Milano, 23.11.2015

Grazie al lavoro di sensibilizzazione portato avanti da sindacati, associazioni e operatori qualcosa sta cambiando e lo confermano anche gli ultimi dati Istat: nel 2004 solo il 4,6% delle donne presentava denuncia, nel 2014 l’11%. “Molto lavoro resta ancora da fare, ma il piano nazionale contro la violenza e quello regionale, appena varati, oltre all’attività in corso nelle scuole e con gli operatori sanitari sono presupposti importanti per sconfiggere il fenomeno – ha detto Alessandra Kustermann, responsabile Soccorso Violenza sessuale e domestica del Policlinico -. Intervenire sulla violenza però è molto complicato: nonostante il 30% delle donne che ha subito violenza abbia detto di avere temuto di morire è più forte il condizionamento che sta dietro la violenza stessa. Ritrattano, credono alle scuse del compagno o marito e pensano che un futuro migliore sia possibile”. La media degli episodi che una donna deve subire prima di lasciare un partner molto violento è elevata: secondo uno studio americano occorrono in media 12 episodi molto violenti. Da qui l’esigenza di attivare programmi di sensibilizzazione che partano dalla più tenera età, per educare i bambini a pensare che la violenza non risolva il problema. “L’esperienza maturata in Inghilterra dimostra che occorre avere un approccio olistico centrato sulla famiglia – ha detto Marina Calloni, docente di Filosofia politica in Bicocca – e quindi considerare che le relazioni tra tutti i componenti del nucleo familiare son importanti per prevenire e contrastare la violenza. Nel 2015 in Italia sono già state uccise 110 donne, il 95% dal loro partner”.
Nel corso della mattinata sono state illustrate alcune esperienze e buone pratiche di contrattazione per contrastare violenze e molestie nei luoghi di lavoro. Nel contratto nazionale firmato a febbraio con Federlegno, per esempio, è stato inserito un codice comportamentale per contrastare i troppo frequenti episodi di violenza sulle donne nei luoghi di lavoro. Altro caso interessante il progetto Amaranta, avviato nel 2014 in quattro comuni della provincia di Milano, cui anche Cgil, Cisl e Uil hanno lavorato come partner, dove grazie all’applicazione di un modello innovativo che concentra in un unico luogo gli attori chiamati a dare risposte concrete alle donne vittime di violenza e all’introduzione della figura del “case manager” si sta riuscendo ad incrementare il numero di denunce all’autorità giudiziaria.