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La bella vita

Milano, 12.11.2014
 
Regia: Paolo Virzì Sceneggiatura: Francesco Bruni, Paolo Virzì Fotografia: Paolo Carnera Scenografia: Attilio Caselli Costumi: Maria Giovanna Caselli Musica: Claudio Cimpanelli Montaggio: Sergio Montanari  Interpreti:  Claudio Bigagli  Sabrina Ferilli Massimo Ghini Giorgio Algranti Emanuele Barresi  Roberto Marini Produzione: Time International Distribuzione: Life International, Buena Vista Home Entertainment Durata 92’
 
Nel 1989, Bruno Nardelli, operaio in un acciaieria di Piombino, sposato con Mirella, cassiera in un supermercato, conduce una vita coniugale serena. Ma una sera, durante la rappresentazione di una rudimentale filodrammatica, proposta da Gerry Fumo, un presentatore di una televisione locale, Mirella rimane affascinata dall’aspetto e dalle maniere persuasive di Gerry. Conosciutolo, Gerry a sua volta la circuisce e la corteggia con insistenza. Complice la nuova situazione del marito, ridotto in cassa integrazione a causa della crisi dell’acciaieria, deluso e demotivato dalle promesse fasulle dei sindacati e dall’insuccesso degli scioperi, e preoccupato di trovare, insieme agli amici Renato Mansani e Luciano Batoni, sognatori utopici, un’alternativa alla propria inerzia, e quindi meno prodigo di attenzioni verso la moglie, Mirella si lascia andare a un’avventura passionale con Gerry, mediante sotterfugi e inganni a danno dell’ignaro marito. Quando Bruno, insospettito dalle insinuazioni di Rossella, una sindacalista da tempo invaghita di lui, si mette a pedinare Mirella e la scopre una sera, a distanza, in automobile con Gerry, la rottura con la moglie diventa inevitabile. E’ la sera del commiato di Mirella dal fatuo Gerry, ma Bruno non lo sa e non crede alla confessione e alle spiegazioni di Mirella, invitandola anzi ad andarsene. La donna si allontana ma, tutt’altro che paga della nuova vita con Gerry – a sua volta nei guai a causa della crisi finanziaria – che le si rivela lagnoso e privo d’iniziativa, decide di tornare dai suoi, all’isola d’Elba. Bruno, insieme agli amici, divenuti più realisti, decide di lavorare in uno stabilimento balneare. Bruno e Mirella si tengono in contatto mediante una corrispondenza epistolare, in cui si confidano le reciproche vicende.
 
Un affascinante esordio nel lungometraggio di un regista che si dimostra fin dalle origini sensibile ai temi del lavoro e delle condizioni ed un innovatore della commedia sociale italiana.
 
CRITICA
 
“Gradevole commedia social-sentimentale del dotato livornese Paolo Virzì, che per il film d’esordio gioca furbescamente in casa, tenendo d’occhio i sussulti del cuore senza perdere di vista quelli della fabbrica. La matrice è, manco a dirlo, rossa, annacquata però da una sorprendente autoironia. La vistosa, e sorprendentemente brava, Sabrina Ferilli, regge benissimo il confronto in sex appeal con le più celebri maggiorate del passato”. (Massimo Bertarelli, ‘Il Giornale’, 16 luglio 2002)
 
  
Storia di un triangolo sentimentale nella Piombino del 1992: lui è un cassintegrato delle acciaierie con velleità d’imprenditore, lei commessa di supermercato con pruriti alla Bovary e l’altro un fatuo imbonitore televisivo. Ci sono pulizia descrittiva nell’analisi del malessere _ antropologico e culturale prima che sociale _ del ceto operaio che ha smarrito la propria identità, un trio di attori che funzionano, comprimari con le facce giuste, ma anche una certa mancanza di energia narrativa, visibile specialmente nella ricerca annaspante di un finale. Nastro d’argento e David di Donatello al regista esordiente. (M. Morandini)
 
Il film sa coniugare abilmente il risvolto privato della vicenda con le problematiche sociali in cui esse sono inserite, presentando situazioni e personaggi di convincente spessore. Bravi gli attori, splendida la Ferilli. (FilmTv)
 
Una commedia sentimentale dallo sviluppo abbastanza banale, se sta va a vedere la storia di adulterio tra Bruno e Mirella, operai delle acciaierie di Piombino lui, cassiera di un supermercato lei, sposati da tre anni senza figli. Ma è il contesto “sociale” ad essere importante e, se ci si pensa bene, forse ancora più attuale che all’epoca. Il film inizia, infatti, nel 1989, l’anno che con la caduta dei muri nell’est europeo, aveva fatto sperare in un futuro di pace e prosperità, quanto meno per la parte di mondo a noi più vicina. Il film si svolge nel terribile autunno/inverno tra il 1992 (l’anno in cui il governo Amato, per salvare i conti dell’Italia, prelevò il sei per mille da tutti i conti i correnti bancari degli Italiani) e il 1993. In quel periodo, per facilitare l’acquisizione delle acciaierie piombinesi da parte del Gruppo Lucchini, furono “dismessi”, soprattutto grazie al prepensionamento dei più anziani, qualche migliaio di dipendenti. Nonostante questo, la nuova proprietà prosegui nella sua politica di sfoltimento dei ranghi, soprattutto mediante la messa in cassa integrazione e i licenziamenti, più o meno volontari.
La messa in cassa integrazione a zero ore è proprio quello che capita a Bruno, protagonista del primo film di Virzì. E, se negli anni ottanta, la c.i.g. era stata uno strumento che preludeva al riassorbimento dei dipendenti interessati, nel 1993 di La bella vita tutti sanno che è il passo che precede il licenziamento (perché venga messo in cassa integrazione Bruno e non i suoi colleghi, resta da capirlo: forse perché non sufficientemente protetto dal sindacato?). E la bella vita è, appunto, quella che fanno – o si presume che facciano – i dipendenti che restano a casa, pagati grazie al suddetto ammortizzatore sociale fino ad un massimo dell’80% della retribuzione. E invece “stare in cassa integrazione” non è affatto una bella vita, anche perché, come nota Bruno, il nome stesso di cassa sembra preludere alla cassa da morto. E infatti, quella di Bruno è una vita da zombi: va «alla grande; mi sono alzato all’undici e mezzo, ora vo a gioca’ la schedina, poi cucino, poi ridormo… alle cinque c’è “Il calcetto dei campioni” su Telepiù…». Tanto che anche il Brogi, il vicino di casa e collega che si ritrova improvvisamente in cassa integrazione e che a febbraio si prepara alla caccia ai colombacci, che apre in autunno, alla fine usa la sua doppietta per tirarsi una fucilata.
E nemmeno il rapporto tra Bruno e Mirella, che sembrava essersi rinsaldato dopo l’infarto capitato a lui, si aggiusta più: la speranza, suggerisce Virzì, si può intravedere in quello stabilimento balneare che i due soci di Bruno hanno impiantato sul terreno nel quale sarebbe dovuta sorgere la loro impresa che avrebbe dovuto operare nell’indotto dell’acciaio.
La bella vita, opera prima del regista livornese, prelude già al suo cinema futuro, con pregi e difetti: i ritrattini di provincia, l’insieme di comicità popolaresca (anche sboccata, ma non direi volgare) e sottofondo amarognolo, tipica già dei migliori momenti della commedia all’italiana e resta tra i capitoli più riusciti della filmografia virziana.

Tra gli attori, fu molto lodata la Ferilli, che qui dimostra, comunque, di avere delle doti di attrice (che forse, proprio con Virzì, anche in Tutta la vita davanti, ha saputo mettere in mostra), ma la vera rivelazione è Claudio Bigagli, una sorta di dimesso mattatore, che rispetto alla partner può mettere a frutto la propria toscanità, senza per questo indulgere alla macchietta vernacolare. (sasso67 FilmTv).

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