri dell’Onu), soprattutto da Usa e Canada, Regno Unito e Francia, Germania e Italia che ancora non lo riconoscono.
Appelli all’Ue e alla comunità internazionale
«I palestinesi di Gaza stanno vivendo quella che potrebbe essere la fase più crudele di questo conflitto spietato. Per quasi 80 giorni, Israele ha bloccato l’ingresso di aiuti internazionali salvavita mettendo l’intera popolazione di Gaza a rischio di carestia. Le famiglie muoiono di fame e vengono private dei beni di prima necessità. Tutto questo sotto gli occhi del mondo in tempo reale» ha dichiarato il 23 maggio scorso il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, ricordando come Israele abbia «chiari obblighi ai sensi del diritto internazionale umanitario». L’offensiva militare israeliana si sta intensificando «con livelli atroci di morte e distruzione» ha denunciato Guterres, ricordando come oggi l’80% del territorio di Gaza sia stato designato zona militarizzata da Israele o come area da cui è stato ordinato alla popolazione di andarsene, cioè quattro quinti del territorio è vietato alla popolazione di Gaza. «La visione d’insieme – ha aggiunto – è che senza un accesso rapido, affidabile, sicuro e duraturo agli aiuti, moriranno più persone e le conseguenze a lungo termine sull’intera popolazione saranno profonde».
Per questo le reti pacifiste europee chiedono alle istituzioni nazionali, dell’Ue e internazionali di «rompere il silenzio e ogni complicità assumendo finalmente una forte iniziativa per il cessate il fuoco, per l’apertura immediata di tutti i valichi per fare arrivare aiuti alla popolazione civile attraverso le agenzie umanitarie internazionali, per la liberazione di ostaggi e prigionieri e per la convocazione di una Conferenza di pace con mandato Onu».
Anche la Confederazione europea dei sindacati (Ces) esprime «profonda preoccupazione per l’inammissibile situazione umanitaria a Gaza», chiedendo iniziative «immediate ed efficaci» da parte dell’Ue e della comunità internazionale. Ricordando che, secondo il diritto internazionale, «il ricorso alla fame nei confronti della popolazione civile come metodo di guerra costituisce un crimine di guerra, così come tutte le forme di punizione collettiva», la Ces invita l’Ue a sostenere ulteriormente il sistema di aiuti delle Nazioni Unite e ribadisce il suo appello per «un cessate il fuoco immediato e permanente verso un accordo negoziato tra Israele e Palestina che porti a una soluzione duratura e pacifica a “due Stati”, all’apertura delle frontiere per gli aiuti umanitari, al pieno rispetto del diritto internazionale e a una revisione dell’Accordo di associazione Ue-Israele alla luce del suo articolo 2».