Cinema e lavoro – We want sex

Milano, 30.30.2020

Regia: Nigel Cole Sceneggiatura: William Ivory Fotografia: John de Borman Montaggio Michael Parker Musiche David Arnold Scenografia Andrew McAlpine Interpreti: Sally Hawkins, Bob Hoskins, Miranda Richardson, Rosamund Pike, Andrea Riseborough, Daniel Mays, Jaime Winstone, Kenneth Cranham, Rupert Graves, John Sessions, Richard Schiff, Geraldine James, Roger Lloyd Pack Produzione:Number 9 Films Distribuzione: Lucky Red Durata: 113 min.

Ispirato a fatti realmente accaduti, il film racconta lo sciopero del 1968 di 187 operaie alle macchine da cucire della Ford di Dagenham. Costrette a lavorare in condizioni precarie per molte ore e a discapito delle loro vite familiari, le donne, guidate da Rita O’Grady, protestarono contro la discriminazione sessuale e per la parità di retribuzione. Pagate come operaie non qualificate, le lavoratrici attuarono uno sciopero che riuscì ad attirare l’attenzione dei sindacati e della collettività, trovando infine l’appoggio del ministro Barbara Castle, pronta a lottare con loro contro una legge iniqua e obsoleta.

Il film di Nigel Cole è un’opera ancora attuale in un mondo dove il lavoro è ancora oggetto di sfruttamento e la parità uomo/donna deve fare ancora molti passi per essere realizzata. Inoltre racconta un episodio poco conosciuto comprese le difficoltà di uno sciopero ad oltranza caratteristico dei metodi di lotta nella società inglese. Una lotta che comunque ha fatto scuola

LA CRITICA

Nigel Cole tratta la prima parte del film con la leggerezza di tocco che ci aspettiamo da una produzione britannica, delineando una galleria di personaggi funzionali e capaci di suscitare l’empatia del pubblico. Gli attori sono efficaci, a partire dalla brava Sally Hawkins (nella parte del leader dello sciopero, Rita O’Grady). Accanto a lei non sfigurano Miranda Richardson, Rosamund Pike (che fa uno dei personaggi più interessanti del film, divisa tra il suo ruolo di moglie di uno dei dirigenti e la sua simpatia verso la causa delle scioperanti), ma soprattutto un come al solito eccezionale Bob Hoskins. La dimensione umana, raccolta della narrazione funge da propellente e fa decollare una commedia d’epoca con un sottotesto politico e sociale non da scherzo. E la volontà di far identificare lo spettatore si avverte nella scelta molto intelligente di mostrare la vita privata di queste donne, le loro famiglie, le serate tra amiche. Tutto molto convincente e sorretto da un umorismo intelligente che sfocia in un paio di battute destinate a suscitare il plauso del pubblico.
Dove la pellicola convince di meno è la seconda parte, quando la sottotrama diventa il centro focale delle vicende, quando lo sciopero diventa qualcosa di più perché in gioco non c’è solo un aumento di paga, ma la concezione della donna nella società inglese e mondiale. L’intensificarsi della lotta porta a una serie di ostacoli da manuale: il marito della protagonista si sente trascurato e perde fiducia nella causa della moglie, il fronte comune delle colleghe inizia a sfaldarsi e tutto sembra sull’orlo di perdersi. Alla fine, sta a Rita riunire tutte ed è qui che si cade nell’inevitabile difetto di produzioni come questa, ovvero una retorica eccessiva e didascalica che intende ispirare il pubblico e palesare l’importanza storica del “momento” a cui si sta assistendo. Grazie, ma l’avevamo già capito all’inizio, senza bisogno che ce lo spiegassero.
Eppure lo humor inglese rende questi difetti sopportabili e ci porta alla conclusione senza costringergi a sbirciare l’orologio. Con una ventina di minuti in meno, “We Want Sex” avrebbe potuto essere un efficace spaccato dell’Inghilterra anni Sessanta. Così com’è è una commedia piacevole che sarà presto dimenticata. (Marco Triolo – Film.it)

1968, Dagenham, Essex. La fabbrica della Ford dà lavoro a 55mila operai e a 187 donne, addette alla cucitura dei sedili per auto in un’ala fatiscente, dove si muore di caldo e piove dentro. In seguito ad una ridefinizione professionale ingiusta e umiliante, che le vorrebbe “non qualificate”, le operaie danno vita con uno sciopero ad oltranza alla paralisi dell’industria e alla prima grande rivendicazione che porterà alla legge sulla parità di retribuzione.
Nigel Cole, regista di fortunati successi basati sull’ibridazione della tradizione inglese di un cinema impegnato, in particolar modo sul fronte di diritti e lavoro, con la commedia spassosa, non cambia rotta ma affina piacevolmente gli strumenti.
Il ritratto corale della comunità di Dagenham è messo perfettamente a fuoco, dall’assemblea delle donne al lavoro, svestite per il caldo ma capaci di spaventare un maschio più di una truppa armata, alle chiacchiere tra uomini al bancone del pub. Inoltre, la forza e la consapevolezza con cui le donne delle case popolari affrontano la materia politica, presunto appannaggio di maschi acculturati, facendo suonare la sveglia anche nelle orecchie delle signore borghesi, è trattato con onestà e partecipazione. È il cuore del film, ciò che lo muove e che commuove: nasce dalle testimonianze di alcune reali protagoniste dell’evento storico e, nonostante i passaggi intercorsi, conserva ancora qualcosa del colore della verità.
Anche se non in misura del tutto compromettente, però, le cose scricchiolano proprio laddove la macchina sembra ben oliata. Forse troppo oliata. La scelta di creare il personaggio fittizio di Rita O’Grady, leader di un gruppo che storicamente pare non aver avuto una guida altrettanto unitaria, donna modesta nella vita ma straordinariamente battagliera nella protesta, se risulta comprensibile ai fini della fluidità di scorrimento del racconto e della nostra capacità di affezionarci ad una protagonista assoluta, per contro semplifica fin troppo la struttura narrativa. Se si aggiunge che gli ostacoli che la protagonista incontra sulla sua strada suonano edulcorati e che l’unico vero dramma è prevedibile e un po’ forzato, ci si avvede di come alla vitalità di ciò che è narrato non corrisponda purtroppo uno script altrettanto coraggioso o inventivo. Ma la commedia non delude e la sveglia delle donne della provincia inglese suona forte e necessaria, anche oggi. (Marianna Cappi – MyMovies)

Il regista inglese Nigel Cole, appassionato di storie femminili, sfoglia la pagina di storia in forma di commedia: il titolo originale è Made in Dugenham, come l’etichetta sui sedili assemblati dalle lavoratrici, ma anche come la conquista salariale che fu, appunto, “prodotta a Dagenham”. In realtà, se la prima parte della pellicola è più apertamente ironica, la seconda registra una virata tragica con il suicidio del marito di una protagonista. Questo episodio è l’occasione per innalzare la tensione ideale del film, che mostra il contatto tra il movimento e le istituzioni – le donne incontrano il governo – e prepara il terreno per il lieto fine.
La narrazione segue il percorso della lavoratrice Rita O’Grady (una meravigliosa Sally Hawkins, volto nuovo dei film proletari) e la sua affermazione come leader della protesta; usando la commedia come metodo di alleggerimento, il bersaglio del cineasta colpisce le principali figure politiche e sociali dell’epoca. Il premier è raffigurato come la macchietta del nobile inglese, la ministra Castle sfodera un look tatcheriano “dalla parte del bene” (ovvero ispirata da una visione progressista), ma anche gli ambienti sindacali non sono risparmiati da un certo sarcasmo: particolarmente riuscite le scene delle trattative, in cui il sindacalista moderato tenta in tutti i modi di evitare lo sciopero e compiacere l’azienda. Sulla stessa linea la lunga sequenza che racconta il congresso delle Trade Unions: votato a un’eccessiva e verbosa solennità, la riunione viene interrotta dalle lavoratrici che si fanno sentire senza giri di parole. Il film resta centrato sulla questione della parità, alternando la fiction a immagini di repertorio, ma sfiora altri grandi nodi di quegli anni: per esempio l’educazione repressiva e classista, con il maestro che maltratta gli alunni figli di operai, oppure – come detto – il ricordo della guerra che ha segnato il paese. Questo diventa l’occasione per costruire la metafora più potente: così come gli Alleati non si sono arresi e hanno sconfitto i nazisti, affrontando grandi sofferenze, allo stesso modo ora gli Stati devono lottare per vincere le proprie sfide interne. A cominciare dalla dignità delle persone sul posto di lavoro. (Emanuele Di Nicola – Rassegna Sindacale)