Terra di Mezzo

 Milano, 23.11.2015

 
REGIA: Matteo Garrone SCENEGGIATURA: Matteo Garrone FOTOGRAFIA: Marco Onorato MONTAGGIO: Marco Spoletini INTERPRETI: Fatou Kine Fall, Gabriella Aru, Barbara , Mario Colasanti, Giacomo De Martino, Guglielmo Ferraiola, Gertian Durmishi, Stefano Evangelisti, Euglen , Jaqueline Rose Nabagereka, Pascal, Andrzej Pawlikowski, Paolo Sassanelli, Maria Ramirez, Mariane Sano, Gino Scartaghiande, Salvatore Sansone, Massimo Sarchielli, Laura Rosso, Gertian , Antonio Gervasutti, Gubda, Kuc Jaroslaw, Ahmed Mahgoub, Euglen Sota, Tina PRODUZIONE: Archimede DISTRIBUZIONE: Tandem DURATA: 78 Min
 
Tre episodi sulla vita quotidiana di alcuni stranieri a Roma. Nel primo (Silhouette), tre prostitute nigeriane, Tina, Barbara e Pascal, in attesa di clienti ingannano il tempo chiacchierando tra loro e raccontando quello che succede negli incontri con gli uomini. Nel secondo episodio (Euglen e Gertian), due giovani albanesi si vedono costretti ad accettare lavoro nero come muratori ed entrano in contatto con una vecchia, nobile signora romana. Nel terzo episodio (Self service), Ahmed, egiziano ormai di mezza età, fa il benzinaio abusivo notturno con tutti i rischi che la situazione comporta. Poi, quando la mattina torna a casa, ricorda la sua precedente, importante, vita in Egitto, ormai lasciata alle spalle.
 
Opera prima realista del futuro regista di Gomorra che dimostra un interesse particolare per i temi dell’immigrazione e sociali e che rimane ancor oggi una importante testimonianza sulla vita quotidiana degli immigrati del periodo. Un film che, rinunciando allo spettacolo, riesce a documentare il lavoro immigrato vincendo meritatamente il Premio Cipputi per il miglior film sul mondo del lavoro al Festival di Torino
 
LA CRITICA
 
La macchina da presa di Garrone cattura situazioni, gesti, paesaggi senza brutalità, con malinconica sollecitudine, manipolando (in senso buono) quelle testimonianze che si trasfigurano in storie, in quei dialoghi disinvolti, buffi e aspri, tra le prostitute africane e gli impacciati, venali, avventori italiani, nei silenzi attoniti e interrogativi dei giovani albanesi che barattano se stessi, nel volto segnato e (quasi) comico dell’immigrato quando chiacchiera, sempre all’erta, con automobilisti di passaggio forse amici, forse no. I venti minuti dell’episodio iniziale vinsero, l’anno scorso, il Sacher Film Festival di Nanni Moretti. E grazie a quel successo e alle premure del regista di ‘Caro Diario’, l’esordiente Matteo Garrone, 29 anni, ha avuto l’opportunità di confezionare un prodotto più completo, meno occasionale, più intenso. (Fabio Bo, ‘Il Messaggero’, 7 maggio 1997)
 
In parte finzione, in parte ‘teatro di vita’, che fonde realtà e ricostruzione, i settantotto minuti di Terra di mezzo sono un viaggio in una realtà che sfioriamo ogni giorno. Molto pudico, molto bello, molto toccante: una provocazione tutta cose e senza lagne alla serena cecità dei ‘garantiti’. (Irene Bignardi, ‘La Repubblica’, 23 maggio 1997)
 
 Opera prima di Matteo Garrone, 29 anni, ‘Terra di mezzo’ è un trittico sulla vita di ogni giorno di un gruppo di extracomunitari nell’hinterland romano: le chiacchiere di alcune prostitute di colore, le disavventure di due giovani albanesi alle prese con il mondo del lavoro nero; un egiziano che staziona abusivamente a una pompa di benzina. Le loro storie e le loro esperienze si stagliano sullo sfondo di un paesaggio estraneo e indifferente, magistralmente ritratto da Garrone che, avendo sommato esperienze di pittore e di aiuto operatore, dimostra di possedere uno spiccato senso dell’immagine. Lo aspettiamo alla seconda prova. (Enzo Natta, ‘Famiglia Cristiana’, 2 luglio 1997)
 

 

Non ingannino l’approccio semidocumentaristico e la tematica sociale: Terra di mezzo schiva agilmente le formule del cinéma-vérité e del film di denuncia per assegnare la priorità della rappresentazione allo sguardo e al territorio esplorato. Manovrata da Andrea Busiri Vici, la cinepresa coglie sì frammenti di realtà quotidiana ma subordinandola a una rielaborazione visiva e ambientale totalmente svincolata dalle convenzioni del verismo enfatico o del realismo accusatorio. Spalleggiato dalla fotografia di Marco Onorato e dal montaggio di Marco Spoletini (collaboratori pressoché inamovibili di Garrone), il ventinovenne regista e sceneggiatore romano mostra da subito una sensibilità fuori dal comune nel creare suggestioni spaziali e nel tratteggiare situazioni aliene a ogni moralismo declamatorio: lo squallore del contesto è riscattato da angolazioni sorprendenti e da derive ironiche che allontanano la messa in scena dal bozzettismo cencioso e dal registro del grottesco. C’è spazio per il sorriso e per la compassione, ma senza scadimenti nel cinismo o nel pietismo d’accatto. I personaggi che popolano i vari episodi, talvolta transitando dall’uno all’altro, non vengono giudicati aprioristicamente, ma alternano momenti di durezza e fragilità, scontrosità e socievolezza, dando vita a ritratti di pungente credibilità. ….A sbalordire è soprattutto la capacità di articolare una visione personale di estrema scioltezza: mai appiattito su logori moduli neorealistici o sciatti protocolli televisivi, lo sguardo di Garrone sciorina prospettive inusitate, coglie dettagli insolenti, si abbandona a derive nel paesaggio di cocente malinconia. Una scrittura filmica totalmente priva di retorica e perfettamente in grado di snidare particolari di dolente umanità nel degrado appariscente così come di soffermarsi su scatti di prepotenza in situazioni apparentemente innocue. Lungi dall’assecondare tracciati narrativi prestabiliti o dal chiudersi nelle imprigionanti forme del documentario, Terra di mezzo aderisce alle situazioni filmate con prensile flessibilità, immergendosi orizzontalmente nella materia rappresentata non facendosene sommergere. Cinema senza se e senza ma.(Alessandro Baratti – Gli spietati)