A Belém un timido rilancio del multilateralismo, ma poche decisioni concrete
Poteva andare peggio, ma doveva assolutamente andare meglio. Al termine della 30esima Conferenza delle Nazioni Unite sul clima Cop30, svoltasi a Belém (Brasile) nei giorni 10-21 novembre scorsi, ancora una volta si prende atto delle scarse decisioni concordate, ma soprattutto si rimanda tutto al prossimo Vertice internazionale. È stata ribadita la soglia di riscaldamento di 1,5°C come obiettivo dell’Accordo di Parigi, un riferimento importante ma che rischia di restare nominale perché non sono stati introdotti gli strumenti necessari per renderlo praticabile. Per quanto concerne gli impegni nazionali per ridurre le emissioni di gas serra (Nationally Determined Contributions – Ndc) non si registrano miglioramenti, mentre è saltata la possibilità di una Roadmap sulla transizione dai combustibili fossili proposta dal Brasile. Sulla finanza per l’adattamento, la Cop30 ha chiesto un generico sforzo ai Paesi sviluppati per «almeno triplicare» i finanziamenti entro il 2035. «La Cop30 ha voluto lanciare un segnale verso la sopravvivenza del sistema multilaterale sul clima. Ma quella che hanno chiamato la “Cop della verità” – scientifica, politica, la prima nel nuovo contesto diplomatico guidato dai Brics, senza gli Usa – si è scontrata con le verità della realpolitik e di un’alleanza strumentale con la Cina rivelatasi debole e fallace» ha commentato l’Italian Climate Network, una Onlus nata per affrontare la crisi climatica che dal 2011 partecipa ai negoziati dell’Onu sul Clima. Se da un lato è stato ribadito l’obiettivo di 1,5°C, dall’altro è stato fatto «senza gli strumenti necessari per dare un significato reale a questa soglia, che oggi è soprattutto politica: i modelli climatici ci dicono infatti che è ormai praticamente spacciata. Quel riferimento dovrebbe indicare direzione e velocità della transizione, cioè un piano d’azione credibile per allontanarsi dai combustibili fossili» hanno aggiunto i membri di Italian Climate Network.
L’Ue conferma i suoi obiettivi climatici
Tra gli 86 contributi nazionali presentati alla Cop30 c’è stato anche il nuovo Ndc dell’Ue, che stabilisce una riduzione delle emissioni nette di gas a effetto serra (Ghg) del 66,25-72,5% rispetto ai livelli del 1990 entro il 2035, comprendente tutti i settori dell’economia e tutti i gas a effetto serra. L’Ue sta inoltre portando avanti il dibattito interno per ridurre le sue emissioni nette di gas a effetto serra del 90% entro il 2040 rispetto ai livelli del 1990, stabilendo una traiettoria verso l’azzeramento delle emissioni nette. L’Ue ha poi confermato la sua intenzione di rispettare tutti gli impegni in materia di clima concordati con i partner globali negli ultimi anni, in particolare a Dubai (Cop28) e Baku (Cop29). Continuerà quindi a realizzare gli impegni globali per la transizione dai combustibili fossili, triplicando la capacità installata delle energie rinnovabili e raddoppiando il tasso globale di miglioramento dell’efficienza energetica entro il 2030, concordati alla Cop28. Nel quadro dell’obiettivo globale di adattamento ai cambiamenti climatici, le parti hanno concordato una serie di indicatori per orientare e consentire investimenti e programmi in materia di adattamento, chiedendo di triplicare entro il 2035 i finanziamenti per l’adattamento nel contesto degli impegni presi dalla Cop29. L’Ue rimane il principale fornitore di finanziamenti internazionali per il clima, con 31,7 miliardi di euro forniti nel 2024 da fonti pubbliche e altri 11 miliardi di euro mobilitati in finanziamenti privati, fondi che finanziano progetti nei Paesi in via di sviluppo per ridurre le emissioni e limitare gli impatti dei cambiamenti climatici. A Belem, l’Ue ha poi sostenuto diverse iniziative multilaterali. Tra queste, una dichiarazione per la conformità dei mercati del carbonio, una dichiarazione per le foreste tropicali, un invito ad agire per le foreste del bacino del Congo, una dichiarazione globale sulla parità di genere e l’azione per il clima. Ha poi approvato la coalizione per partenariati multilivello che sostiene le città e le regioni quali partner fondamentali per promuovere l’azione per il clima e la resilienza, sostenendo anche una relazione sullo stato globale del metano, con l’obiettivo globale di ridurne le emissioni di almeno il 30% entro il 2030 rispetto ai livelli del 2020. L’Ue rende noto inoltre che, con solo il 6% delle emissioni globali, ha già «ridotto le sue emissioni di gas a effetto serra del 37% dal 1990, mentre l’economia è cresciuta del 71%», progressi che secondo i responsabili dell’Ue potrebbero permettere di ridurre le emissioni del 55% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990.
Crisi climatica connessa alle diseguaglianze globali
Intenzioni e accordi “sulla carta” non sono però sufficienti per rimediare a una realtà profondamente radicata nell’economia globale, come denunciato in occasione della Cop30 dall’organizzazione internazionale Oxfam. «La crisi climatica è strettamente connessa all’acuirsi delle disuguaglianze globali e ne aggrava la portata. Gli individui più ricchi del mondo finanziano e traggono profitto da questa crisi, mentre il resto della popolazione mondiale ne fa le spese» sostiene infatti Oxfam, secondo cui in un solo giorno un individuo appartenente allo 0,1% più ricco del pianeta produce – per tenore di vita e investimenti – più emissioni di CO2 in atmosfera di quelle generate in un anno dal 50% più povero della popolazione mondiale. Super ricchi che non solo emettono quantità enormi di CO2 col proprio stile di vita, ma che investono anche in attività economiche inquinanti traendone profitto.
Una tendenza che rischia di portare presto ad esaurire il “bilancio di carbonio”, cioè l’ammontare massimo di emissioni globali per contenere l’aumento delle temperature entro 1,5°C: «Se tutti emettessimo quanto lo 0,1% più ricco, questo punto di non ritorno verrebbe raggiunto in meno di tre settimane. Le emissioni dagli investimenti di soli 308 miliardari superano quelle complessive di 118 Paesi» osserva Oxfam. L’analisi mostra come, in media, un miliardario, attraverso i propri investimenti, sia responsabile dell’emissione di 1,9 milioni di tonnellate di CO2 all’anno, quota paragonabile a quella prodotta da un jet privato che facesse 10 mila volte il giro del pianeta. Inoltre, quasi il 60% degli investimenti dei miliardari globali è realizzato in settori che hanno un impatto devastante sul clima, come quello petrolifero o minerario, mentre l’influenza di super ricchi e grandi corporation sta condizionando e indebolendo i negoziati sul clima.
