Cinema e lavoro – L’intrepido

Un film di Gianni Amelio (Italia 2013)

Milano, 16.11.2020

Regia: Gianni Amelio – Sceneggiatura: Davide Lantieri, Gianni Amelio – Fotografia: Luca Bigazzi – Montaggio: Simona Paggi – Musica: Franco Piersanti – Interpreti: Alfonso Santagata, Antonio Albanese, Gabriele Rendina, Livia Rossi, Sandra Ceccarelli – Produzione: Palomar, Rai Cinema Distribuzione 01 – Durata: 104′.

Antonio è un uomo speciale. Vive a Milano e ogni giorno, pur di non risvegliarsi la mattina senza sapere cosa farà, pratica un lavoro particolare, il “rimpiazzo”, sostituendo, anche per poche ore, lavoratori di qualsiasi tipo che si assentano dal lavoro per cause più o meno valide. Una volta, mentre fa l’attacchino di manifesti, gli rubano la bici, come nel film Ladri di biciclette. Fa di tutto, lavora in qualsiasi luogo, pur di essere pagato, anche per molto poco, ma non si arrende mai. E, nonostante tutto, riesce ad aiutare la gente che gli sta intorno, sempre col sorriso sulle labbra. Antonio, inoltre, aveva una moglie, che lo ha lasciato per un uomo dalle ricchezze più solide, e un figlio, con il quale ha mantenuto un bellissimo rapporto, che studia sassofono al conservatorio, e fa parte di una band. Il ventenne, però, è più fragile del padre, e alcune volte, prima di esibirsi, è affetto da forti attacchi di panico che non riesce a controllare. Antonio, intanto, conosce Lucia, una ragazza della stessa età di suo figlio, che non riesce ad affrontare la vita con la stessa forza di Antonio, e a cui offre un aiuto disinteressato, durante un concorso, passandole le risposte con il rischio di farsi scoprire dall’assistente. Alla fine, però, Lucia, a causa della troppa confusione e della debolezza che la affliggono, si suicida, schiacciata dal peso della propria vita. Antonio, pur di cercare di rendere la sua vita migliore, si trasferisce in Albania, dove cerca ancora lavoro. Dopo qualche tempo l’uomo, saputo che il figlio sta per dare un concerto a Tirana, decide di andarlo a vedere e si ritrova ad aiutarlo durante uno dei suoi tanti attacchi di panico, prima dell’esibizione. Antonio non sa cosa sia la paura, ormai gli è sconosciuta, e alla fine, non riuscendo a tranquillizzarlo completamente, lo sostituisce per un po’ nel suonare il sax, con le sue poche conoscenze di musica. Il figlio, vedendo il grande atto di altruismo del padre, finalmente si sblocca, andando a suonare sul palco. Nella scena finale vediamo Antonio che, camminando su una strada buia, si volta a guardare la telecamera, sempre con il suo immancabile sorriso sulle labbra.

Un film che divide quello di Amelio. Forse più realistico di quel che sembra per quanto ritrae l’ingenuità delle persone che si accontentano ma anche una lancia spezzata a favore della dignità dei lavoratori. Riportiamo a titolo di esempio recensioni contrastanti.

LA CRITICA

11° film per il cinema di Amelio: è troppo originale per poter avere un grande successo di pubblico. Lo hanno paragonato a una nuvola: mentre lo guardi, cambia forma, una commedia che diverte e commuove. Difficile stabilire fino a che punto le responsabilità o i meriti siano di chi l’ha scritto (Amelio con Davide Lantieri) e dove cominci l’apporto di Albanese che fa di Antonio Pane, intrepido nella sua bontà, un personaggio indimenticabile. L’azione si svolge nella Milano del primo 2000 (fotografata benissimo da Luca Bigazzi). Pane, di mestiere, fa il rimpiazzo: sostituisce quasi ogni giorno qualcuno che deve assentarsi dal lavoro per ragioni più o meno serie. Non lo fa per gioco, si limita a prendere qualche soldo, spesso pochi. Amelio fa film che non si raccontano, ama il sentimento di speranza, il rispetto per l’essere umano, la difesa appassionata della sua dignità. (Morando Morandini)

Gianni Amelio ha creato e plasmato il personaggio di Antonio Pane avendo come modello nientepopodimenoche Antonio Albanese creando senza dubbio un carattere, un ruolo, un “uomo” diversi da quanti se ne possono incontrare perché forte della sua essenza e delle sue convinzioni. Antonio Pane, infatti, è un disoccupato che per vivere fa un lavoro davvero particolare: il rimpiazzo. Questo significa che lui non fa altro che sostituirsi a qualcuno che in quel preciso giorno non può recarsi a lavoro. E, ad “ingaggiarlo” c’è un sinistro e no raccomandabile uomo anziano, il Maltese (Alfonso Santagata) che dietro la facciata di una palestra nasconde degli strani segreti. E non precisamente “a norma di legge”. In questo modo, Antonio si ritrova a lavorare come operaio edile, come addetto alle pulizie negli stadi, come uomo di fatica al mercato ittico..si adatta e si arrangia a lavorare consegnando pizze a domicilio, lavorando in una tintoria industriale persino vendendo rose in un ristorante. In realtà, Antonio ha studiato per diventare maestro e continua a fare concorsi sperando di poter trovare quel “posto fisso” che oggi pare essere una chimera, un qualcosa di inimmaginabile. Eppure, non appare un uomo frustrato nonostante le tante difficoltà che la vita gli impone di affrontare: il disagio economico, un matrimonio fallito, la vergogna di dover chiedere aiuto al figlio.. Sì, perché Antonio ha una figlio: si chiama Ivo (Gabriele Rendina) e studia al conservatorio. Antonio per il suo Ivo desidera che possa realizzarsi nel campo della Musica chiedendogli di non abbandonare mai il suo sogno e ciò in cui crede. Attraverso il suo candore, la sua purezza instaura con il ragazzo un rapporto particolare fatto anche di liti ma avendo alla base un legame forte, solido dove a parlare sono anche gli sguardi e i silenzi. Antonio è un uomo di quasi cinquant’anni non particolarmente felice di questa vita che non offre alcuna sicurezza ma appare sereno: i suoi occhi sono sempre accesi e illuminati come se vedessero e scoprissero il mondo per la prima. Ed è con questo sguardo verso l’esterno che incontra Lucia (Livia Rossi), ragazza con grandi e profondi problemi psicologici che la conducono a commettere un atto irreparabile. I due nei loro incontri sembrano raccontarsi molto anche senza parlare troppo apertamente e il legame che li unisce diventa pian piano indispensabile e unico con quei dolci sorrisi, quei silenzi e quella profonda ed esclusiva comprensione. Antonio non ha vita semplice eppure ha sempre gli occhi puntati verso il “domani”, senza mai fermarsi, senza mai stancarsi di lavorare, senza mai mostrare un segno di sconfitta, di dolore.. “semplicemente” (come le inquadrature di Gianni Amelio raccontano) guarda avanti, volta le spalle a ciò che è successo e riprende il suo cammino, mantenendo intatta e pura la sua dignità e integro il rispetto di se stesso.. E questo ricorda molto la scena finale di Charlie Chaplin nel celeberrimo Tempi Moderni. Ed è, forse, questa la morale di questo delicato film: andare avanti sempre, intrepidi, forse un po’ traballanti, dal passo incerto.. ma senza mai fermarsi. E questa rimane sempre una grande lezione di vita..che Antonio Albanese e Gianni Amelio rendono, attraverso questo film -un misto di comico e drammatico – “leggera” ma altrettanto efficace, vera, forte, reale. E di questo parere sembra essere anche lo stesso Antonio Albanese che, entusiasta del suo personaggio e del film di Gianni Amelio, dice, “In questo film il mio lavoro segue un filo delicato, apparentemente invariato, ma invece ricchissimo di sfumature. E l’indagine sul personaggio, che ho avuto il privilegio di condurre insieme ad Amelio, è stata un’esperienza che conserverò a lungo e dalla quale ho imparato, molto. Mi piace il sentimento profondo di speranza che attraversa il film, il rispetto per l’essere umano, la difesa appassionata della sua dignità”. (Chiara Ricci – CineMio)

C’è un grande equivoco alla base del nuovo film di Amelio, L’intrepido: scambiare un cretino per un buono. Antonio, il protagonista (Antonio Albanese), è solo questo, un cretino, in uno dei sensi a cui la complessa etimologia del termine pare rinviare: uno assorto nella contemplazione di cose “celesti” o, più semplicemente, che non hanno a che fare con la realtà. E questo è il nodo irrisolto e moralmente insopportabile del film. Sì, moralmente: perché Antonio, da buon cretino, è destinato a scivolare da un ruolo a un altro, senza incidere minimamente sulla realtà: fa tutto e non fa niente. Aspetta, contempla, dice cose buone e perlopiù false (ma nel mondo dei “celesti” forse vere), e le sue parole, come i suoi gesti, si dissolvono inavvertite, un indifferente rimpiazzo della realtà. È peggio di un moralista, e lontano anni luce da un sano immoralista: non ha alcuna visione del mondo, se non cretinamente celestiale, e, di conseguenza, nessuna possibilità di cambiarlo. Del resto, mentre attorno a lui si svolge un raduno sindacale, Antonio gonfia senza successo una serie di palloncini: come ogni buon cretino, non sa neppure distinguere ciò che è importante da ciò che non lo è, e quindi ciò per cui vale la pena usare i polmoni (Antonio non sa gridare). Come ogni buon cretino, è anche un qualunquista, incapace, anche solo per gioco, di scegliere con chi andare a letto per salvarsi la vita – tra Brad Pitt, Obama, Woody Allen, uno vale l’altro; il piacere (e il dolore) è un altro orizzonte di intelligenza e sensibilità che non gli appartiene. Come ogni buon cretino, infine, vede il mondo non per quello che è, ma per quello che crede che sia: così, non riesce neppure a intuire che l’amica (Livia Rossi, da rispedire in fretta a un corso di recitazione) sta per suicidarsi. Riesce solo a incoraggiarla per frasi fatte e buonismo incolore. Da buon cretino, non può capire niente. Ora, in un film che non si lascia scappare niente dei “problemi” della società contemporanea – non manca neppure il pedofilo – l’Antonio disegnato da Amelio, con la sua mitezza idiota e il suo francescanesimo malinteso, è esattamente ciò di cui non c’è bisogno, nella Milano sfatta del film, come in qualsiasi altro luogo. Antonio è uno specchio che riflette storture e malesseri, nient’altro; ma per dir questo, potevano bastare le belle inquadrature di Bigazzi (o un mezz’ora di telegiornale). E il riferimento a Charlot è un altro malinteso: ogni tanto, perfino lui si arrabbiava: magari non concludeva niente, ma almeno era percorso da un moto di indignazione. Parola, questa, di cui un cretino come Antonio ignora completamente il significato. Mentre la gente si indigna, lui gonfia palloncini.(Luca Malavasi – Cineforum.it)