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Euronote – Diritti a rischio in Europa

Dal diritto al lavoro ai diritti umani e civili si registra un diffuso peggioramento

Milano, 21.7.2020

In Europa esiste un problema di diritti, a vari livelli. Così, mentre i leader degli Stati membri discutevano e si dividevano durante il Consiglio europeo su termini e modalità del Recovery Plan, la Confederazione europea dei sindacati(Ces) li esortava ad avviare immediatamente il Piano di ripresa per tutelare il diritto al lavoro. Nei primi tre mesi delle restrizioni Covid-19, infatti, la disoccupazione è aumentata di 900.000 unità in tutta l’Ue raggiungendo un totale di 14,3 milioni di disoccupati, ha evidenziato la Ces osservando che attualmente altri 45 milioni di lavoratori sono impiegati in regimi di lavoro a breve termine e 2,5 milioni di lavoratori hanno contratti a brevissimo termine. Si tratta cioè complessivamente di oltre 60 milioni di persone senza occupazione o a rischio di perderla, «cifre economiche allarmanti che porteranno gravi conseguenze sociali e politiche» ammoniscono i sindacati europei, perché si aggiungeranno a una situazione già inaccettabile: la disuguaglianza è troppo elevata, la retribuzione media dei lavoratori in un terzo dei Paesi dell’Ue è inferiore o uguale a dieci anni fa, mentre il Covid-19 ha messo in luce gli effetti dei tagli e degli investimenti in sanità, assistenza sociale e altri servizi. In sostanza, denuncia la Ces, «la ripresa lenta e disomogenea dalla crisi di oltre un decennio fa ora minaccia di essere sopraffatta da uno tsunami di recessione causato dalla pandemia», per questo il movimento sindacale europeo esorta le istituzioni e tutti i capi di governo o di Stato dell’Ue ad assumersi la responsabilità collettiva di sostenere il proposto piano di ripresa da 750 miliardi di euro.

Scarsa percezione dei diritti

Esiste poi un problema di percezione dei propri diritti non garantiti, come evidenziato da una recente indagine dell’Agenzia dell’Ue per i diritti fondamentali (Fra)  che rivela una netta divisione nella società in Europa. Generalmente c’è fiducia nei diritti umani e civili per creare società più eque, tuttavia, se si fatica a far quadrare i conti, se si è giovani o vulnerabili, spesso si ha una percezione molto debole dei diritti. Dal sondaggio svolto tra gennaio e ottobre 2019 su 35.000 persone in tutti gli Stati membri dell’Ue emerge che il 44% delle persone con difficoltà finanziarie crede che i diritti giovino solo a coloro che non li meritano, come criminali e terroristi: a ridurre la fiducia nei diritti sono quasi sempre i vincoli finanziari e i bassi livelli di istruzione. La maggior parte degli europei (60%), poi, pensa che i partiti e i politici non si curino dei diritti, percentuale che sale al 73% tra le persone che hanno difficoltà finanziarie, mentre oltre il 60% in alcuni Paesi ritiene normale la corruzione per accelerare l’accesso all’assistenza sanitaria. «È allarmante il numero di giovani europei o di persone in difficoltà che si sentono abbandonati dai diritti, che invece sono per tutti e nessuno dovrebbe sentirsi lasciato indietro» afferma il direttore della Fra, Michael O’Flaherty, secondo cui l’alta percentuale di persone disincantate e pessimiste sulla questione dei diritti umani e civili dovrebbe spingere i Paesi dell’Ue ad agire, perché «tutti abbiamo il dovere di garantire che i diritti apportino benefici tangibili a ciascuno di noi».

Diritti violati e abusi durante il lockdown

Ancor più gravi le violazioni dei diritti denunciate in queste settimane dall’ufficio europeo di Amnesty International, secondo cui i blocchi decisi per il Covid-19 hanno evidenziato pregiudizi e discriminazioni razziali da parte di membri delle forze di polizia. «La polizia che applica i blocchi di Covid-19 in tutta Europa ha preso di mira in modo sproporzionato le minoranze etniche e i gruppi sociali più emarginati, con violenze, controlli discriminatori di identità, quarantene forzate e multe» sostiene Amnesty International in un nuovo Rapporto che esamina i controlli attuati per la pandemia in 12 Paesi europei. Emerge anche in Europa un inquietante modello di pregiudizio razziale collegato alle preoccupazioni sul razzismo istituzionale all’interno delle forze di polizia, che fa eco alle gravi questioni discriminatorie e razziste sollevate nelle proteste del “Black Lives Matter”. Denunce di violenze e razzismo da parte delle forze di polizia che non sono nuove, ma che l’applicazione coercitiva dei blocchi durante il periodo della pandemia ha rivelato chiaramente, tanto che «le triplici minacce di discriminazione, uso illecito della forza e impunità della polizia devono essere affrontate con urgenza in Europa» secondo Amnesty. L’applicazione dei blocchi ha avuto un impatto sproporzionato sulle aree più povere, che spesso hanno una percentuale maggiore di residenti appartenenti a gruppi etnici minoritari. Il Rapporto rileva come nella Senna-Saint-Denis, la zona più povera della Francia continentale dove la maggioranza degli abitanti è nera o di origine nordafricana, il numero di multe per aver violato il blocco è stato tre volte superiore rispetto al resto del Paese, nonostante le autorità locali affermassero che il rispetto delle misure era simile ad altre aree. A Nizza, nove quartieri abitati prevalentemente da operai e minoranze etniche sono stati sottoposti a coprifuoco durante la notte più lungo rispetto al resto della città. L’uso illegale della forza da parte della polizia ha spesso avuto luogo nel contesto di controlli, di arresti e di ricerca di identità quali misure di blocco applicate dalla polizia, sostiene Amnesty. Così, la polizia di Londra ha registrato un aumento del 22% negli arresti e nelle ricerche tra marzo e aprile 2020, periodo durante il quale la percentuale di neri perquisiti è aumentata di un terzo. Evidence Lab di Amnesty International ha verificato 34 video provenienti da tutta Europa che mostrano come la polizia abbia usato la forza illegalmente. Alle popolazioni rom, poi, in Bulgaria e Slovacchia sono state imposte quarantene militarizzate con decine di migliaia di persone che hanno sofferto gravi carenze alimentari. Nella città bulgara di Burgas, denuncia Amnesty, le autorità hanno utilizzato droni con sensori termici per misurare da remoto la temperatura dei residenti negli insediamenti rom e monitorare i loro movimenti, mentre a Yambol (sempre in Bulgaria) sono stati utilizzati aerei per “disinfettare” le aree abitate da rom.

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