Euronote febbraio 2025 | L’Ue alla prova di maturità

Il nuovo corso Usa del Trump II sta evidenziando tutti i limiti dell’Unione politica

Tre anno dopo l’inizio della guerra in Ucraina, scoppiata con l’offensiva militare dell’esercito russo il 24 febbraio 2022, la situazione resta confusa, ma in discontinuità con quanto avvenuto nei 36 mesi precedenti. Tra vari annunci e iniziative della nuova amministrazione statunitense, c’è infatti anche un deciso cambiamento rispetto alla crisi russo-ucraina.

Parlando al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite lo scorso 18 febbraio, il segretario generale dell’Onu, António Guterres, ha detto che il multilateralismo, «cuore pulsante delle Nazioni Unite», può diventare uno strumento di pace potente, «ma è forte solo quanto l’impegno di ogni singolo Paese nei suoi confronti», sottolineando metaforicamente: «Abbiamo l’hardware per la cooperazione internazionale, ma il software ha bisogno di un aggiornamento». In realtà, uno degli attori globali principali, quali sono gli Usa, sta non solo “hackerando il software” ma anche imponendo alla comunità internazionale il “suo hardware”.

Un ciclone che sta travolgendo anche l’Ue, parsa finora totalmente spiazzata e impreparata. I tavoli di confronto con diversi blocchi di Paesi, proposti recentemente dalla presidenza francese, paiono più un tentativo disperato di riposizionamento rispetto alle iniziative del Trump II piuttosto che la ricerca di una strategia comune europea. È proprio l’Unione politica a essere messa a dura prova, tra Stati membri dell’Ue che sembrano d’accordo solo sulla necessità di aumentare le spese militari per una fantomatica “difesa comune” e, in tragica continuità con quanto fatto in questi tre anni, ancora totalmente incapaci di proporre qualsiasi azione diplomatica. Si osservano, per certi versi, dinamiche simili a quelle verificatesi un centinaio di anni fa tra i Paesi europei, sfociate poi drammaticamente in due conflitti mondiali. E se è vero che «la Storia non si ripete, ma spesso fa rima», si dovrebbe tenerne conto.

C’è unità solo nell’aumento delle spese militari

Nel suo intervento alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco, il 15 febbraio scorso, il presidente del Consiglio europeo, António Costa, ha dichiarato: «Una pace globale non può essere un semplice cessate il fuoco», aggiungendo che «non può premiare l’aggressore. Deve garantire che la Russia non sarà più una minaccia per l’Ucraina, per l’Europa, per i suoi vicini, che la Russia cesserà di essere una minaccia per la sicurezza internazionale». Tutto condivisibile, ma cos’ha fatto l’Ue in questi anni per giungere a una simile condizione di pace?

È senz’altro vero, come ha ricordato Costa, che l’Ue ha agito, insieme agli alleati transatlantici, «per sostenere la sovranità, l’autodeterminazione e l’integrità territoriale dell’Ucraina: con aiuti umanitari, con assistenza economica, con le sanzioni più dure di sempre contro la Russia e con un supporto militare senza precedenti». La spesa dell’Ue per la difesa, ha infatti comunicato il presidente del Consiglio europeo, «è aumentata del 30% dal 2021». Ma probabilmente è proprio questo l’unico vero risultato ottenuto, perché per il resto la guerra è proseguita senza soluzione di continuità con enormi costi umani, ambientali ed economici, l’Ucraina non ha mantenuto l’integrità territoriale e la Russia non è stata ridimensionata dalle sanzioni. L’aumento delle spese militari è così uno dei pochi punti che mette d’accordo tutti gli Stati dell’Ue, e ciò non tanto perché, come dice Costa, «sappiamo che la pace senza difesa è un’illusione», quanto piuttosto per l’impatto che la corsa agli armamenti ha sulle economie.

Come evidenzia lo Stockholm International Peace Research Institute (Sipri), la spesa militare mondiale è in aumento da dieci anni consecutivi e ha raggiunto il suo massimo storico, superando già nel 2023 i 2443 miliardi di dollari. Un aumento che per la prima volta dal 2009 si è verificato in tutte e cinque le regioni geografiche mondiali. I 31 membri della Nato rappresentato oltre la metà della spesa militare mondiale; il 68% della spesa Nato è sostenuto dagli Usa, ma i membri europei hanno quasi raggiunto il 30% della spesa complessiva dell’Alleanza transatlantica, che è la quota più elevata in un decennio. «Per gli Stati europei della Nato, la guerra in Ucraina ha cambiato radicalmente la prospettiva di sicurezza» osserva il Sipri, un cambiamento che «si riflette nelle crescenti quote del Pil destinate alla spesa militare». Secondo l’Istituto internazionale «l’aumento senza precedenti della spesa militare è una risposta diretta al deterioramento globale della pace e della sicurezza», ma così «gli Stati rischiano una spirale di azione-reazione nel panorama geopolitico sempre più volatile».

Risposte europee confuse agli attacchi Usa

Il totem della spesa militare, propagandata come unica possibilità per difendere l’Europa da un’ipotetica minaccia russa, sembra dunque essere diventato uno dei pochi elementi su cui l’Ue prova a rilanciare un’unità tra Stati in realtà divisi un po’ su tutto. E proprio il contribuire ad acuire la crisi di una già fragile Unione europea è una delle strategie del nuovo corso statunitense, portato avanti dall’amministrazione e dal suo entourage. Ne sono un esempio le esternazioni susseguitesi in poco tempo da parte del presidente Trump, del vicepresidente Vance alla Conferenza di Monaco, del “collaboratore” Musk e dell’ideologo del Maga (Make America Great Again), Bannon, che esorta un’esportazione di quel modello populista-sovranista in Europa intensificando i rapporti con i gruppi affini. Lo schierarsi apertamente a favore di un partito di estrema destra europeo, come l’Afd tedesco, durante la campagna elettorale da parte di un vicepresidente Usa e del principale collaboratore del presidente è cosa inimmaginabile fino a qualche settimana fa. Un’ingerenza emblematica del nuovo corso Usa.

Dalle stringenti questioni russo-ucraina e israelo-palestinese, alle strategie geopolitiche e del commercio internazionale, fino alle problematiche interne, l’Ue deve trovare un’unità politica e di intenti. Perché continuare a inseguire in grave ritardo e cercare confusamente di rispondere alle iniziative di un’amministrazione Usa imprevedibile e senza scrupoli, non farà che indebolire ulteriormente un progetto di costruzione europea che è da troppo tempo un cantiere aperto. Ma se l’Ue pensa di definirsi sull’individuazione di nemici, annunciando un’«economia di guerra» o la necessità di «prepararci alla guerra», come sostenuto nei mesi scorsi da rappresentanti delle sue istituzioni, allora il progetto europeo è già fallito.