Ovosodo

Milano, 3.11.2015
 
 
REGIA  Paolo Virzì  SCENEGGIATURA: Francesco Bruni, Paolo Virzì, Furio Scarpelli FOTOGRAFIA: Italo Petriccione, Fabrizio Vicari MONTAGGIO: Jacopo Quadri MUSICHE: Snaporaz, Battista Lena INTERPRETI: Edoardo Gabbriellini, Malcolm Lunghi, Matteo Campus, Regina Orioli, Alessio Fantozzi, Nicoletta Braschi, Claudia Pandolfi, Enrica Pandolfi, Marco Cocci, Pietro Fornaciari, Salvatore Barbato, Jonathan De Giuli, Filippo Barbisan, Monica Brachini, Maria Grazia Taddei, Gianna Giachetti, Barbara Scoppa, Daniela Morozzi, Raffaele Vannoli, Furio Vannozzi, Paolo Edoardo Fornaciari, Ginevra Colonna PRODUZIONE: Cecchi Gori Group Tiger Cinematografica, DISTRIBUZIONE: Cecchi Gori Distribuzione, DURATA: 99 Min
 
Piero Mansani viene soprannominato “Ovosodo” (a causa del suo aspetto duro ma dal cuore tenero), proprio come il rione popolare di Livorno, in cui è nato nel 1974. Fin da bambino scopre il dolore per la morte della madre, per ritrovarsi nel mondo degli adulti fatto di scoperte, disillusioni e primi amori. Nella sua professoressa Giovanna, Piero trova la persona che più gli sta vicino, lo capisce, gli presta romanzi che lui divora, certamente non può contare sull’appoggio della sua famiglia, composta da un padre ex portuale che entra e esce di galera, dalla matrigna (nevrotica e insoddisfatta) e dal fratello ritardato. Tuttavia incontra anche persone che gli faranno capire come gira la grande giostra della vita.
 
Un protagonista di origini proletarie che, alla fine di un percorso adolescenziale, ritornano alla classe di appartenenza non è una storia nuova nel cinema italiano ma il merito di Ovosodo è stato quello di essere riuscito ad impastare tenerezza con creatività in un film che entra a tutti gli effetti nella storia della commedia italiana più autentica: quella che non dimentica i problemi sociali. Inoltre, come da tradizione neorealista, il film è collocato in un preciso territorio e molti attori sono presi dalla strada.

Si chiama Piero, lo chiamano Ovosodo perché è nato nell’omonimo quartiere di Livorno. È curioso, bonario, un po’ debole. Aderisce alle varie esperienze che gli propongono gli amici. Viene affascinato da un tipo bizzarro che è in realtà figlio di un ricco industriale. Comincia a legare con le donne, si fa una cultura e cerca di interpretare la politica. Il tutto è narrato con voce fuori campo, in idioma toscano: ormai il testo fuori campo è una moda ben precisa, ed è efficace nei diversi profili (da Jane Austen a Pieraccioni). Virzì vorrebbe porsi come il Pieraccioni più intelligente. La qualità delle battute e della “letteratura” generale della sceneggiatura percorrerebbe quella strada. Il film è comunque corretto e si sorride spesso, anche se la sensazione è quella di un progetto forse troppo organizzato e furbesco. Comunque Virzì funziona, e non è poco nel nostro panorama. (MyMovies)
 
“Ovosodo” non solo è entrato (caso raro per una commedia) nel concorso della Mostra di Venezia, ma se ne è tornato addirittura a casa con il Gran Premio della Giuria. Il film non è una “grande” commedia all’italiana, ma piuttosto una di quelle piccole commedie anni Cinquanta costruite sull’incrocio di una miriade di personaggi (che allora erano attori di varietà e caratteristi). (FilmTv)
 
Cresciuto in un quartiere popolare di Livorno, detto Ovosodo, Piero (Gabbriellini) arriva faticosamente al liceo classico, diventa amico del ricco e irrequieto Tommaso (Cocci), sbanda per una cugina (Orioli) dell’amico, è bocciato alla maturità e, dopo il servizio militare, trova lavoro nella fabbrica del padre di Tommaso finché gli tocca in premio la coinquilina Susy (Pandolfi). E si trova sistemato: marito, padre e operaio. Emblematico esempio di cinema medio italiano degli anni ’90, capace di conciliare consensi di critica e successo di pubblico, costruito come un classico romanzo di formazione, in oscillazione tra nostalgia e rassegnazione senza nome, tenero più che lucido, all’insegna ideologica di una socialdemocrazia rassicurante e ulivista. “Rimane lì, come un uovo sodo, non va né su, né giù” (F. Pitassio). Gran Premio speciale della giuria a Venezia. (M. Morandini)
 
La storia di Piero Mansani è raccontata in prima persona dal personaggio stesso e attraversa le fasi dell’infanzia e adolescenza fino ad arrivare alle scelte che fanno del protagonista un giovane adulto. Il lungo percorso di crescita e formazione di Piero viene narrato attraverso una strategia precisa di interpellazione diretta dello spettatore. Una strategia che trova ulteriore solidità negli sguardi in macchina rivolti dal personaggio in alcuni passaggi specifici del film: all’inizio, quando Piero adolescente innamorato dichiara di voler raccontare la sua storia; più avanti, quando il bambinetto prende coscienza per la prima volta del sesso femminile in occasione delle giornate mondiali della nazionale italiana di calcio nel 1982; quindi nella scena in cui il personaggio intende sottolineare la propria distanza rispetto alla volgarità dei suoi coetanei in materia sessuale.  Decisiva è l’importanza attribuita nel film alla provenienza sociale del protagonista e alla sua condizione economica. Cresciuto in una situazione di sussistenza e di incertezza materiale dovuta all’attività illegale e disordinata del padre, Piero vive una sorta di perenne inadeguatezza nei confronti degli ambienti che frequenta. A partire dal prestigioso liceo cittadino, dove il primo giorno di scuola viene scambiato per l’idraulico a causa del suo look, successivamente Piero si troverà a disagio nell’ambiente di figli di papà romani che gravitano intorno all’amico Tommaso e a sua cugina Lisa. E lo stesso amore di Piero nei confronti della ragazza sarà decisamente ostacolato da una sensazione di inferiorità legata a ragioni economiche. La spregiudicatezza e la libertà sentimentale di Lisa, così come avviene per Tommaso, sono invece un effetto dell’elevato benessere materiale in cui vivono i due giovani.  Il film insiste dunque sulle differenze legate all’appartenenza dei personaggi a gruppi e classi sociali diverse. Ed è proprio attraverso la progressiva presa di coscienza di un’appartenenza di classe che Piero riesce a raggiungere una precisa identità. La stessa che, nel finale del film, gli fa affermare, non senza una punta di malinconia, che alla fine della stagione della formazione il suo destino non può che essere quello di andare a lavorare in fabbrica e di fare un figlio con una ragazza del suo quartiere. Come se l’epoca dei sogni fosse terminata per sempre, ma anche col raggiungimento di un equilibrio interiore e con l’accettazione serena del proprio posto nel mondo.
Ben diverse, naturalmente, saranno le prospettive per Tommaso, che grazie all’attività industriale dei suoi potrà dedicarsi spensieratamente alle attività creative più disparate ed eccitanti. Un po’ alla volta la sua amicizia diventerà sempre più lontana, come quell’America in cui questi se n’è andato a vivere.  Gli approdi raggiunti da Piero si rivelano dunque essere molto lontani da quel futuro da uomo di Lettere che la sua insegnante delle medie aveva auspicato per lui. E così, con la morte della giovane professoressa Fornari, sembra che cominci ad andarsene anche la stagione dei sogni. Ma la scoperta che Susy abita nell’appartamento dell’insegnante attribuisce al ricordo dei suoi insegnamenti un valore insostituibile di orgoglio e di dignità. (Umberto Mosca – Aiace)
 
E’ la storia di qualcosa che nasce solo e senza una forma bene definita. Non si spezza al minimo urto; qualsiasi cosa accada, la sua solida corazza resiste. Difficilmente aprirà il suo cuore o almeno lo farà solo con chi merita veramente. Ma questa specie di uovo sodo, piano piano si adegua, cresce, costruisce qualcosa. Magari non diventerà il padrone del mondo, ma tenta di esser felice giorno per giorno. Questa è la storia di ognuno di noi.Il film è un puro inno alla vita. E’ un ode a tutto ciò che di strepitoso o esageratamente normale ci può capitare ogni giorno, persone e personaggi inclusi. Rappresenta il racconto crudo, genuino e senza filtri di un uomo che guardandosi indietro ripercorre il suo cammino. Non esiste un antagonista, non ci sono colpi di scena, nè drammi o finali senza fiato.. è la semplicità che non annoia il lettore il quale spesso si rivede in quegli atteggiamenti e sensazioni. (Nozzweb)