Cinema e lavoro – Still life

Milano, 30.10.2018

Regia: Jia Zhang-ke Sceneggiatura: Jia Zhangke, Na Guan, Jiamin Sun Fotografia: Lik Wai Yu Montaggio: Kong Jing Lei Effetti speciali: Eddy Wong, Victor Wong Musiche: Lim Giong Scenografia: Jing Dong Liang, Qiang Liu Interpreti Produzione Shanghai Film Studios, Xstream Pictures Distribuzione Lucky Red Durata 111 min

Han Sanming arriva a Fengjie alla ricerca di sua moglie, che lo ha abbandonato sedici anni prima portandosi via la figlia appena nata. Scopre che le due non vivono più lì ma nessuno sa di preciso dove si siano trasferite. Il fratello della donna gli dice che forse questa ripasserà in futuro e così l’uomo si fa assumere come demolitore e si stabilisce in città. Nello stesso luogo arriva Shen Hong, in cerca del proprio marito che se ne è andato due anni prima e che da allora non si è quasi più fatto vivo. Un conoscente del marito le dà una mano a rintracciarlo e, quando i due finalmente s’incontrano, la donna reagisce con estrema freddezza e se ne va. Quando il marito la raggiunge e la trattiene, Shen Hong gli dice di avere una relazione con un altro e di volere il divorzio, dopodiché i due si lasciano. Ad un certo punto il cognato di Han Sanming gli fa sapere che la moglie è tornata. I due s’incontrano ma la figlia non c’è, lavora in una città più a sud. La donna invece lavora su una barca, facendo praticamente la serva a causa dei debiti di suo fratello. Han Sanming vorrebbe portarla via con lui ma per poterlo fare deve prima pagare i debiti. Visto che è una grande somma decide di tornare al suo villaggio d’origine a fare il minatore, dove riceve una paga molto maggiore di quella da demolitore. I suoi colleghi decidono di seguirlo, anche se lui li avverte che è un lavoro in cui si rischia la vita. Il gruppo parte, e sullo sfondo vediamo un uomo che cammina in equilibrio su una corda tesa a grande altezza

Quando il film è stato girato, la città di Fengjie destinata a scomparire a causa della realizzazione della diga delle Tre Gole, era già in parte stata allagata ed evacuata. Questo rende l’atmosfera malinconica e di desolazione che caratterizza il film che affronta problematiche come quello del lavoro forzatamente scelto anche se rischioso. L’opera ha conquistato il leone d’oro alla mostra di Venezia

LA CRITICA
La prima, “involontaria”, domanda che la pellicola pone allo spettatore occidentale è la seguente: fino a che punto un pubblico tanto distante da una cultura come quella cinese può immergersi in un universo tanto estraneo al proprio? Domanda tanto arrischiata, con la quale non può che interagire una barriera di materia soggettiva. L’autore ha da sempre compresso nelle sue pellicole un argomento spinoso e non facile: le conseguenze e i cambiamenti della Repubblica Popolare Cinese durante la trasformazione industriale, ancora in corso. E “Still Life” fa tutto ciò adoperando armi ancora più esplicite che nei lavori precedente dell’autore, che parte dal suo recente documentario “Dong”, sul pittore Liu Xiaodong e la realizzazione di un suo dipinto avente come soggetto la diga delle Tre Gole, sul fiume Yangtze. Ed è proprio in questo spazio che si colloca il film: il vecchio villaggio di Fengje sta gradualmente venendo sommerso dalle acque, a causa della costruzione della diga stessa. Un luogo che ci appare come sospeso, in una visione subacquea da accostare all'”Arca Russa” di Sokurov: in questo caso la vecchia Cina è in fase di smantellamento, ma lo sguardo di Jia Zhang-Ke non è mai quello di critico combattente, di colui che si mette al servizio di una denuncia di determinati misfatti. Piuttosto il suo spirito viaggia in cadenze malinconiche, con il giusto distacco che permette a chi guarda di ragionare su dati di fatto, ma allo stesso tempo di commuoversi per la demolizione di un mondo che ancora conserva(va) valori primari e calorose tradizioni. Sullo sfondo due storie, che interagiscono di pari passo con il paesaggio: quella di un minatore alla ricerca della ex moglie che non vede da sedici anni, e quella dell’infermiera Shen Hong, che torna a Fengje per incontrare il marito non più amato. Due ceti sociali differenti, due destini diversi, abbozzati con rimandi a un ideale incrocio tra l’incomunicabilità alla Antonioni e il neorealismo rosselliniano (gli attori si muovono tra autentiche macerie, come accadeva nel ’46 in “Paisà”). Jia Zhang-Ke si serve prevalentemente di gentili e pregevoli piani sequenza, componendo fotogrammi accurati ma mai stilizzati, in inquadrature che nella prima parte hanno un impianto spoglio che con lenta progressione finisce con il riempirsi, e nella seconda parte assumono una secchezza ostacolata da lampi surreali e ironici, che si prestano a loro volta a svariate interpretazioni: oltre a un indiscutibile fascino figurativo, il disco volante e l’edificio che si stacca dalla terra per inoltrarsi nel cielo rappresentano una utopica fuga dal mondo disintegrato o segnali di speranza per un nuovo domani? Il mondo di “Still Life”, che espone i disordini contemporanei con echi della Tativille di “Play Time”, fa riflettere e mette in guardia, ma con grazia e affetto. Un piccolo grande gioiello. (Diego Capuano – Ondacinema)

In questa umanità e in questi ambienti che sanno già di desolazione e di abbandono i due contro eroi della piccola saga di Jia Zhangke discutono il presente e interrogano il progresso della Cina e il suo veloce e cieco avanzamento. In questo schianto realista fanno capolino ogni tanto momenti di surreale fantascienza, ironiche visioni del Futuro in forma di razzi e missili che prendono la volta del cielo. La ‘natura morta’ del titolo non lascia speranze, quella valle delle Tre gole è già solo un ricordo, come la possibilità di trovare un posto in quel mondo. Ma anche ‘questo’ cinema è già solo ricordo, sa di fantasmi, è già fantasma. La sua idea, per noi bella e preziosa, è decaduta, non più al passo con i tempi. (Dario Zonta, ‘L’Unità’, 23 marzo 2007)

Still life, pellicola certo di non facile approccio, vuole suscitare una riflessione sul prezzo del progresso e sul senso della memoria. Tuttavia questi temi, pur fortemente presenti, si presentano solo come sfondo. I personaggi sono troppo presi a vivere il presente, a ricostruire le loro vite, per interrogarsi con convinzione su quanto accade attorno a loro. (…) Così il parallelo tra la forzata metamorfosi ambientale e il cambiamento nei rapporti tra i protagonisti diventa la cifra del film, nella consapevolezza che, comunque vada, nulla sarà come prima. Pur in mezzo alle rovine, al rumore assordante, alla desolazione (Still life, natura morta) la vita continua. Nel perdersi e nel ritrovarsi, a volte dolorosamente, ci può essere spazio per una rinascita. (Gaetano Vallini, “L’Osservatore Romano”, 31 marzo 2007)

Sigarette, Liquore, Tè e Dolciumi. Beni di lusso nella mentalità della Cina pre-Deng Xiaoping trasformati in ancore di salvezza che ricordano all’uomo di essere tale, che gli donano un’identità in un mondo che mescola indissolubilmente macerie, lavoro e morte. Il fortissimo contrasto su cui Jia si concentra viene esaltato dalla tecnica magistrale di ripresa, già caratteristica del suo lavoro, che in Still Life acquisisce una nuova maturità, aiutata dalla fotografia al solito straordinaria del fido Yu Li-kwai. I paesaggi naturali, che sanno di tradizione millenaria e di antico splendore, sono spezzati da costruzioni sgradevoli e dalle demolizioni delle stesse, in un’insensata coazione a ripetere, talmente assurda da sfociare nel surreale. (Emanuele Sacchi – MyMovies)