Euronote ottobre 2024 | Tesla contro il modello sociale europeo

L’azione antisindacale in Svezia parte di una tendenza diffusa tra le multinazionali

È una prova di forza quella in corso in Svezia tra il sindacato IF Metall e i lavoratori in sciopero da ormai un anno, da un lato, e il produttore di auto elettriche Tesla dall’altro. Uno scontro simbolicamente rilevante, perché secondo quanto affermato dalla segretaria generale della Confederazione europea dei sindacati (Ces), Esther Lynch, «è in gioco il futuro del modello sociale europeo». Le organizzazioni sindacali svedesi avevano tentato di negoziare un contratto collettivo con Tesla per i lavoratori della manutenzione e della riparazione dei veicoli presso TM Sweden AB, trattative però mai concretamente entrate nel vivo e totalmente tramontate nell’ottobre 2023, quando la IF Metall ha deciso di avviare le azioni di sciopero ancora in corso.

In Svezia, quasi il 90% della forza lavoro è coperto da un contratto collettivo, in tutti i settori, ma Tesla si è rifiutata fermamente di firmarne uno, sostenendo che «non si adatta al modello di business dell’azienda». Di fronte a un simile atteggiamento antisindacale assunto dall’azienda, in questo anno di agitazione vari sindacati svedesi di diversi settori hanno intrapreso azioni di solidarietà per proteggere il diritto alla contrattazione collettiva, tra cui scaricatori portuali, elettricisti, squadre di manutenzione e addetti alle pulizie, persino il sindacato dei musicisti e quello dei lavoratori postali si sono uniti alla lotta di IF Metall. Una solidarietà per gli scioperanti che si è estesa anche oltre i confini, con il sindacato danese dei trasporti 3F Transport che ha attuato un blocco delle auto del produttore nei porti danesi, a cui hanno fatto seguito azioni simili da parte di Fellesforbundet in Norvegia e AKT in Finlandia. Il sindacato svedese è anche in dialogo con IG Metall in Germania e United Auto Workers (Uaw) negli Stati Uniti, per concordare una strategia globale che permetta di continuare la lotta.

La direzione aziendale, tuttavia, ha sempre rifiutato di firmare un accordo, dichiarando che i diritti dei lavoratori non fanno parte del “concetto aziendale”. Il ceo di Tesla, Elon Musk, riaffermando il suo totale dissenso rispetto alla posizione delle organizzazioni sindacali, aveva dichiarato: «Penso che i sindacati cerchino naturalmente di creare negatività in un’azienda». Va ricordato che Tesla, produttore americano di auto elettriche, impiega nelle sue attività globali oltre 140.000 lavoratori dei quali quasi nessuno è sindacalizzato, è l’unico grande produttore di automobili non rappresentato da un sindacato negli Stati Uniti e i suoi dipendenti guadagnano il 30% in meno rispetto alle case automobilistiche rappresentate nell’Uaw.

«È inammissibile che una grande azienda pensi di poter venire qui come un signore feudale ritenendo che un intero Paese debba adattarsi ai propri capricci» ha dichiarato la presidente della Confederazione sindacale svedese, Susanna Gideonsson, mentre partecipando allo sciopero in corso in Svezia Esther Lynch ha commentato: «Elon Musk potrà inventare le sue regole quando raggiungerà Marte, ma se vuole fare affari in Europa, allora deve giocare secondo le regole europee e questo significa rispettare la nostra tradizione di contrattazione collettiva».

Multinazionali che minacciano la democrazia

La condotta antisindacale di Tesla e il suo attacco alla contrattazione collettiva non è però un caso isolato, quanto piuttosto un esempio delle violazioni dei diritti dei lavoratori che avvengono in tutto il mondo e che si verificano ormai in più della metà dei Paesi europei. Infatti, secondo il Global Rights Index 2024 della Confederazione sindacale internazionale (Csi-Ituc), è in corso un «deterioramento a lungo termine» nel rispetto dei diritti dei lavoratori in Europa, area che ha fatto registrare il peggior declino dei diritti dei lavoratori da quando è stato pubblicato il primo indice nel 2014. Il 73% dei Paesi europei ha violato il diritto di sciopero, con una criminalizzazione degli scioperi e la stigmatizzazione degli scioperanti in Belgio e Francia, limitazioni o divieti in Albania, Ungheria, Moldavia, Montenegro e Regno Unito e il caso della Finlandia, dove il limite a un solo giorno per gli scioperi e l’opposizione alla contrattazione salariale rappresentano un «attacco senza precedenti al modello sociale nordico» sostiene l’Ituc. Oltre la metà dei Paesi europei ha poi violato il diritto alla contrattazione collettiva e il 41% ha escluso i lavoratori dal diritto di costituire o aderire a un sindacato, come riportato nel Global Rights Index: «I datori di lavoro in Armenia e Polonia si sono intromessi nelle elezioni sindacali, mentre i sindacati “gialli” sono stati creati in Armenia, Grecia, Paesi Bassi e Macedonia del Nord per ostacolare la rappresentanza indipendente dei lavoratori». Secondo l’Ituc «questa continua discesa indica che il modello sociale europeo viene attivamente smantellato da governi e aziende a un ritmo accelerato, con il rischio che ciò inneschi una corsa globale al ribasso per i diritti dei lavoratori». La Confederazione sindacale internazionale ritiene che la causa principale dell’attuale crisi democratica sia «l’economia globale neoliberista dominata dalle aziende multinazionali», per questo sta conducendo una campagna per la democrazia nelle istituzioni globali chiedendo ai governi di sottoscrivere un trattato internazionale vincolante, che affronti il potere e l’impatto delle multinazionali sui diritti di milioni di lavoratori. Ha quindi lanciato il progetto Aziende che minano la democrazia, al fine di identificare quelle emblematiche dell’impatto negativo che il potere aziendale può avere sulla democrazia e sui diritti del lavoro. Si tratta, osserva l’Ituc, di aziende che «hanno sostenuto o finanziato forze politiche di estrema destra e autoritarie e sono soggette a denunce e campagne da parte di sindacati e movimenti sociali in tutto il mondo». È stato stilato un elenco, basato su informazioni e ricerche disponibili al pubblico e sulla consultazione con organizzazioni dei diritti umani, civili, economici e ambientali. Tra le sette aziende multinazionali individuate, oltre a Tesla si trovano Amazon, Blackstone Group, ExxonMobil, Glencore, Meta e The Vanguard Group. «Sebbene queste sette aziende siano tra i più eclatanti minatori della democrazia, non sono certo le sole» sostiene l’Ituc, citando anche imprese statali in Cina, Russia e Arabia Saudita, appaltatori militari del settore privato o startup tecnologiche che violano le normative. In una simile situazione, osserva l’Ituc, un futuro in cui le persone e il pianeta abbiano la priorità sui profitti è possibile solo con istituzioni globali riformate che costruiscano un nuovo modello economico, ma ciò avverrà «solo se vinceremo la lotta per la democrazia sul lavoro, nelle società e all’interno di quelle stesse istituzioni globali».