Cinema e lavoro – Morire di lavoro

Milano, 29.8.2019

Regia: Daniele Segre – Interpreti: Ciro Giustiniani, Luca Rubagotti, Seck Bamba – Sceneggiatura: Daniele Segre, Antonio Manca – Fotografia: Marco Carosi, Iacopo De Gregori – Montaggio: Daniele Segre – Produzione: Daniele Segre per I Cammelli s.a.s. – Distribuzione: I Cammelli s.a.s. – Durata: 88 min – Documentario – Ambientazione: Roma, Napoli, Milano, Torino – Periodo delle riprese: aprile – novembre 2007

Attraverso i racconti e le testimonianze dei lavoratori, dei familiari di coloro che sono morti sul lavoro e le voci di tre attori (due italiani e un senegalese) viene presentata la realtà del settore delle costruzioni in Italia: gli incidenti mortali nei cantieri edili, il lavoro nero e il caporalato, la sicurezza e la sua mancanza ma anche l’orgoglio del lavoro e il modo in cui si è appreso il mestiere.

Feltrinelli Real Cinema ha editato un cofanetto 2 Dvd + libro dal titolo Vivere e morire di lavoro di Daniele Segre. Quattro documentari che vanno da Dinamite del ’94, Asuba de su serbatoiu del 2000, fino a Morire di lavoro e Sic Fiat Italia. Peppino Ortoleva ne ha redatto un libretto approfondito ed esaustivo con introduzione di Tullio Masoni. “Quello di Segre è un cinema sul lavoro e del lavoro”.

LA CRITICA

Con Morire di lavoro Daniele Segre indaga la realtà del settore delle costruzioni in Italia, protagonisti i lavoratori e i familiari di lavoratori morti sul lavoro. Nel documentario si parla di incidenti mortali nei cantieri edili, dell’orgoglio del lavoro, di come si è appreso il mestiere, della sicurezza e della sua mancanza, di lavoro nero, di caporalato. (MyMovies)

Che destino dovrebbe riservare un Paese democratico a un film che affronta con durezza e acume il dramma delle morti bianche? La logica direbbe una distribuzione in sala, proiezioni per le scuole, visione in prima serata sulla Rai. Invece, Morire di lavoro, nonostante un’anteprima istituzionale alla Camera il 12 febbraio scorso e una presentazione al Parlamento di Strasburgo, non solo è stato autoprodotto, ma è il regista stesso ad accompagnarlo per l’Italia, in università e associazioni. Una condanna all’invisibilità, per un film di grande impegno civile, con la sensibilità artistica abituale di Segre (Manila Paloma Bianca, Vecchie) (Stefano Lusardi – Ciak)

Dice che il lavoro nobilita. Non solo però, visto che il lavoro anche uccide. Succede praticamente tutti i giorni. Succede in Italia, dove i faticatori delle grandi opere e dei piccoli cantieri lavorano spesso senza diritti, senza contratto, senza sistemi di sicurezza. Tacciono e vanno avanti nell’irregolarità, perché o così o niente e va già bene che oggi ci sia da guadagnare 30 euro. «Perché ti sei fatto una famiglia sperando che prima o poi le cose si aggiustano». Testimonianze raccolte da Daniele Segre in un documentario tragico e appassionante, girato con la collaborazione del sindacato edile della Cgil prima che i fatti della Thyssen Krupp facessero diventare le morti bianche un argomento da prima serata. Lo stile è asciutto, essenziale: una carrellata di volti in primo piano che avrebbero molto da dire anche in silenzio. Facce segnate dal destino e dal sistema produttivo. Storie da una Repubblica fondata sul lavoro che spesso affonda nell’illegalità. Una signora racconta di aver perso nei cantieri sia il figlio che il marito. Un ragazzo spiega come si vive dopo un incidente che gli ha fatto scoppiare una gamba. Altri dicono che i lavoratori in nero devono nascondersi quando in cantiere arrivano i controlli. E se si fanno male è meglio che non vadano in ospedale, come i ladri. Cinema utile da vedere e sostenere. Per info sul film e sulle proiezioni (è in tournée): www.danielesegre.it (Andrea Giorgi – FilmTv)

Il cinema ha spesso trascurato la tematica del lavoro ritenendola, forse, materia di cui altri debbano occuparsi. Da qualche tempo, complice probabilmente la crisi economica che attanaglia questo Paese, anche il cinema ha riservato maggiore attenzione a questo tema così importante e cruciale nelle nostre vite. Fa piacere constatare che molti autori si siano messi all’opera, per loro stessa ammissione, anche per attirare l’attenzione della società civile sul mondo del lavoro sempre più bistrattato dalla politica. Il regista Daniele Segre lo ha fatto in maniera davvero significativa, mettendo le mani nella parte più atroce e dolorosa, quella delle cosiddette morti bianche, che di bianco, a dire il vero hanno ben poco. E’ una conta di vittime da guerra civile che nessun Paese può permettersi; è una realtà che spazza via le differenze geografiche e lega l’Italia tutta, da nord a sud, senza distinzioni. Il difficile momento economico che viviamo, ha, gioco forza, rimesso la “questione lavoro” al centro delle discussioni civili e politiche, com’è giusto che sia, visto che la nostra Costituzione, all’articolo 1, ci ricorda che “L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro”. Il punto è che di questo lascito dei padri costituenti ce ne siamo tragicamente dimenticati in troppe occasioni; il denaro ha nettamente preso il sopravvento su qualunque altra voce. Le oltre 1300 persone che ogni anno perdono la vita sul posto di lavoro, meritano qualcosa di più delle parole, e non bastano certo le immagini di un film a risolvere questo problema. E’ vero che “altri” devono occuparsi di porre fine a questo stillicidio, ma è pur sempre un bene parlarne, anche attraverso un film, ed il documentario di Daniele Segre “Morire di Lavoro”, è dedicato proprio a tutti coloro che, sul lavoro, hanno perso la vita. Purtroppo, come spesso accade per certo cinema, non è dato sapere, ad oggi, se potremo mai vederlo sugli schermi, intanto è uscito in DVD proprio in questi giorni, e ci auguriamo che i volti e le voci dei protagonisti riescano ad entrare nelle nostre case e riescano a trasmetterci almeno un po’ del loro dolore. E’ un film che naturalmente vuole sì sollevare l’attenzione su questo tema, ma vuole diventare anche uno strumento di informazione e cultura sulla prevenzione reale nei luoghi di lavoro. E’ un documentario strutturato come un viaggio da Nord a Sud, in cui ciascuno parla la propria lingua, il proprio dialetto per meglio dire; è una raccolta di testimonianze, un susseguirsi dei volti e delle voci di chi, quegli uomini e quelle donne, li ha visti uscire di casa la mattina senza farvi rientro la sera. Il racconto passa attraverso i visi delle vedove, dei figli, degli amici manovali e sullo sfondo ci sono i cantieri, le gru, le impalcature, e più in là, in lontananza si intravedono le città. Negli occhi e nello sguardo di questi uomini e donne c’è tutta la disperazione, ma anche tutto il coraggio di chi sa quanto costa, anche in termini di dignità, portare i soldi a casa onestamente. Il lavoro, ci ricorda Segre, non è solo un’attività svolta, ma è un pezzo saliente dell’esistenza di ciascuno di noi, il senso della nostra identità personale e collettiva. È un film che invoca attenzione, che chiede ascolto. Da grande documentarista qual è, Segre, ha sfidato tutto e tutti, lo ha prodotto con la sua casa di produzione, dopo i numerosi no ricevuti dai grandi produttori, al suo progetto. Segre parla di operai, intesi come figure sociali, perché dell’operaio protagonista politico di alcuni anni della nostra storia non vi è più traccia, o, nel migliore dei casi, rimane davvero ben poco. Quello di Segre non è un cinema d’inchiesta, né di denuncia, oserei dire che è semplicemente un cinema dell’umano; il suo appello è rivolto a chi ha il dovere di garantire un lavoro più sicuro, non solo in termini di precariato, ma anche di qualità della vita stessa. Se c’è una denuncia nel film, è quella di mostrare, senza tabù, una realtà troppo spesso taciuta e dimenticata, esortando tutti a non trascurare un principio: un Paese che non rispetta i suoi lavoratori è a rischio democrazia. (Luigina Dinnella – Conquiste del lavoro)

DICHIARAZIONI DEL REGISTA

Il lavoro è certamente uno dei miei temi più cari ed in effetti ho fatto molti lavori sul tema avendo come protagonisti i lavoratori in situazioni particolarmente delicate e difficili come quando si sta perdendo il lavoro. Proprio per questo i miei non sono documentari ma film. Quello che io ricerco infatti è un senso di universalità che trascenda la documentazione del semplice evento e che consenta allo spettatore l’apertura ad una riflessione e d a me stesso l’espressione della mia identità di ricercatore nel mio rapporto con la realtà.…. Non parlerei di denuncia ideologica ma di testimonianza, presenza, vicinanza necessarie laddove si cerca di esprime il senso di un’identità, in questo caso perduta, rispetto alla titolarità di far parte del mondo del lavoro. Comunque se io sono capitato in una determinata situazione è perché ho scelto di capitarci per vivere un rapporto con i protagonisti o con quelli che saranno poi i protagonisti della storia che io ho in mente di voler raccontare. Sono situazioni motivate da scelte mie di impegno rispetto a determinate questioni magari improvvisamente nate da una mia curiosità a partire da una notizia colta da un telegiornale o un radiogiornale oppure dalla mia indignazione di fronte al fatto che, in Italia, continuano ad esempio, a morire tre, quattro lavoratori ogni giorno.