Cinema e lavoro – La bas. Educazione criminale

Un film di Guido Lombardi (Italia 2011)

Milano, 16.7.2020

Regia: Guido Lombardi – Sceneggiatura: Guido Lombardi – Fotografia: Francesca Amitrano – Montaggio: Annalisa Forgione, Beppe Leonetti –Musiche: Giordano Corapi – Interpreti: Kader Alassane, Esther Elisha, Moussa Mone, Billi Serigne Faye, Alassane Doulougou, Fatima Traore, Salvatore Ruocco – Produzione: Eskimo, Figli del Bronx Produzioni, Minerva Pictures – Distribuzione: Istituto Luce – Cinecittà – Durata: 100 min.

Castel Volturno, circa trenta chilometri da Napoli. E’ il 18 settembre 2008. Un commando di camorristi irrompe in una sartoria di immigrati africani. Sparano all’impazzata un centinaio di proiettili, ammazzando sei ragazzi di colore e ferendone un altro gravemente. Yussouf, un giovane immigrato, ha deciso quella stessa sera di chiudere i conti con suo zio Moses. L’uomo che lo ha convinto a venire in Italia. Promettendogli un futuro da onesto artigiano e trasformandolo invece nel cinico gestore di un giro milionario di cocaina. Invischiati nella loro storia, un altro ragazzo africano, Germain, finito per caso nel luogo della strage; la sua ragazza Asetù, che quella stessa sera canta in pubblico una canzone di Miriam Makeba; Suad, una prostituta che Yussouf sogna di riscattare dai suoi padroni.

Lo sfruttamento e la criminalità organizzata vista con gli occhi degli immigrati. Una analisi delle relazioni camorra-clan africani e della rivalità interne della comunità africana, utilizzando i verbali del processo. Una fotografia del nostro paese alle prese con la questione irrisolta dell’immigrazione che visse, in fase di lavorazione, anche le polemiche di chi voleva salvare il buon nome di Castel Volturno. Tra i promotori sia i’assessorato regionale al lavoro che i missionari comboniani.

LA CRITICA

Per il giovane Yousssuf l’arrivo a Napoli e dintorni è subito la scoperta di un altro mondo. Connazionali che vendono fazzoletti ai semafori (e lui, benestante tanto da essere arrivato in aereo, cerca soldi ma non per sopravvivere quanto per continuare a svolgere la sua attività di scultore), altri immigrati che vivono accalcati in modeste abitazioni, violenza strisciante ovunque. Cerca lo zio Moses, che doveva venirlo a prendere, e che per tre giorni non risponde al telefono e non dà notizie di sé. E quando lo trova è conciato male: ha davvero avuto un incidente? Ma poi, dopo i primi lavoretti mal pagati e con personaggi odiosi, tutto cambia quando accetta – dopo una certa riluttanza – di aiutare lo zio nei suoi traffici di cocaina nell’area di Castelvolturno. Arrivano soldi, bei vestiti, rispetto e protezione, e un’educazione al crimine necessaria per sopravvivere in una zona che sembra un teatro di guerra. E infatti ben presto arriveranno i problemi, in un’area – dominata dalla Camorra – in cui le alleanze e gli equilibri per il controllo del territorio sono sempre a rischio: e chi si allarga troppo può pagare un prezzo molto alto. Ma anche persone innocenti che passano nel momento sbagliato., Là-Bas – Educazione criminale (dove là-bas significa laggiù: l’Italia per gli africani, o l’Africa vista dall’Italia) è un esordio alla regia anomalo nel panorama del cinema italiano. Il regista Guido Lombardi, già operatore con Abel Ferrara per il documentario Napoli, Napoli, Napoli, sceglie non solo di raccontare le vicende dal punto di vista degli immigrati, ma di farlo con estremo realismo grazie ad attori quasi tutti non professionisti e che non parlano l’italiano (il film è quasi tutto in francese con i sottotitoli, peraltro utilizzati anche per i malviventi campani), tanto che l’opera sembra europea e internazionale. A confermare questa impressione è lo stile, mosso, nervoso, accattivante – un po’ come in Gomorra di Matteo Garrone, di cui Là-Bas sembra quasi un episodio aggiuntivo – che il regista, premiato a Venezia 2011 con il Leone del futuro per la migliore opera prima, imprime al racconto. Si vedono cose turpi e si respira angoscia, in questa immersione in un mondo in cui minacce e violenza fanno pensare sempre al peggio, la vita non è considerata un valore (la ragazza che muore durante il trasporto di ovuli di cocaina nella pancia, recuperati poi da un “chirurgo” sbrigativo), le prospettive per chi vuole rimanere fuori da certi “giri” sono poche e incerte. Ma non c’è solo un’osservazione verista e scabra, assolutamente non idealizzata degli immigrati (tra di loro ci sono le vittime e ci sono i violenti) ma anche una capacità di proporre personaggi a tutto tondo e squarci poetici notevoli, in questo contesto di brutture: la scoperta del mare («non l’avevi mai visto?»; «sì, dall’aereo»); l’incontro casuale all’alba con la ragazza di cui Youssuf si è invaghito, che si scopre essere una prostituta; la fuga nudo nella notte. Per gli spettatori, un’occasione di scoprire realtà di cui spesso non si vuole sapere. E infatti pochi ricordano che la strage che si vede nel film, di sei ragazzi neri, è realmente avvenuta a Castelvolturno nel 2008. Per il cinema italiano, invece, un altro regista interessante e talentuoso da tener d’occhio con attenzione. (Antonio Autieri – Sentieri del cinema)

Come negli episodi di Gomorra di Roberto Saviano, la sostanza dell’inchiesta e la prova del documento incontrano la forma della narrazione classica e la creazione di personaggi avvincenti e complessi, con cui condividere i dissidi interiori e i dubbi morali, il respiro tragico e la redenzione finale. È in questo senso, infatti, che il regista napoletano configura l’identità del personaggio attraverso un gioco di vicinanze e lontananze, divari visibili e invisibili fra storia e finzione. Così, mentre la distanza geografica e linguistica si acuisce nel momento in cui l’italiano diventa la vera lingua straniera in questa storia – lingua marginale parlata giusto da qualche camorrista – quella culturale si assottiglia attraverso la potenza universale della tragedia classica. L’idea di restare ancorati a Yssouf e di muoversi unicamente all’interno della comunità africana con cui lui si scontra e si confronta, permette così al film di mantenere un ideale pedagogico, di farsi sguardo indagatore e analitico sulla quotidianità dell’immigrazione, senza diventare una lezione retorica sull’accoglienza o uno spot contro il razzismo. (Edoardo Becattini – MyMovies)

Meritatissimo Leone del Futuro di questa 68. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica, la pellicola di Lombardi tratta con realismo e lucidità il tema dell’immigrazione usando come pretesto una storia come tante, quella di Yssouf, giovane immigrato africano. Come tanti altri prima e dopo di lui, arriva in Italia convinto di trovare qui la terra delle opportunità. E come tanti altri scopre che la realtà è molto diversa da ciò che gli era stato raccontato. Là-bas, opera prima di Guido Lombardi, è una pellicola che colpisce allo stomaco e non lascia scampo, una pellicola che unisce invenzione e realtà in un crescendo di emozioni che sfoceranno in una scena finale cristologica e drammatica allo stesso tempo. È la storia di Yssouf, un giovane immigrato africano, che decide di venire in Italia, su incoraggiamento di suo zio Moses, per guadagnare la cifra necessaria a comprare uno strumento per scolpire con più rapidità e precisione le sue sculture in ferro. Giunto a destinazione, scopre che suo zio è a capo di un’organizzazione criminale e che il modo più rapido per guadagnare la somma necessaria è unirsi a lui ed entrare a far parte del suo giro di droga. Tutto sarebbe più facile se Yssouf, prima di raggiungere Moses, non avesse conosciuto Germain, un connazionale, o Idris, il direttore della Casa delle Candele, e non avesse intravisto un altro modo di vivere. Un modo che certo non porta ad arricchirsi (Germain vende fazzoletti ai semafori) ma che non intacca la coscienza. E che permette a Germain, a Idris, ad Asetù e a Mamma Africa di vivere assieme, uniti fra loro come una famiglia e pronti a sostenersi l’un con l’altro in un mondo che gli è ostile. Non è così nell’universo di Yssouf: la sua vita ha un valore solo finché porta a dei guadagni e nessuno piangerebbe la sua morte, nemmeno Moses. Una lotta tra due bande camorriste porterà a una strage che non farà distinzione tra innocenti e colpevoli e che segnerà la fine e al contempo la rinascita di Yssouf. È una pellicola che non fa sconti, Là-bas, che non scade in luoghi comuni o patetismi. Non commette l’errore di criminalizzare gli immigrati ma nemmeno quello di santificarli: quella che compie Yssouf è una scelta, volontaria e consapevole seppure ingenua. Non ci sono toni eccessivamente cupi o drammatici, è una regia neutra, quasi volesse essere un documentario, che segue Yssouf per le strade di Castelvolturno, dove si parla francese e non italiano e dove vivono circa ventimila africani, arrivati in Italia inseguendo il sogno dei soldi facili. È qui a Castelvolturno che è avvenuta la strage del 18 settembre del 2008, in cui sei immigrati senza nessun indizio di attività criminale alle spalle sono stati massacrati in una sartoria. Quello che fa Lombardi è dare loro una storia, una vita; è contrapporre alla morte senza senso di Germain la rinascita di Yssuf; una rinascita morale che Idris accetta senza fare domande, coprendo con una bandiera la sua nudità, e che lascia allo spettatore un sottilissimo filo di speranza. (Caterina Vittori – Non solo cinema)

“Là-bas, là in fondo, lontano, è il titolo che contraddice il film, che ci porta assai vicino a condividere la vita quotidiana degli «amici africani». I personaggi si stagliano vividi, anche per l’abilità di operatore consumato di Guido Lombardi (ha lavorato anche con Abel Ferrara e Paolo Sorrentino), ma soprattutto per l’avvicinamento emotivo ai personaggi. (…) Kader Alassane (Yssouf) originario del Benin, trasferitosi a Napoli, ha incontrato Nsangu Maulidi Kagutta, ghanese, in arte G Family (nel film è il sarto Sakele), titolare a Forcella di un’etichetta discografica, la See Records, specializzata in gruppi africani. Moussa Mone (Moses) è stato direttore commerciale di una casa discografica e ha organizzato concerti di gruppi africani a Napoli. L’unica attrice professionista del gruppo è Esther Elisha (Suad). Il film, una scoperta della Settimana della critica a Venezia, ha vinto come miglior film d’esordio alla Mostra e al festival di Pusan”. (Silvana Silvestri, ‘Il Manifesto’, 9 marzo 2012)