Cinema e lavoro nel 2008

Milano, 21.11.2018

Molti documentari interessanti, soprattutto in Italia, che si occupano di lavoro nella cinematografia del 2008. Il quadro economico fa registrare l’inizio della crisi recessiva nel nostro paese, crisi che ha avuto ripercussioni su tutto il decennio e che prosegue ancora. In Italia si ha una riduzione del Pil del 3,1% mentre gli avvenimenti più importanti in merito ad economia e lavoro riguardano il lancio degli smartphone con il predominio di Apple, la crisi del governo Prodi sostituito da Berlusconi dopo un buon risultato della Lega Nord, l’elezione di Barack Obama negli Usa, la morte di cinque operai a Molfetta a causa delle esalazioni in un’autocisterna e Piazza Affari che chiude l’anno con un calo di quasi il 50%.

In campo cinematografico si registra il successo commerciale de Il cavaliere oscuro di Christopher Nolan. Indiana Jones e il regno del teschio di cristallo di Steve Spielberg e di Wall E di Andrew Stanton tra i prodotti americani e di Scusa ma ti chiamo amore di Federico Moccia e Gomorra di Matteo Garrone tra i film italiani.
Dal punto di vista qualitativo da segnalare l’edizione di Gran Torino di Clint Eastwood oltre ai già citati Gomorra e Wall-E od Il divo di Paolo Sorrentino. In campo documentaristico il film Morire di lavoro di Daniele Segre del quale parleremo più avanti.

Iniziamo quindi la nostra carrellata partendo dagli Usa che però non offrono molto. Un film sugli immigrati clandestini trasportati da una donna ai confini tra Stati Uniti e Canada che diventa un interessante noir: Frozen River – Fiume di ghiaccio girato dalla regista esordiente Courtney Hunt. L’unico altro film da citare riguarda l’industria delle cerimonie nunziali che fa da sfondo per la commedia romantica 27 volte in bianco per la regia di Anne Fletcher.
Ci trasferiamo invece in Giappone per entrare nel mondo delle cerimonie funerarie come ripiego per un vioncellista rimasto disoccupato. Si tratta di un film intenso diretto da Yojiro Takita dal titolo Departures che si è conquistato l’Oscar come miglior film straniero.

Veniamo in Europa da dove arrivano le opere migliori partendo dalla Germania con Machan – La vera storia di una falsa squadra prodotto insieme allo Sri Lanka ed all’Italia. Si tratta di un altro film sulla immigrazione che racconta la storia di alcuni cingalesi disperati che, pur di emigrare in Germania, si fanno passare per giocatori di pallamano e saranno costretti ad esibirsi. Si tratta di una bella commedia sulla ricerca di lavoro e di una nuova identità in una nuova terra diretta da Uberto Pasolini.
Dalla Francia due film di successo che parlano a loro modo di lavoro. Il primo è Louise-Michel dei registi Benoît Delépine e Gustave de Kervern mentre il secondo è il campione di incassi Giù al Nord di Dany Boon.

Louise-Michel nasce dall’idea di due registi televisivi che si ispirano ad una donna che nell’800 si batté per i diritti dei lavoratori. La vicenda riguarda una fabbrica tessile smantellata senza che i lavoratori siano stati avvisati. Con la loro liquidazione una decina di lavoratrici assoldano un sicario che vada alla ricerca del padrone per ucciderlo ma alla fine si scoprono solo dei paradisi fiscali invece che delle persone in carne ed ossa. Un film grottesco ma molto ancorato alla realtà che fu premiato in alcuni festival come al Sundance od a San Sebastian. Giù al Nord invece parla di un direttore delle poste di Aix-en-Provence trasferito per punizione vicino al confine belga dove si immagina una situazione di disagio climatico ed una popolazione barbara. Invece i rapporti con i colleghi sarà ottimo ma continuerà a mentire alla moglie che è convinta del contrario. Un divertente film sui pregiudizi e sulla comunicazione tra compagni di lavoro. Da segnalare, tra la produzione francese, anche il documentario La vie moderne del regista di origini contadine Raymond Depardon che raccoglie foto e documentazione sul mondo dal quale proviene.

E’ di produzione italo-francese invece Riparo di Marco Simon Puccioni che racconta dello sviluppo di una relazione tra una proprietaria di fabbrica di scarpe ed una operaia sua amante che accolgono in casa un adolescente immigrato illegalmente. Si tratta di un film riuscito che affronta i temi della immigrazione e della diversità in modo convincente anche grazie alle interpreti.

La produzione italiana invece si segnala per la qualità dei documentari oltre a qualche interessante lungometraggio. Iniziamo da Riprendimi della regista Anna Negri che racconta il precariato nel mondo dello spettacolo attraverso una commedia che si occupa di documentaristi che seguono, in modo separato, la vita di due coniugi “lavoratori dello spettacolo”. Essi si separeranno anche per effetto della insicurezza del lavoro. Altra commedia interessante, purtroppo non premiata dal pubblico, è il film di Giulio Manfredonia su un sindacalista (Claudio Bisio) mandato a dirigere una cooperativa che raccoglie i malati psichici, oramai fuori dall’ospedale dopo la legge Basaglia, inventando dei lavori che saranno il tramite per il loro riscatto sociale. Il titolo della commedia è Si può fare. Ha invece un buon successo anche al botteghino Tutta la vita davanti di Paolo Virzì, anch’essa una pellicola dedicata al tema del precariato. Questa volta si tratta della vicenda di una laureata che deve adattarsi dapprima a fare la baby sitter e poi impiegarsi in un call center dove, dietro all’apparente allegria con la quale vengono motivate le dipendenti, ci sta un grande sfruttamento.

Altro lungometraggio da segnalare è Mario il mago, una produzione italo ungherese per la regia di Tamás Almási. In questo caso il racconto riguarda l’imprenditoria d’assalto e disinvolta che inventa una fabbrica di scarpe in Ungheria approfittando della manodopera a basso costo dopo la caduta del muro di Berlino. Almási proviene dal documentario e sa come raccontare il fenomeno della precarizzazione indotta dall’imprenditoria senza scrupoli. Ultimo lungometraggio uscito sui nostri schermi è Fuga dal call center di Federico Rizzo che racconta la storia di una coppia di centralinisti alternata ad interviste dei vari lavoratori dei call center. Questi ultimi titoli ci introducono alla dimensione documentaristica.

E veniamo quindi proprio al capitolo documentari segnalando in prima istanza Morire di lavoro di Daniele Segre. Il film mette in scena racconti e testimonianze di familiari e lavoratori feriti o morti sul lavoro dalle quali emerge sia il dolore che la rabbia ma anche la dignità del lavoro. Peccato che il materiale sia stato rifiutato dalle case distributrici e quindi ha avuto solo circolazione limitata nei circoli culturali ma ancor oggi è un documento fondamentale sul tema. Tra l’altro uno delle poche opere che parla di caporalato (forse solo un mediometraggio di Mariangela Barbanente dal titolo Sole se ne era occupato fino ad allora). Un secondo documentario da segnalare è Piazzàti che Giorgio Diritti ha girato durante le riprese de Il vento fa il suo giro. Anche qui, attraverso le interviste, emerge il duro lavoro dei valligiani, in particolare della pastorizia, oltre alla emigrazione clandestina in Francia. Dopo la vicenda ThyssenKrupp dell’anno precedente due documentari si occupano della morte degli operai sulla linea 5 della acciaieria. Il primo è La fabbrica dei tedeschi di Mimmo Calopresti che mette in scena sia attori che testimoni per raccontare i limiti della sicurezza ma anche la disattenzione del sindacato in merito. Il secondo film è ThyssenKrupp Blues di Pietro Balla e Monica Repetto che racconta la vicenda di uno dei lavoratori il quale, dopo la tragedia, si trova in cassa integrazione e ritorna al suo paese in Calabria ma non può dimenticare ciò che è avvenuto. Infine altro documentario da segnalare in questo anno prolifico per la produzione è Signori professori di Maura Delpero dove vi sono alcune testimonianze sulla scuola ed anche sul precariato.