Cinema e lavoro – Louise-Michel 

Milano, 13.5.2019

Regia: Benoît Delépine e Gustave de Kervern – Sceneggiatura: Gustave de Kervern, Benoît Delépine – Fotografia: Hugues Poulain – Montaggio: Stéphanie Elmadjian – Musiche: Gaëtan Roussel – Scenografia: Paul Chapelle – Interpreti: Yolande Moreau, Bouli Lanners, Robert Dehoux, Sylvie Van Hiel, Jacqueline Knuysen – Produttore: BenoîtJaubert, Mathieu Kassovitz – Distribuzione: Fandango Distribuzione – Durata: 90’.

Nella provincia francese, un gruppo di operaie è in allarme a causa della forte riduzione di personale nella fabbrica in cui lavorano. Convocate dal loro direttore, vengono rincuorate e tranquillizzate sul loro futuro con promesse e piccoli regali. Ma la speranza delle lavoratrici viene spazzata via la mattina seguente, quando scoprono che la loro fabbrica è stata completamente sgomberata nella notte. Tutto è sparito, macchinari, uffici e l’intera direzione, dopo un iniziale smarrimento, le donne si radunano per trovare una soluzione.
Rimaste sole, con solo 2000 euro di liquidazione, ognuna avanza un’idea per la realizzazione di un nuovo progetto, la più caparbia delle donne, Louise, propone di investire il loro misero risarcimento assumendo un killer che uccida il loro capo. L’idea trova il consenso unanime e Louise ingaggia il bizzarro e patetico Michel, i due intraprendono un viaggio alla ricerca del datore di lavoro, dando vita ad una strampalata coppia.

Una commedia sul malessere sociale che racconta della crisi economica e delle conseguenze occupazionali. I registi approfondiranno il tema del malessere due anni dopo con Mammuth. Ispirato alla figura di una anarchica francese molto attiva durante la Comune di Parigi è a sua volta un film anarchico nella tesi e nella struttura.

LA CRITICA

Nell’Universo di ‘Louise & Michel’, dove tutti sono pazzi, nessuno è quel che appare: a cominciare dalla corpulenta Louise, che in origine si chiamava Jean-Pierre. Una farsa nerissima e un po’ tirata via nella forma. La morale: forse ci si può liberare ‘di un’ padrone; ‘del’ padrone, è impossibile. (Roberto Nepoti, ‘la Repubblica’, 3 aprile 2009)

Questa storia semi-seria (ma esilarante!) di come un pugno di impiegate siano diventate committenti di una strage di funzionari è uno dei film più autenticamente anarchici e surreali dell’anno, una vera commedia di resistenza al vivere civile e sociale che già si fece notare al Festival del Film di Roma. Tutto in essa diventa atto di ribellione ad un ordine anche e specialmente quello che i due poveri protagonisti (per l’appunto Louise e Michel) non intendono certo come tale. Il ribaltamento sessuale è infatti al tempo stesso dimostrazione della follia delle regole sociali (entrambi cambiano sesso per trovare un lavoro) e tassello di un caos più generale a cui appartengono anche cose il non saper né leggere né scrivere, un particolare che nel mondo contemporaneo può anche causare la morte! Nulla può arrestare le piccole operaie nella loro furia omicida e soverchiatrice delle rigide strutture gerarchiche aziendali. Dovessero anche sterminare tutta la dirigenza arriveranno al responsabile, messaggio reso ancora più chiaro dalla didascalia finali che spiega come Louise Michel sia anche il nome di una nota anarchica francese d’inizio novecento.
I registi Benoît Delépine e Gustave de Kervern sostengono (da anarchici) di non conoscere la tecnica del cinema e di limitarsi a inquadrare ciò che vogliono mostrare, ma non è assolutamente vero. La conoscono e come! Non c’è immagine dietro la cui composizione non stia una profonda riflessione su quale elemento della scena vada sottolineato o dietro alla quale non si nasconda una valutazione morale. Non c’è carrello che non sia indispensabile (per finalità comiche, impressionanti o narrative) e non c’è forzatura del normale racconto che non sia una raffinata deviazione utile a raccontare un mondo (come ad esempio lo sono i brevissimi flashback dei protagonisti). Si divertono con una comicità semplice ma efficace, spesso innescata dal contrasto tra ciò che è in scena e ciò si può solo sentire fuoriscena. E anche quando inseriscono brevissimi momenti sentimentali si tratta di attimi tutti da cogliere, realizzati con grande conoscenza del cinema. (Gabriele Niola – MyMovies)

Il titolo è un omaggio a Louise Michel (1830-1905), anarchica francese che combatté con la Comune, prima e dopo, per i diritti dei lavoratori. 3° prodotto per il cinema di Delépine e de Kervern che lavorano insieme da 9 anni per la TV. All’insegna di un umor nero e raffreddato, è un film anarchico e pessimista che rispetta la vita. Una fabbrica tessile in Picardia è chiusa e smantellata senza preavviso. 10 operaie decidono di investire insieme la piccola liquidazione. In che cosa? L’analfabeta Louise propone di assoldare un sicario per uccidere il padrone e assolda Michel, buono a niente, che, a sua volta, convince prima una cugina malata terminale poi un vecchio paralitico a commettere gli omicidi. C’è sempre un padrone sopra al padrone da eliminare, finché si arriva ai paradisi fiscali. La scrittura registica è coerente all’assurdità grottesca surreale della storia che non abdica mai alla credibilità: cinepresa ferma (solo 260 inquadrature); fotografia opaca; dialoghi ridotti al minimo con largo margine all’improvvisazione degli attori, professionisti e non, in personaggi marginali o emarginati. Film politicamente scorretto, anomalo nel panorama del cinema francese. Premiato ai Festival di San Sebastián 2008 e al Sundance. Distribuito da Fandango. (M. Morandini)

E se gli umili, gli sconfitti, i perdenti riuscissero per una volta a vendicarsi? Se don Chisciotte abbandonasse il suo destino da inguaribile sognatore e per una volta nella vita riuscisse davvero a sconfiggere i mulini a vento? Forse nella realtà non succederà, ma al cinema anche i sogni più audaci possono sperare di avverarsi. Proprio come è successo al film ‘Louise-Michel’, che la sua battaglia contro i fantasmi del ‘buon’, cinema e del ‘buon’ gusto l’ha vinta sia sullo schermo, che davanti. Sullo schermo perché racconta una di quelle storie che in anni più coraggiosi e spregiudicati si sarebbero dette ‘oltraggiose’ e che oggi sembrano condannate al sospetto e alla diffidenza. E davanti allo schermo perché la coppia di registi che la firma – Benoît Delépine e Gustave Kervern – è riuscita non solo a farsi finanziare un film così (da Mathieu Kassovitz e da Arte) ma soprattutto a non farsi omologare con i soliti discorsi sui ‘gusti del pubblico’ e le ‘aspettative del mercato’. E il miracolo maggiore forse è proprio il loro, quello di due autori comici cresciuti alla scuola dell’irriverente programma tv ‘Groland’, che nel 2004 per esordire sul grande schermo propongono ‘un road movie su una sedia a rotelle’. E lo girano davvero, interpretandolo anche in coppia (titolo: ‘Aaltra’). Mentre il successivo ‘Avida’ (2006), racconta il tentativo fallimentare di rapire un cane. Storie improbabili, raccontate con un gusto tutto surreale per le situazioni paradossali, dove l’importante sembra essere soprattutto la ricerca di una logica antitelevisiva. E dove serpeggia uno spirito anarcoide che si diverte a scompaginare le regole, le sicurezze e le convenzioni, spirito che i due registi chiamano solo ‘anar’ per evitare ogni politicizzazione. Salvo poi chiamare i protagonisti del loro terzo film come il nome e il cognome di una celeberrima anarchica francese, Louise Michel. (Paolo Mereghetti, ‘Corriere della Sera’, 3 aprile 2009)

Il film che ha fatto impazzire i festival di San Sebastian e Sundance nel 2008, anticipava la bolla economica e la sua esplosione, i suoi meccanismi e i suoi corto circuiti. Illuminante e avvilente, in questo senso, la riunione delle donne liquidate con 20mila miseri euro, alla ricerca di un investimento che possa salvarle. Delépine e Kervern, in un film in crescendo, ci mettono di fronte ai nostri desideri reconditi e inconfessabili: insaziabili cinefili citano Buñuel, Gilliam, persino i Monty Python, rimasticando lo stile dei Coen. Non cercano reti di protezione, lo si capisce quando si scopre che le armi scelte per ammazzare il grande capo sono dei malati terminali, persino felici di essere utili allo scopo, kamikaze precari, vittime assolute che cercano di diventare carnefici, o meglio giustizieri. La sospensione del giudizio morale, dai dialoghi all’immagine, è immediata, e questo dice molto del coraggio dei registi ma anche dell’esasperazione degli spettatori. (Boris Sollazzo, ‘Liberazione’, 3 aprile 2009)

Tutto, per usare un termine di moda, ‘politicamente scorretto’, con quei malati richiesti di sparare, con quelle vittime designate che non sono mai quelle giuste, con il rapporto fra i due candidati assassini piegato, fino all’ultimo, ai risvolti più curiosi. Indicati anche dai loro nomi che, enunciati senza stacchi, Louise Michel, intendono citare polemicamente un’anarchica parigina fiera combattente, ai tempi della Comune, per i diritti dei lavoratori. Mentre al realismo si accoppia il surreale e il dramma lo costeggia un umorismo a freddo, nerissimo, senza nessuna contraddizione, comunque, ‘narrativa’ stilistica. I due protagonisti, piuttosto noti in Francia, riescono sempre ad esserne all’altezza. Yolande Moreau, una Louise tutta cipigli duri e ferme decisioni, Bouli Lanners, come Michel, uno dei sicari più balordi mai proposti da uno schermo. Una coppia secondo tutte le varianti del grottesco. (Gian Luigi Rondi, ‘Il Tempo’, 3 aprile 2009)
Il primo film europeo sulla crisi e nella crisi economica, ‘Louise-Michel’ di Delépine-Kervern, commedia francese nerissima, western sociale cattivo, inno all’anarchia di personaggi radicali, opera unica per originalità ed energia. (Lietta Tornabuoni, ‘La Stampa’, 3 aprile 2009)
Odio di classe e incerte identità sessuali confluiscono in una sedicente commedia nera dove l’eco dei film di Kaurismaki si sente troppo, il genio meno. (Maurizio Cabona, ‘Il Giornale’, 3 aprile 2009)