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Cinema e lavoro – Un giorno senza messicani

Un film di Sergio Arau (USA/Messico, 2004)

Milano, 15.2.2018

REGIA Sergio Arau SCENEGGIATURA Sergio Arau, Yareli Arizmendi, Sergio Guerrero MONTAGGIO Daniel Fort FOTOGRAFIA Alan Caudillo INTERPRETI Caroline Aaron, Tony Abatemarco, Melinda Allen, Frankie Jay Allison, Yareli Arizmendi PRODUZIONE Sergio Arau DURATA 100’.

California in un giorno qualunque. Ma non proprio qualunque. Perché, all’improvviso, una nebbia fitta avvolge i confini dello Stato e le comunicazioni con l’esterno si interrompono. Ma non è questa la cosa più importante perché, al contempo, scompaiono tutti i messicani. La moglie americana di un musicista non lo trova più e con lui il loro figlio maschio (la femmina è invece in casa e poi scopriremo perché). Il conduttore delle seguitissime previsioni meteo televisive non c’è più e una collega ne è visibilmente scossa. Insomma una parte fondamentale della popolazione californiana è scomparsa causando tracolli che vanno dalla sfera privata a quella socioeconomica.

Film per molti aspetti originale girato come un documentario che ha poi ispirato altre pellicole come “Cose dell’altro mondo” di Francesco Patierno. La sintesi del film sta nel bel finale nel quale le guardie di frontiera festeggiano il ritorno dei messicani. Forse Trump dovrebbe cercare di vederlo ma anche in Italia non ha avuto fortuna dal momento che è uscito solo in Dvd con 5 anni di ritardo.

LA CRITICA

Sergio Arau, figlio del più famoso Alfonso, colpisce al centro con questo divertente e intelligente film a tesi che si svolge in California ma potrebbe essere ambientato ovunque esista un’immigrazione rilevante. Grazie a una nebbia carpenteriana che isola lo Stato Arau costruisce un film in cui la scomparsa dei messicani fa emergere tutte le contraddizioni di una società che ha ormai un bisogno ineludibile degli immigrati anche se poi, in alcune sue manifestazioni, li ritiene solo presenze dannose e parassitarie. Lo stile adottato riporta alla memoria il caustico La seconda guerra civile americana di Joe Dante con una particolare attenzione alla ‘narrazione’ televisiva. Arau costruisce un saggio per immagini assolutamente godibile su come sia ormai il piccolo schermo a gestire l’immaginario collettivo indirizzandone l’attenzione e ri-costruendo gli accadimenti. Un gran numero di situazioni (così come le didascalie che vengono spesso sovrapposte alle immagini) spesso amaramente divertenti potrebbero essere trasferite, con le debite ma non sostanziali varianti, alle nostre latitudini. Il pregiudizio non ha confini. (Giancarlo Zappoli – MyMovies)

Cosa accadrebbe se un bel giorno tutti i messicani scomparissero come per magia dallo stato della California? E’ questo l’interrogativo a cui tenta di rispondere l’insolito film di Arau. Uscito solo in dvd e alla chetichella questa docu-fiction dall’indubbio valore si fa notare per l’originalità con cui affronta un tema attualissimo e alla fine comune a molte società. Se in California ci sono i messicani in Italia ci sono gli albanesi e i magrebini, i senegalesi e i cinesi. Ovunque la paura del diverso fa nascere in molte persone un atavico desiderio di isolarsi in comunità sigillate e anti intrusione, il semplice aggirarsi per le strade di individui dalla carnagione differentemente pigmentata crea il panico in alcuni e domande inquietanti in altri (quanto ci costano? cosa fanno? perchè non se ne vanno?). La pellicola di Arau risponde e bene a tutte queste domande che potremmo bonariamente definire sciocchine, quello che ne salta fuori è una verità di certo non sorprendente anzi palesata ormai da tempo agli occhi di chi ha un minimo di discernimento: i messicani sono la spina dorsale su cui si basa l’economia della California. Generalizzando, le etnie più deboli e povere sono quelle su cui quelle ricche e potenti costruiscono il loro potere e la loro ricchezza. Parcheggiatori, commessi, camerieri, spazzini, giardinieri, raccoglitori di frutta, operai, babysitter, tutti lavori umili e indispensabili svolti dagli umili e dagli indispensabili messicani, cinesi, magrebini, albanesi di questo mondo. Tornando ai nostri messicani, capite anche voi che teorizzare in un film che questa forza lavoro un bel giorno scompaia nel nulla lasciando a svolgere i loro compiti i basiti autoctoni crea un bel cortocircuito culturale. Il colpo di genio del film sta nel non prendersi troppo sul serio, infatti non ci troviamo al cospetto di un dramma ma di una commedia a tratti esilarante. Vedere gli scienziati che si interrogano sulla scomparsa dei companeros o assistere alle innumerevoli veglie organizzate per implorarne il ritorno, non solo fa sorridere ma a tratti fa davvero sbellicare. A questo tono scanzonato si affiancano dati reali sullo stato delle cose, sull’impiego della manodopera, sui salari e sul costo dell’assistenza sanitaria. Se avete un’ora e mezza da impiegare, date un’occhiata a Un giorno senza messicani, forse lo troverete sconclusionato, forse lo troverete folle e povero di mezzi, ma sono sicuro che se saprete apprezzarne le intenzioni allora non solo vi divertirete ma addirittura riuscirete a perdonargli limiti e difetti. In mezzo alle innumerevoli trovate affastellate dal regista si staglia un uomo, un barbone, un pazzo che borbotta in modo incomprensibile una frase: “loro (i messicani) erano gli unici che ancora credevano al sogno americano, gli unici che speravano di poter ancora cambiare la propria vita venendo a vivere in un posto migliore….” Fa riflettere. (Matteo Righi – Houssy’s Movies)

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