
Lo chiede l’Agenzia per i diritti fondamentali in vista delle nuove norme dell’Ue
«Mentre l’Ue e gli Stati membri cercano di trovare soluzioni per gestire la migrazione, non dovrebbero dimenticare i loro obblighi di proteggere la vita delle persone e i loro diritti. Gli hub di rimpatrio pianificati non possono diventare zone senza diritti». Questo il monito dell’Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali (Fra), che il 6 febbraio scorso ha pubblicato uno studio in cui definisce le garanzie necessarie ai sensi del diritto europeo di cui tener conto prima di istituire gli hub per il rimpatrio dei migranti che l’Ue sta pianificando. Tra queste garanzie rientrano il rispetto dei diritti fondamentali, la definizione di accordi giuridicamente vincolanti per proteggere i diritti delle persone e l’istituzione di sistemi indipendenti di monitoraggio dei diritti umani. Anche se si trovano al di fuori del territorio dell’Ue, questi hub non possono essere zone prive di diritti, sostiene l’Agenzia, affermando quindi come «le garanzie dei diritti fondamentali stabilite dalla legge dell’Ue continuano ad applicarsi» e che Stati membri e Frontex sarebbero responsabili delle violazioni dei diritti eventualmente attuate negli hub o durante qualsiasi trasferimento e operazione di rimpatrio.
L’Ue vuole inasprire le norme sui rimpatri
L’allarme lanciato dall’Agenzia dell’Ue per i diritti fondamentali giunge alla vigilia di una proposta per una nuova legge europea sui rimpatri, che la Commissione europea ha annunciato per il prossimo mese di marzo come risposta alle pressioni politiche giunte da molti governi dell’Ue e le loro richieste di una “linea dura” per migliorare il lento tasso di espulsioni.
Una questione che era già stata sollevata nel maggio 2024 da una lettera congiunta con cui 15 Stati membri dell’Ue chiedevano di esplorare «una potenziale cooperazione con Paesi terzi sui meccanismi di hub di rimpatrio, dove i rimpatriati potrebbero essere trasferiti in attesa del loro allontanamento definitivo». Qualche mese dopo, nell’ottobre 2024, la presidente della Commissione aveva proposto un approccio comune sui rimpatri e la necessità di «continuare a esplorare l’idea di sviluppare hub di rimpatrio al di fuori dell’Ue», mentre il Consiglio europeo chiedeva «un’azione determinata a tutti i livelli per facilitare, aumentare e accelerare i rimpatri dall’Ue, utilizzando tutte le politiche, gli strumenti e i mezzi pertinenti». In una lettera inviata agli Stati membri in occasione dell’ultimo Consiglio europeo del 2024, la presidente von der Leyen ha sottolineato i «benefici che la collaborazione con i Paesi extra-Ue porta alla gestione dei flussi di profughi e rifugiati», garantendo che «un quadro legislativo più forte nel settore dei rimpatri sarà una delle prime proposte importanti della nuova Commissione». Durante un Consiglio informale tra Stati membri e istituzioni dell’Ue, svoltosi a Varsavia lo scorso 30 gennaio, poi, sarebbero state discusse “idee innovative” per la gestione di asilo e immigrazione e il commissario europeo per le Migrazioni, Magnus Brunner, avrebbe proposto «regole più severe sulla detenzione» e la «possibilità di sviluppare hub di rimpatrio». Secondo Euronews, discutendo del traffico di migranti attraverso i confini russi e bielorussi, Brunner avrebbe segnalato agli Stati membri la possibilità di adottare le «misure necessarie per opporsi agli attori ostili» che inviano migranti ai confini dell’Ue, con Svezia, Finlandia e Polonia favorevoli alla sospensione dei regimi di asilo. Intanto, però, mentre le frontiere orientali dell’Ue vengono sempre più militarizzate, un Rapporto pubblicato da Human Rights Watch accusa le forze dell’ordine polacche di «respingimenti illegali e a volte violenti», che «vanno contro i doveri della Polonia ai sensi del diritto nazionale e dell’Ue e dei principi di umanità».
Hub in Paesi terzi, ma sotto responsabilità dell’Ue
La prevista creazione di hub di rimpatrio in Paesi terzi, per aumentare i rimpatri effettivi, è compatibile con il diritto dell’Ue «solo se accompagnata da un insieme chiaro e solido di garanzie» sostiene l’Agenzia dell’Ue, indicando quelle che ritiene essere prioritarie.
La prima precondizione per qualsiasi rimpatrio è l’emissione di una decisione esecutiva che ordini all’individuo di lasciare lo Stato membro o che ne rifiuti l’ingresso, decisione che deve basarsi su una valutazione individualizzata. Le norme sulla detenzione pre-espulsione, osserva la Fra, limitano però le categorie di persone che potrebbero essere trasferite a un hub: ad esempio le persone in una situazione di vulnerabilità richiedono particolare attenzione, così come i bambini dovrebbero essere esclusi da qualsiasi trasferimento in hub di rimpatrio.
La seconda precondizione riguarda la definizione di accordi giuridicamente vincolanti con i Paesi terzi che ospitano gli hub, al fine di regolamentare gli aspetti fondamentali dei programmi di rimpatrio, ricordando però che gli Stati membri «continuano ad agire nell’ambito del diritto dell’Ue quando gestiscono un hub di rimpatrio in un Paese terzo e attuano i rimpatri da lì», per cui «devono adottare misure preventive per mitigare il rischio di violazioni dei diritti».
Una terza precondizione, indica la Fra, deriva dal fatto che gli Stati membri e/o l’Ue «saranno responsabili della partenza o dell’espulsione dei rimpatriati dall’hub», cosa che crea un dovere di «rispettare il divieto di respingimento ed espulsione collettiva e di rispettare i diritti fondamentali e la dignità quando gli Stati membri o Frontex attuano espulsioni dall’hub». Per cui l’accordo che istituisce l’hub di rimpatrio deve rispettare il diritto dell’Ue sui diritti fondamentali, impedire la detenzione arbitraria e stabilire standard minimi per le condizioni materiali e il trattamento dei cittadini di Paesi terzi lì trattenuti.
L’analisi giuridica svolta dalla Fra non esamina l’elaborazione extraterritoriale delle domande di asilo, tuttavia, osserva l’Agenzia, «si applica alle procedure di rimpatrio che gli Stati membri possono svolgere da centri situati in Paesi terzi, come potrebbe essere il caso dei centri italiani in Albania». L’Ue non può attuare espulsioni collettive, né tantomeno deportazioni di massa come quelle annunciate dalla neo-amministrazione Trump negli Usa, tuttavia sta certamente studiando un inasprimento delle misure per eseguire le espulsioni di migranti che, pur in aumento, attualmente diventano effettive in meno di un quarto dei provvedimenti ordinati. Questo deve però avvenire sempre nel pieno rispetto dei diritti fondamentali, ricorda l’Agenzia dell’Ue in un clima politico e culturale che sembra andare pericolosamente in altra direzione.