Previsioni economiche d’autunno 2025 fortemente condizionate da guerre e dazi
«Questa previsione è offuscata da una notevole incertezza e la strada da percorrere è piena di potenziali insidie. Se c’è una cosa certa, è che l’incertezza rimarrà una caratteristica distintiva dei prossimi anni». È quanto dichiarato dal commissario europeo per l’economia, Valdis Dombrovskis, presentando le previsioni economiche d’autunno 2025 della Commissione europea. «Il difficile contesto esterno – ha aggiunto – significa che dovremmo guardare ai fattori interni per alimentare la crescita. Quindi, l’Europa deve fare affidamento sull’Europa per guidare la crescita». Un’incertezza che, da un lato ha portato a migliorare le previsioni fatte nella scorsa primavera, ma dall’altro potrebbe condizionare negativamente le attuali previsioni fatte per i prossimi due anni.
Tra i rischi principali individuati dalla Commissione: l’elevata incertezza sulla politica commerciale, con un impatto ancora imprevedibile dei dazi imposti dall’amministrazione statunitense; le varie tensioni geopolitiche, che potrebbero avere effetti negativi anche in economia e «minare la fiducia»; poi, ha osservato Dombrovskis, «la rivalutazione dei rischi sui mercati azionari, in particolare nel settore tecnologico statunitense, potrebbe influire sulla fiducia degli investitori e sulle condizioni di finanziamento». Tra le opportunità, invece, la Commissione indica l’attuazione della cosiddetta Bussola della competitività, per quanto concerne la semplificazione (che però comporta anche non pochi rischi sociali e ambientali, secondo varie analisi), il completamento del mercato unico e la promozione dell’innovazione. Poi, con un approccio considerato miope e cinico da una parte della società civile europea, la Commissione descrive come opportunità anche «una maggiore spesa per la difesa concentrata sulla produzione dell’Ue», perché «potrebbe contribuire alla crescita».
Effetto anticipazione per timore dei dazi
In generale, sostiene la Commissione europea, le previsioni economiche dell’autunno 2025 mostrano che la crescita nei primi tre trimestri del 2025 ha superato le aspettative di quasi mezzo punto percentuale. Così, l’esecutivo dell’Ue prospetta una crescita del Pil reale dell’1,4% nel 2025 e nel 2026 nell’intera Unione, che dovrebbe raggiungere l’1,5% nel 2027. Tendenza simile è prevista per l’area dell’euro, con una crescita del Pil reale dell’1,3% nel 2025, dell’1,2% nel 2026 e dell’1,4% nel 2027. L’inflazione dovrebbe continuare a diminuire nella zona euro, scendendo al 2,1% nel 2025, e oscillare intorno al 2% nell’orizzonte di previsione, mentre dovrebbe rimanere un po’ più elevata nell’Ue, scendendo al 2,2% nel 2027.
Gran parte della crescita dell’Ue è stata creata dall’aumento delle esportazioni di beni e servizi, aumentate dell’1,9% nel primo trimestre, e all’anticipazione delle importazioni in previsione dell’aumento dei dazi doganali statunitensi. «Con l’attenuarsi dell’effetto dell’anticipazione, la crescita delle esportazioni nel resto dell’anno è destinata a rallentare» osserva la Commissione.
Si prevede un aumento del disavanzo delle amministrazioni pubbliche dell’Ue, dal 3,1% del Pil nel 2024 al 3,4% entro il 2027, soprattutto a causa dell’aumento della spesa per la difesa dall’1,5% del Pil nel 2024 al 2% nel 2027. In aumento anche il rapporto debito/Pil dell’Ue, dall’84,5% nel 2024 all’85% nel 2027, e della zona euro dall’88% al 90,4%. «Ciò riflette i disavanzi primari in corso e il fatto che il costo medio del debito pubblico è superiore alla crescita del Pil nominale» spiega la Commissione, secondo cui entro il 2027 saranno quattro gli Stati membri ad avere un rapporto debito/Pil superiore al 100%: Grecia (138%), Italia (137,2%), Francia (120%), Belgio (112,2%). Per l’Italia si prevedono così risultati economici non proprio positivi: se da un lato è seconda per mole di debito rispetto al Pil, infatti, sarà anche penultima nel 2026 e ultima nel 2027 tra tutti gli Stati membri per crescita del Pil.
Sul fronte dell’occupazione è prevista una crescita moderata dello 0,5% nel 2025 e nel 2026, con un rallentamento allo 0,4% nel 2027. Il tasso di disoccupazione dovrebbe invece ancora diminuire, dal 5,9% del 2025 e 2026 al 5,8% del 2027. «Nel contesto di un mercato del lavoro ancora teso, si prevede che l’immigrazione extra-Ue continuerà a svolgere un ruolo sempre più importante nel soddisfare la domanda di lavoro» sostiene la Commissione, aggiungendo che la crescita salariale rallenterà dal 4% del 2025 al 3,3% del 2026 e al 3,1% del 2027.
Costi economici della vicinanza alla guerra
C’è anche un altro importante aspetto che sta influenzando le prestazioni economiche dei Paesi dell’Ue, al quale è stato dedicato un interessante approfondimento da parte della Commissione europea. Riguarda il modo in cui la prossimità geografica alla Russia e all’Ucraina ha influito su vari Paesi europei negli ultimi tre anni, in termini di costo della vicinanza alla guerra russo-ucraina. «La vicinanza geografica dell’Ue alla guerra ha pesato sulla sua economia sin dall’invasione del febbraio 2022, limitando la ripresa dalla pandemia e creando incertezza sulle prospettive future» sostiene lo studio, che evidenzia significative differenze nella crescita del Pil e nelle condizioni macroeconomiche legate alla prossimità con lo scenario di guerra. Secondo l’analisi, nel 2022-23 la perdita di crescita annua è stata di circa 2 punti percentuali per ogni 1.000 chilometri di riduzione della distanza. Rispetto alla distanza media dell’Ue, queste stime corrispondono a una crescita inferiore di circa 1,1-1,3 punti percentuali per i 13 Stati membri più vicini al conflitto (Estonia, Lettonia, Lituania, Finlandia, Svezia, Repubblica Ceca, Ungheria, Polonia, Slovacchia, Austria, Bulgaria, Germania e Romania) e di circa 1,4-1,8 punti percentuali per gli 8 confinanti con la guerra (Estonia, Finlandia, Ungheria, Lettonia, Lituania, Polonia, Romania e Slovacchia). «Sono stati riscontrati effetti di prossimità per commercio, inflazione ed energia, incertezza, popolazione e lavoro e spesa pubblica» osserva lo studio. I risultati confermano che i Paesi geograficamente più vicini al conflitto hanno ridotto l’apertura commerciale complessiva e la quota del commercio con Ucraina e Russia, così come hanno avuto maggiori pressioni inflazionistiche, in particolare sui prezzi dell’energia. Un andamento coerente con l’impatto negativo sull’intensità energetica del Pil, riflettendo un adeguamento ai prezzi più elevati dell’energia e ai costi delle importazioni.
