Cinema e lavoro – L’esplosivo piano di Bazil

Milano, 24.1.2020

REGIA: Jean-Pierre Jeunet SCENEGGIATURA: Jean-Pierre Jeunet – Guillaume Laurant FOTOGRAFIA: Tetsuo Nagata MONTAGGIO: Hervé Schneid MUSICHE: Raphaël Beau INTERPRETI Jean-Pierre Marielle, Nicolas Marié, André Dussollier, Michel Cremades, Dominique Pinon, Julie Ferrier, Dany Boon PRODUZIONE: Epithète Films – Tapioca Films – Warner Bros Entertainment – France 2 Cinéma DISTRIBUZIONE: Warner Bros DURATA 105 min.

Bazil è un uomo a cui la vita non è stata gioiosa: rimane orfano di padre morto in giovane età a causa di una mina antiuomo nel Sahara Marocchino, la madre viene internata in un manicomio e lui viene spedito in un severo collegio di suore da cui scappa. Dopo molti anni sembra aver trovato una stabilità e un lavoro presso una videoteca, ma una notte e gli assiste ad una sparatoria e viene intercettato accideltalmente da un proiettile, che risulta in seguito impossibile da togliere senza che lui muoia, e che gli provocano dei mancamenti per tutto il film. A seguito di questo ennesimo sfortunato evento viene sfrattato di casa e perde il lavoro, ma viene “adottato” da una bizzarra congrega di senzatetto e freaks a Tire-Larigots, una fantastica grotta costruita nel cuore di una montagna di materiali riciclati. C’è Remington, un uomo africano che parla solo con detti e proverbi, Calculette, che per l’apputno ha la dote di calcolare tutto con precisione millimetrica, Fracasse, un ex uomo armato , Placard, sopravvissuto alla ghigliottina , Cacciù, una contorsionista , Petit-Pierre, che armeggia con automi e meccanismi di ogni tipo, e infine Tambouille, la cuoca che ha adottato tutta questa tribù. Mentre si abitua a questa nuova vita, scopre quasi per caso i produttori del proiettile che lo ha colpito e della mina che uccise il padre: La Vigilante de l’Armement e Les Arsenaux d’Aubervilliers, di proprietà rispettivamente di Nicolas Thibault de Fenouillet, individuo all’apparenza calmo e con la macabra passione di collezionare parti del corpo di personaggi famosi, amico personale del Presidente della Repubblica e François Marconi, individuo impulsivo e particolarmente irritabile, che hanno sede ai lati opposti di una stessa strada. Deciso a farla pagare ad entrambe le imprese, escogiterà un intricato piano per metterle una contro l’altra, grazie anche all’aiuto dei suoi nuovi amici: per prima cosa fa fallire delle consegne di prototipi di arsenali, dopodiché reca danni di natura personale ad entrambi i dirigenti, facendogli credere ad uno che la colpa sia dell’altro e viceversa, fino a che i due non cominciano a sabotarsi a vicenda. Durante un’effrazione a casa di Marconi, però, Bazil rimane intrappolato e costretto a rimanere nel suo nascondiglio a causa di alcuni vecchi clienti di Marconi che in precedenza lui aveva fatto arrestare, che credono l’industriale colpevole e per questo intendono ucciderlo, ma vengono eliminati da Thibault, il quale si reca personalmente a casa del suo rivale per ucciderlo, am entrambi scoprono Bazil e, avendolo già incontrato in precedenza, capiscono che la causa dei loro problemi è lui. Dopo essersi temporaneamente alleati, i due industriali decidono di portare Bazil in un luogo sicuro per eliminarlo, ma vengono intercettati dagli amici di Bazil, che lo salvano e li sequestrano. I senzatetto fanno credere loro di essere stati deportati in Africa e sono alla mercé delle vittime delle loro vendite di armi. Marconi e Thibault de Fenouillet, credendo di ottenere la simpatia dei loro carcerieri, confessano le loro rispettive complicità con vari gruppi e fazioni terroristiche, e a quel punto i protagonisti rivelano il loro travestimento e una videocamera. La confessione è condivisa online, causando la rovina di entrambi gli uomini e le loro imprese, mentre Bazil festeggia con i suoi amici e con Cacciù, con la quale ha iniziato una relazione.

Una commedia “pacifista” che riflette sul mercato delle armi e sul potere in modo sarcastico in una sorta di poetica della realtà vista dalla parte degli ultimi.

LA CRITICA

Si può girare una commedia spensierata muovendo al contempo una feroce critica alla società industriale e alla classe politica? È possibile giocando con i soldatini riuscire a smuovere le coscienze degli uomini? A guardare Jeunet, non sembra impossibile: il francese rovescia la scatola dei giochi sull’asfalto delle periferie parigine e combina i pezzi uscendo dalla realtà per raggiungere una dimensione cartoonesca, caratterizzata da personaggi che sembrano usciti da un libro per ragazzi e da una serie di invenzioni fantastiche (come le sculture automatizzate prese in prestito dall’artista Gilbert Peyre).
Uno spettacolo scatenato, durante il quale si viene travolti dall’energia e dall’entusiasmo del regista che mostra tutta la sua abilità con le tecniche di ripresa, dispensa incursioni animate visionarie, farcisce il racconto con gustose reminiscenze fanciullesche (il modo di mangiare il “formaggino” del protagonista), lo adorna con stratagemmi figli dei nostri tempi (l’auto-product placement o l’utilizzo come espediente narrativo di YouTube), omaggia Carné, Leone, Chaplin, Bogart, Mission Impossible. Praticamente, un film nel film.
Uno sguardo ironico e caustico, irriverente e provocatorio, ma anche disordinato e chiassoso, attento al focus della vicenda e a descrivere gli intrecci tra manager, trafficanti d’armi e politica (di Sarkozy…) dietro un velo fatto di gag a mascherare con sarcasmo (la sequenza dei gamberoni è da infiocchettare) le responsabilità, l’ipocrisia e i vezzi del potere.
I meriti dell’efficacia di un lavoro che si muove stando in bilico sul filo dell’eccesso vanno anche ricercati in una sceneggiatura per lunghi tratti sbalorditiva e nel cast perfettamente amalgamato ed armonioso laddove, forse, è proprio Boon a mostrare qualche crepa; non perché non sia brillante o adatto al ruolo, ma perché si dedica più all’imitazione di “Charlot” e Tati piuttosto che inventarsi il suo Bazil.
Qualche vizio naturalmente c’è, come un calo di creatività nella parte centrale o quella scena – stridente – pregnante di retorica che mostra le foto dei bambini mutiliati dalle bombe; ma sono delle minuzie perché “L’esplosivo piano di Bazil ” è una dichiarazione d’amore al cinema e ai cinefili, un irresistibile godimento per occhi e orecchie, una delle più deliziose buffonate mai concepite e, visto il periodo natalizio, un piccolo regalo da scartare nelle sale sotto il grande schermo. (Nicola DiFrancesco – Ondacinema)

Il titolo originale Micmacs à tire-larigot è un’espressione idiomatica francese non facilmente traducibile in italiano (letteralmente potrebbe suonare “gabole” – o, a seconda dei dialetti, “sgamuffi” o “babbuffi” – a più non posso) e i traduttori italiani hanno pensato bene di recuperare – anche in chiave commerciale – un’assonanza con il titolo più famoso del regista, quel Favoloso mondo di Amélie con cui pure questo film ha dei punti di contatto. Se Amèlie celebrava la poesia delle piccole cose, Bazil celebra la poesia dei “piccoli” (dei “sommersi”, direbbe Primo Levi), dei diseredati della terra, un manipolo di strampalati antieroi che vive delle briciole cadute dalle tavole dei potenti. Tra i bidoni della spazzatura, in un sottosuolo parigino reinventato come mondo grottesco e fiabesco allo stesso tempo, vive una piccola comunità di spiantati (di “freaks”, direbbero i critici cinematografici) tutti con un dono particolare. Sotto l’ala protettiva e un po’ manesca di Tambouille, donna materna e abile cuoca, si rifugiano un vecchio graziato dalla pena di morte per aver fatto fallire una ghigliottina, un africano che parla solo attraverso modi di dire, un uomo proiettile entrato nel Guinness dei primati, una timida ragazza col bernoccolo della matematica, un’agilissima contorsionista e altri ancora. Bazil è il commesso di una videoteca che, coinvolto suo malgrado in una sparatoria tra malviventi, si ritrova con un proiettile conficcato in testa e, sopravvissuto all’incidente, perde oltre a diverse rotelle, anche il lavoro. È allora che viene reclutato in questa bizzarra squadra in cui, gli dicono, tutti devono aiutare tutti, altrimenti non si sopravvive. Così l’uomo, sostenuto e allevato in questa comunità di perdenti, impara una verità fondamentale, cioè che ognuno di noi è al mondo per uno scopo. Bazil trova il suo il giorno in cui, percorrendo una strada della città, scopre che di fronte all’industria di pistole da cui è uscito il proiettile che gli ha fritto il cervello, troneggia la fabbrica di mine anti uomo che trent’anni prima gli ha portato via suo padre in Algeria. Più che una coincidenza è un segno: allora forse vale la pena prendere due piccioni con una fava.,Se dovessimo riassumere il film in una formula, potremmo dire che L’armata Brancaleone incontra Ocean’s Eleven. Jean-Pierre Jeunet, insieme al fido sceneggiatore Guillame Laurant, propone una favola moderna ottenuta con materiali di recupero anche se la sua mano, come spesso gli accade, non è proprio leggera (nel prologo, per esempio, si presenta l’educazione cattolica come tra le responsabili dell’infelicità del protagonista, anche se va detto che è una scena talmente rapida che ce ne si dimentica presto). Il bersaglio del film – i mercanti di armi che seminano morte e speculano sul sangue versato dagli altri – è quello giusto anche se forse un po’ troppo programmatico per evitare una certa pesantezza di fondo. Da notare infine come il cinema francese continui, sia pure come qui solo con rapidi accenni, a riflettere su certe svolte politiche degli ultimi anni facendo riferimento sempre più frequentemente al suo passato coloniale (una sorta di peccato originale incancellabile che emerge in diversa misura in film come Niente da nascondere o Nemico pubblico n.1). A questo piano esplosivo, che è orchestrato davvero bene (regia, sceneggiatura, montaggio e fotografia sono perfetti) e che è pieno di personaggi originali e divertentissime gag soprattutto visive, manca allora solo un po’ di grazia.  (Raffaele Chiarulli – Sentieri di cinema)

“Arrivano i rigattieri. Basta rientrare nel meraviglioso universo cinematografico di Jean-Pierre Jeunet. L’inventore/regista de ‘II favoloso mondo di Amelie’ e ‘La città dei bambini perduti’ torna dopo sei anni in sala (…) con ‘Micmacs à tire-larigot’, titolo gergale che in italiano è diventato ‘L’esplosivo piano di Bazil’. (…) Jeunet ripropone le sue peculiari coordinate poetico/estetiche: morale da fiaba moderna con poveri stravaganti cristi in ambasce, spettacolari e repentini movimenti di macchina per deformare le tradizionali prospettive. Micmacs è una favola/parabola alla Davide contro Golia, dove i trafficanti d’armi non soccombono tanto alla giustizia universale, quanto alla forza e alle ragioni di una politicissima fantasia: spassoso tourbillon di trucchetti e caratterizzazioni a cui soggiacciono etica del riciclo e funzionalità globalizzanti di youtube.” (Davide Turrini, ‘Liberazione’, 17 dicembre 2010)