Giovedì 11 dicembre 2025, presso il Relais & Spa Castello di Casiglio a Erba, si è tenuto il Consiglio Generale della CISL Lombardia. I lavori sono stati introdotti dal Segretario Generale Fabio Nava, che nella sua relazione ha offerto una riflessione sul tempo che viviamo, sulle responsabilità di un sindacato riformista e sul ruolo che la CISL Lombardia gioca ogni giorno nei luoghi dove si decide la vita delle persone. «È il momento di guardarci in faccia e capire cosa siamo diventati, come persone, come Paese, come organizzazione», ha esordito Nava
Un mondo ferito che chiede scelte, non commenti
Nava ha dipinto con chiarezza il contesto globale: guerre che si moltiplicano, crisi umanitarie dimenticate, un’Europa sotto attacco da chi considera le regole un ostacolo, un’Italia segnata da precarietà e sfiducia verso la politica. «Se ci limitiamo ai titoli degli ultimi mesi, il sentimento più spontaneo è la stanchezza: guerre che non finiscono, governi che cambiano linguaggio ogni settimana, precarietà che si insinua anche dove pensavamo di essere al sicuro, cronache che feriscono, bambini abbandonati, violenze, intimidazioni verso la stampa. Sono tutte fotografie diverse della stessa fatica: una società che non riesce più a tenere insieme libertà e responsabilità, parola e rispetto, protesta e limite», ha dichiarato il Segretario.
Ma c’è anche un “rovescio della medaglia” che spesso non compare nei titoli dei giornali: «se andiamo oltre il rumore – ha aggiunto – scopriamo giovani che rifiutano lavori senza futuro, donne che non accettano più la violenza, insegnanti che resistono nelle classi difficili, comunità che si inventano nuove forme di solidarietà, delegati che tengono aperta una porta di ascolto ogni giorno. Qui dentro, io vedo ancora un Paese che non ha smesso di cercare futuro».
Da qui un passaggio chiave sul ruolo del sindacato: «noi non possiamo commentare il mondo come se fossimo ospiti di un talk show. Noi lo abitiamo, lo respiriamo, lo contrattiamo. Per questo sento il bisogno di mettere in fila alcune immagini e alcune scelte che segneranno i prossimi anni».
Europa: “la Commissione non è un potere straniero. È casa nostra”
Molto spazio è stato dedicato al ruolo dell’Unione Europea: «difendere l’Europa oggi significa difendere le sue istituzioni come casa nostra. La Commissione non è un potere straniero: è il luogo in cui abbiamo scelto di condividere sovranità, è l’unico modo per non rimanere schiacciati nella geopolitica del mondo nuovo. Non è una bandiera romantica: è il nostro vantaggio strategico».
Parlando del Digital Services Act, Nava ha sottolineato: «quando l’Unione multa le Big Tech e difende la democrazia digitale, non fa un dispetto a qualcuno: difende le persone dai poteri senza volto. È il segno che in Europa le regole contano ancora più della forza. E questo, oggi, è lo spartiacque vero».
Italia: “un Paese che rischia di entrare nel secolo post-welfare”
La relazione si è poi addentrata nell’analisi degli ultimi dati Censis e dell’Istat: «abbiamo speso più di 85 miliardi solo per interessi sul debito. Uno Stato debitore non può promettere tutto a tutti: deve prima di tutto pagare gli interessi. Se non governiamo questo debito, saranno sanità, scuola, non autosufficienza e giovani a pagare il prezzo, lentamente, anno dopo anno».
«Il Censis parla di età selvaggia del ferro e del fuoco – ha ricordato Nava – una stagione in cui contano più le paure dei fatti, più l’uomo forte del lavoro paziente delle istituzioni». In questo scenario, il rischio è scivolare in una “società post-welfare”, dove i diritti universali diventano privilegi per pochi.
Denatalità: “qui non manca il desiderio di figli, manca la fiducia”
Una parte importante è stata dedicata alla crisi demografica: «in Italia, il 20% dei giovani afferma che non avrà figli e il 42% è incerto. In nessun grande Paese europeo c’è un livello così alto di rinuncia o dubbio. La fecondità è scesa a 1,18 figli per donna».
«Non è solo un problema economico – ha insistito – è un problema di fiducia. I giovani vedono lavori precarizzati, case inaccessibili, servizi insufficienti, congedi sbilanciati e soprattutto sentono una cosa: che la genitorialità non è valorizzata, ma vissuta come un ostacolo».
Salari: “quel –8,8% è il debito verso chi lavora”
Nava ha affrontato il tema salariale con grande chiarezza: «meno 8,8 è la distanza che separa i salari reali di oggi da quelli del 2021. Lavoriamo di più, con più responsabilità, ma il potere d’acquisto è più basso. Questo numero è il debito che il sistema ha verso il lavoro».
Per questo, ha spiegato, «sentire definire questa legge di bilancio “la manovra dei salari” lascia perplessi. Ci sono misure positive, sì, e lo riconosciamo, ma un anno di segno più non cancella quattro anni di segno meno. Chi guarda la busta paga ogni fine mese lo sa meglio di tutti».
«La strada – ha ribadito – non è il salario minimo legale. La strada è rinnovare i contratti alla scadenza, legare gli aumenti alla produttività vera, sostenere la contrattazione territoriale e aziendale, accompagnare tutto questo con una fiscalità più equa e con la partecipazione prevista dalla nostra legge 76/2025».
Sul Patto della responsabilità, Nava ha dichiarato: «il Patto è il banco di prova del riformismo. Non chiediamo favori, chiediamo responsabilità condivisa. Governo, imprese e sindacati devono vincolarsi a obiettivi misurabili: salari, sicurezza, produttività, formazione, competenze. Questa è l’unica strada per evitare che l’Italia scivoli davvero nel secolo post-welfare».
La Lombardia reale: “non basta dire che siamo la locomotiva”
La parte più operativa dell’intervento è stata dedicata alla Lombardia: «la Lombardia è la prima regione manifatturiera d’Europa, è vero, ma dentro i numeri ci sono part-time involontari, orari spezzati, affitti insostenibili, una sanità che mostra crepe evidenti, un lavoro di cura invisibile. La Lombardia è locomotiva, ma è anche il luogo dove le contraddizioni esplodono prima».
Sulla sanità: «le liste d’attesa non possono diventare muri invisibili. Vogliamo che le risorse aggiuntive siano il ponte verso una sanità più giusta, non una toppa su un sistema che perde pezzi».
Sulla sicurezza: «la formazione sulla sicurezza non è un adempimento burocratico, è cultura. Dobbiamo entrare nei cantieri, nelle scuole, nei reparti, dove gli infortuni avvengono davvero».
Sulla disabilità: «vogliamo un sistema che metta al centro i progetti di vita, che sostenga i caregiver, che riconosca chi lavora nei servizi».
E sulla casa: «se un operaio, un infermiere, un’insegnante non può più vivere vicino al luogo di lavoro, è una crepa nel modello lombardo. Per noi la casa non è un problema collaterale: è una condizione del lavoro dignitoso».
Intelligenza artificiale: “il pericolo non è la macchina che diventa come noi”
Il passaggio sull’intelligenza artificiale è stato tra i più intensi: «il vero pericolo non è che le macchine diventino come noi, il vero pericolo è che noi smettiamo di essere diversi dalle macchine. Se il lavoro diventa pura esecuzione, l’algoritmo ci sostituirà. Se torna a essere relazione, cura, responsabilità, l’intelligenza artificiale allora sarà un alleato».
«Difendere il lavoro con cura – ha spiegato – significa contrattare i tempi, i ritmi, il diritto alla disconnessione, impedire che l’algoritmo diventi il nuovo caporeparto invisibile, pretendere formazione vera quando arrivano nuove tecnologie».
“Il nostro posto non è nel Grand Hotel Abisso”
La chiusura è stata affidata a un’immagine evocata dall’Arcivescovo Delpini e reinterpretata da Nava: «viviamo in una casa piena di crepe: crepe nella demografia, nella città, nel welfare, nella sanità. Eppure, la casa non cade perché ogni giorno c’è qualcuno che si fa avanti: un educatore, un medico, una coppia, un giovane, un sindaco».
«Io credo che qui ci sia anche il nostro posto – ha aggiunto – Noi non prenderemo mai alloggio nel “Grand Hotel Abisso”, quel luogo comodo da cui si commenta il baratro. Il nostro posto è nei cantieri della casa comune: nei tavoli di confronto, nelle fabbriche, nei servizi, nelle scuole, accanto alle persone che tengono in piedi questo Paese ogni giorno».
Infine, un appello al Consiglio: «vi chiedo questo: usciamo da questo Consiglio con una decisione, personale e collettiva. La decisione di non abituarci alla brutalità, di non cedere alla rassegnazione, di non accettare il cinismo come lingua del Paese. Se saremo fedeli a questa scelta, la CISL Lombardia continuerà a tenere in piedi la casa comune di tutti. Insieme».






