Cinema e lavoro – Tra le nuvole

Milano, 18.11.2019

Regia: Jason Reitman – Sceneggiatura: Jason Reitman, Sheldon Turner Montaggio: Dana E. Glauberman Musiche: Eric Steelberg – Interpreti: George Clooney, Jason Bateman, Anna Kendrick, Vera Farmiga, Melanie Lynskey, Danny McBride, Tamala Jones, Adam Rose, Amy Morton, Steve Eastin, J.K. Simmons, Sam Elliott, Zach Galifianakis – Produzione: Cold Spring Pictures, DW Studios, Montecito Picture Company, The, Paramount Pictures, Right of Way Films – Distribuzione: Universal Pictures Durata: 108 min

Ryan Bingham è un “tagliatore di teste” aziendale, un professionista di viaggi d’affari che, dopo tanti anni spesi felicemente in volo, improvvisamente si sente pronto a cambiar vita. Ryan è sempre stato soddisfatto della sua libertà, vissuta fra i vari aeroporti, alberghi e automobili in affitto d’America. Tutto ciò di cui ha bisogno entra comodamente in una valigia a rotelle: Ryan è un viaggiatore privilegiato, un membro esclusivo di tutti i programmi “mille miglia” di ogni compagnia aerea. E ora che sta per raggiungere l’ambito obiettivo di 10 milioni di miglia… si rende conto che nulla nella sua vita ha davvero senso. Quando si innamora di un’attraente viaggiatrice, il suo “capo”, su consiglio di una giovane e rampante “ottimizzatrice” aziendale, gli propone di lavorare per sempre in sede, privandolo dei suoi amati e frequenti viaggi. Di fronte alla nuova – terrorizzante! – prospettiva di mettere radici in qualche posto, Ryan inizia a riflettere su cosa significa realmente avere una casa…

Un film che ha messo a fuoco la figura di un tagliatore di teste che agisce in una realtà, sempre più diffusa, di crisi economica e di risparmio sulle risorse umane nelle organizzazioni fino ai licenziamenti di massa.

LA CRITICA

Tra le nuvole è un film dal doppio volto. O meglio, un film che indossa una maschera: una maschera che tenta di nascondere facendo finta di gettarla via in un prefinale che anticipa quello vero, dove viene reindossata per far credere che sia il suo vero volto. Perché Jason Reitman, per metà abbondante del suo film, gioca tutte le sue carte come si deve: apre con ottimi titoli di testa, caratterizza bene il suo protagonista (un George Clooney forse mai così carygrantesco), regala spessore a lui, al suo solitario e compiaciuto viaggiare, trasmette la freddezza asettica di quello stile di vita e di quel lavoro attraverso una regia essenziale che si appoggia intelligentemente a superfici, riflessi, architetture aeroportuali e suburbane di quell’America rigorosamente di provincia che viene sorvolata e visitata tangenzialmente da Ryan. Persino l’elemento della “critica sociale”, del dramma della crisi economica e dei licenziamenti, pur tutt’altro che pregnante e appena abbozzato, non risulta perlomeno posticcio o pedante. Il tutto per arrivare alla costruzione di un tono sottilmente pessimista, dolente e ai limiti del cinico che dona interesse e spessore alla storia.

Ma è nel momento in cui il film compie la sua prima svolta narrativa – quella appunto al Clooney “balia” della giovane collega affetta da collegiale sicumera (Anna Kendrick) e del suo legarsi progressivamente alla bella frequent flyer interpretata da Vera Farmiga – che imbocca una strada dissestata e che conduce poco lontano. Da un lato colpa di alcuni problemi di sceneggiatura, legati soprattutto al personaggio mal disegnato della Kendrick, banalizzano un po’ il tono generale del film assimilandolo a momenti a quello di commedie di tutt’altro registro; da un altro – e sono i problemi più seri – si perde progressivamente lo spirito lieve ma riflessivo che aveva caratterizzato la costruzione della storia e ci si adagia lentamente verso un buonismo consolatorio prima del tutto esplicito – in una parentesi quasi zuccherosa e male integrata al resto – poi solo apparentemente negato “a sorpresa” da un finale vero e proprio che finge di indossare di nuovo quella maschera disillusa che ci era stata proposta all’inizio ma che invece ammicca ad una normalizzazione che spazzi sotto il tappeto le grane fatte emergere in precedenza.
E di conseguenza si vanificano molti i quei pregi di qualità di scrittura, di regia e tematiche che pure il film, nel complesso, riesce (o e riuscito fino a un certo punto) ad offrire. (Federico Gironi – Comingsoon)

Chissà se Jason Reitman concepisce i suoi film come vediamo fare a Clooney con le proprie valigie. Parrebbe di sì: se il protagonista di Tra le nuvole è un maestro nell’organizzare gli spazi (fino al punto da presiedere conferenze sul tema), scegliere l’occorrente, sistemarlo nel migliore dei modi e viaggiare spedito, leggero, e senza necessitare di nulla, il regista non è meno abile nel costruire itinerari narrativi senza sbavature, mai superflui, chiusi e scorrevoli anche quando imbarcano di tutto. La differenza è che la valigia di Clooney, anche se provvista di ogni cosa, rimane incommensurabilmente vuota, di quel vuoto che non si può misurare.
La commedia di Reitman rivela invece un doppio fondo: sotto il primo strato di leggerezza c’è tutto un mondo di problemi importanti, argomenti seri, risvolti che fanno pensare. Tra le nuvole parla di fallimenti personali e disastri economici, solitudine e vecchiaia, verità e finzione, cuore e feticci. E diverte tantissimo. Come Juno, ma con gusto un pò (più) amaro.
Il protagonista, Ryan Bingham, è un tagliatore di teste. Il suo lavoro – la sua vita – consiste nell’andare da una parte all’altra del continente americano a licenziare gente per conto di altri. In questo è un impagabile professionista. Li fa fessi e contenti. Nel frattempo colleziona miglia con la American Airlines – la sua massima aspirazione è raggiungere “dieci milioni di miglia di volo” – fidelity cards, privilegi tra i club più esclusivi, passpartout ai migliori servizi alberghieri e “parentesi affettive” con occasionali compagne di viaggio. Nessuna complicazione, zero responsabilità, schietto cinismo.
Il way of life del capitalismo degenerato – da predoni col mocassino firmato – rivela in Bingham la sua faccia più presentabile e perciò maggiormente pericolosa. Una grazia per Clooney, che becca forse il ruolo della vita, un mix terrificante di brillante ironia e umana pochezza. Se l’attore non sarà mai abbastanza grato a Reitman, il personaggio dovrà invece pentirsi della propria condotta, complici due donne: una della sua stessa specie e freddura, l’altra più giovane e meno spietata (Vera Farmiga e Anna Kendrick), entrambe brave, la prima anche bella.
Niente paura comunque, nessun happy end in agguato: il regista è bravo a evitare le trappole del sentimentalismo indovinando il giusto finale. E facendo di Tra le nuvole qualcosa di più e di meglio di un perfetto meccanismo drammaturgico (non c’è battuta, situazione e dettaglio fuori posto). Una grande commedia sulla crisi che rivela come il cinema, quello americano almeno, goda invece di ottima salute. (Gianluca Arnone – Cinematografo.it)

La vicenda di Bingham, cinico redento, taglia come una lama rovente la carne putrida delle grandi problematiche contemporanee, a partire da quella del lavoro che viene meno, per arrivare al tema della riqualificazione delle persone, disorientate tutte, a partire da lui, e senza troppe possibilità di concreta solidarietà dagli altri. Tratto dall’omonimo romanzo di Walter Kirn. (FilmTv)

Jason Reitman sa creare dei personaggi che non si dimenticano in fretta, fuori dalla norma e sul bordo sdrucciolevole della morale, eppure pieni di naturalezza, grazie alla solidità delle sceneggiature e degli attori che chiama ad incarnarli. Questa volta fa addirittura un passo in più, confondendo testo e paratesto, assoldando lo scapolo d’oro di Hollywood per fargli interpretare il ruolo di un uomo che s’illude di poter stare da solo ma dovrà arrendersi un giorno, e – giù dallo schermo – coronare la favola.
Fuori di dubbio è anche il talento del regista per i dialoghi e il ritratto “senza filtro” delle piccole spietatezze quotidiane, siano esse d’ambientazione scolastica o professionale. Anche qui, Tra le nuvole segna un aumentato bisogno di veridicità e porta in scena un contesto attuale e una ventina di disoccupati veri, mescolati agli attori professionisti, ma non per questo indistinguibili. (Marianna Cappi – MyMovies)

Anche al servizio di una major Reitman Jr. conferma con il suo 3° film di essere uno dei principi della commedia USA, che da anni non gode di ottima salute. Da un romanzo (2002) di Walter Kirn, da lui sceneggiato con Sheldon Turner. Ryan Bingham, professionista di mezza età, passa la vita tra aeroporti, alberghi, auto a noleggio, finché vince l’ambita tessera dei 10 milioni di miglia in volo. Lavora in una società che, per conto di piccole e grandi imprese, “elimina il materiale umano in decadenza”. È un asso dei licenziamenti, ma anche un uomo solo che evita ogni responsabilità. Quando per la prima volta si lascia coinvolgere, è con la donna sbagliata. Non c’è lieta fine, uno dei tanti meriti di una commedia che racconta in modi divertenti la drammatica realtà di una grave crisi economica e di licenziamenti di massa. Con qualche compromesso e un po’ prolisso, Reitman Jr. fa di Ryan un personaggio spietato ma affascinante, grazie a Clooney e alla scelta delle 2 protagoniste. Per dare spessore al realismo di fondo, le reazioni dei nuovi disoccupati sono filmate dal vero. (Morando Morandini)