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Cinema e lavoro nel 2003

In tema di lavoro ed economia pochi film dall’America ed una buona produzione italiana

Milano, 25.01.2017
 
Dal punto di vista economico il 2003 è caratterizzato dalla morte di Gianni Agnelli, dalla presidenza di Lula che rilancerà il Brasile, dalle crisi di Cirio e Parmalat, dalla firma del contratto dei metalmeccanici non sottoscritto dalla Fiom Cgil, dalla presidenza europea dell’Italia e dalle prime proposte di riforma delle pensioni.
 
La stagione cinematografica vede come campioni di incassi film interessanti come Alla ricerca di Nemo, quinto film della Pixar diretto da Andrew Stanton e Lee Unkrich, insieme ad opere piuttosto insignificanti come Il paradiso all’improvviso di Leonardo Pieraccioni ed il tradizionale film natalizio di Neri Parenti Natale in India.
Vanno però segnalate anche pellicole di alta qualità che si fanno spazio sul mercato come La meglio gioventù di Marco Tullio Giordana (girato per la tv ma con grande intelligenza cinematografica), Appuntamento a Belleville di Sylvain Chomet, Primavera, estate, autunno, inverno… e ancora primavera del coreano Kim Ki-duk, Mystic River di Clint Eastwood o, per rimanere in america, Elephant di Gus Van Sant. Premiato a Venezia ma non dal pubblico è invece Il ritorno di Andrei Zvyagintsev o l’ultima fatica di Ingmar Bergman Sarabanda.
 
In tema di lavoro ed economia invece pochi film dall’america ed una buona produzione italiana. Ma andiamo con ordine nell’esplorazione di questo atlante cinematografico.
 
Dagli Stati Uniti arrivano solo due opere che potremmo inserire nel genere ma ambedue poco significative. La migliore si intitola La casa di sabbia e nebbia e porta la firma dell’esordiente Vadim Perelman. Tra i protagonisti del film un ufficiale iraniano emigrato dopo la caduta dello Scià, che per mantenere la famiglia nel decoro accetta le umiliazioni di un lavoro come operaio e si scontra con una donna abbandonata dal marito con la casa messa all’asta ed acquisita dal nostro eroe. Un film sullo scontro anche culturale ben interpretato.
Premiato dal pubblico ma poco riuscita la commedia L’asilo dei papà di Steve Carr con Eddie Murphy che, perso il lavoro, deve occuparsi dei figli ma, insieme ad un amico, lo traduce in un affare inventando una nuova attività sotto forma di asilo alternativo.
 
Il nostro giro del mondo ci porta ora in Afganistan da dove arriva, prodotto anche dal Giappone grazie a Mohsen Makhmalbaf,  Osama di un autore per anni esiliato come Siddiq Barmak. Il film parla di una ragazza povera costretta a travestirsi da maschio per poter trovare lavoro e mantenere la famiglia di sole donne. Un film sulle condizioni disumane delle donne in paesi sotto la dominazione talebana e rappresenta la novità del cinema afgano occupandosi non solo delle persecuzioni ma anche delle  atrocità psicologiche del regime talebano. 
 
Un operaio campagnolo licenziato che in attesa di trovare lavoro si fa ospitare dal cugino di città è invece protagonista del film turco Uzak diretto con raffinatezza da Nuri Bilge Ceylan. Racconta dello scontro tra due persone di cultura e classe sociale diversa costrette a convivere. Premiato a Cannes dalla Giuria è interpretato da dei bravi attori che, meritatamente, hanno vinto la Palma d’Oro per la migliore interpretazione.
 
Arrivando in Europa giungiamo in Danimarca per segnalare l’opera di Per Fly dal titolo L’eredità. Tale eredità sono le acciaierie che il padre, suicidandosi, lascia al primogenito che dovrà imbarcarsi in una operazione drammatica che lo porterà alla separazione dalla famiglia e dagli amici. Un dramma collocato nel panorama economico globalizzato dove le scelte sono determinate da fattori esterni ed ai doveri di salvare una immagine di capitalismo familiare  che portano anche alla riduzione di personale licenziando anche amici e parenti pur di salvare l’azienda. Un film quindi sulla infelicità del potere. Ma anche un’opera che ha diviso la critica in quanto rappresenta, secondo alcuni, la fine del movimento Dogma 95 che aveva rivoluzionato il cinema danese.
 
Ed eccoci dai cugini francesi per segnalare Da quando Otar è partito della documentarista Julie Bertuccelli che getta uno sguardo sulla emigrazione, in questo caso georgiana, e sulle morti sul lavoro. In questo caso si tratta di nascondere la morte del figlio tanto amato alla madre attraverso una corrispondenza fasulla. Un tema difficile da trattare ma ben controllato che si occupa anche della situazione della Georgia post-comunista.
 
Infine il nostro paese che ci consegna una serie di film sul tema a volte significativi ed altre volte un po’ meno. Il più riuscito è senz’altro Il posto dell’anima di Riccardo Milani ambientato in Abruzzo dove una multinazionale controlla uno stabilimento che produce pneumatici destinato alla chiusura. Il film racconta l’occupazione della fabbrica e la lotta degli operai ma, concentrandosi su tre vicende private, mette in evidenza i tentativi di risolvere i problemi individualmente e le relative contraddizioni tra impegno civile e scelte pratiche. Un racconto amaro ma sincero sulla classe operaia che parla del lavoro in fabbrica, della sicurezza con alcuni voli ecologisti. Una pellicola utilizzata anche in alcuni seminari formativi su  temi quali la salute in fabbrica ed i rapporti con le multinazionali.
 
L’operaia Giovanna, sposata e madre di due figli ed alle prese con un lavoro precario  si diverte a spiare un vicino oggetto delle sue fantasie. E’ questo il soggetto di La finestra di fronte del regista turco Ferzan Ozpetek. Sarà un vecchio signore smemorato che la porterà a riscoprire la propria vita ed ad operare delle scelte. Un film sul desiderio e sulla memoria che farà incetta di premi.
 
Altro bel film sulla realtà del lavoro e del caporalato in un quartiere della periferia milanese è Fame chimica frutto di una ricerca sul campo e diretto da Paolo Vari ed Antonio Bocola. Un operaio precario ed un piccolo spacciatore sono i protagonisti della storia che racconta della disillusione sul futuro e del ricorso alla droga come effetto di tale mancanza di prospettive. Un film drammatico sulle sconfitte della vita. Nella storia della rivalità tra i due innamorati della stessa ragazza si inserisce una bella rappresentazione degli scontri sociali. Un film autoprodotto
Eccomi qua di Giacomo Ciarrapico invece presenta Matteo, precario romano alle prese con una vicenda di paternità e di relativa responsabilità verso un figlio. Altro film sulle giovani generazioni e sulla precarietà ma questa volta con il tono della commedia anche se non proprio briosa.
Prodotto nel nostro paese ma diretto da un italo-albanese è invece la commedia drammatica Lettere al vento. Il regista risponde al nome di Edmond Budina e racconta di un insegnante licenziato e costretto a commerciare in una Tirana caratterizzata dalla disgregazione e dalla criminalità organizzata che mette tutte le sue speranze nel figlio emigrato a Torino ma anch’esso coinvolto in affari poco puliti. Un ritratto sincero dell’Albania dell’epoca fatto da un ex oppositore del regime costretto a lavorare come operaio in Italia.
I lavoranti stagionali di una fattoria sono invece quelli che osserva  Franco Diavoli nel film Al primo soffio di vento. Un film poetico dove le voci dei personaggi sono ridotti a suoni nel contesto della natura, vera protagonista dei film del regista.
Una morte per incidente sul lavoro, una storia di lavoro nero ed una indagine sui potenti sono gli ingredienti del film di Pasquale Squitieri interpretato da Giorgio Albertazzi che si intitola L’avvocato De Gregorio. Un film esagerato che però getta uno sguardo sulla realtà partenopea.
Anche Gianluca Maria Tavarelli con Liberi si occupa di una figura operaia. In questo caso si tratta di un abruzzese licenziato dopo trent’anni che cade in depressione ed è abbandonato da moglie e figlio. Una commedia drammatica sul malessere.

 

Ancora licenziamento, fuga amorosa e depressione alla base del film drammatico Né terra né cielo di  Giuseppe Ferlito. In questo caso l’operaio protagonista inscena la protesta salendo su una ciminiera diventando un caso nazionale strumentalizzato dai mass media. Nel complesso però il film, nato dalla estensione di un lungometraggio precedente, non convince anche se riprende forme di protesta che nel frattempo diventano popolari.
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