Euronote – Lavoro minorile in stallo

Miglioramenti fermi e si temono gli effetti delle crisi di Covid, prezzi e guerre

Milano, 24.5.2022

«Le conseguenze della pandemia di Covid-19, dei conflitti armati e delle crisi alimentari, umanitarie e ambientali minacciano di invertire anni di progressi contro il lavoro minorile», questa l’amara conclusione cui è giunta la quinta Conferenza mondiale sull’eliminazione del lavoro minorile, svoltasi per la prima volta in Africa, a Durban, nei giorni 16-20 maggio scorsi. Dopo i costanti e notevoli miglioramenti verificatisi dal 2000 al 2016, anni in cui la stima complessiva dei minori impiegati in attività lavorative a livello globale è passata da oltre 245 milioni a circa 150 milioni, tra il 2016 e il 2020 la situazione si è stabilizzata intorno ai 160 milioni e si teme possa tornare ad aumentare in conseguenza della crisi pandemica.

Dal momento che mancano solo tre anni per raggiungere l’obiettivo di eliminare tutto il lavoro minorile entro il 2025 e solo otto anni per eliminare il lavoro forzato entro il 2030, come delineato con gli Obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite, è logico che i delegati abbiano concordato la necessità di un forte impegno contro il lavoro minorile. Per la prima volta nella storia di queste conferenze globali sul lavoro minorile, poi, a Durban hanno partecipato anche i delegati dei bambini, i quali hanno espresso le loro aspettative che i responsabili delle decisioni dovrebbero intensificare i loro sforzi e accelerare i progressi.

«Qualcuno potrebbe dire che il lavoro minorile è una conseguenza inevitabile della povertà e che dobbiamo accettarlo. Ma questo è sbagliato. Non possiamo mai rassegnarci al lavoro minorile» ha dichiarato il direttore generale dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (Oil-Ilo), Guy Ryder.

Il problema dell’Africa subsahariana

Le ultime stime globali, fornite da Ilo e Unicef nel Rapporto Child Labour, indicano che all’inizio del 2020 erano coinvolti nel lavoro minorile a livello globale 160 milioni di bambini e ragazzini, di cui 97 milioni  maschi e 63 femmine, il che equivale a quasi un bambino su dieci. Inoltre, circa la metà di tutti i minori coinvolti in attività lavorative, 79 milioni, sono costretti ad attività pericolose che mettono direttamente in pericolo la loro salute, sicurezza e sviluppo morale.

Il progresso globale contro il lavoro minorile è stagnante dal 2016, con una percentuale di bambini impiegati rimasta invariata e un numero assoluto aumentato di oltre 8 milioni. Un quadro globale che nasconde un po’ i continui progressi svolti nelle regioni mondiali Asia e Pacifico e America Latina e Caraibi, dove il lavoro minorile è effettivamente diminuito negli ultimi quattro anni in termini percentuali e assoluti, a differenza di quanto avvenuto nell’Africa subsahariana dove invece si è avuto un aumento dal 2012 sia del numero che della percentuale di minori coinvolti in attività lavorative, tanto che oggi ci sono più bambini impiegati nel lavoro in Africa subsahariana che nel resto del mondo.

A fronte di un miglioramento della situazione nelle fasce di età 12-14 anni e 15-17 anni, tra il 2016 e il 2020 si è registrato un aumento del lavoro minorile tra i bambini più piccoli, cioè dai 5 agli 11 anni, il cui numero è cresciuto di 16,8 milioni.

La crisi del Covid-19 minaccia poi di erodere ulteriormente il progresso globale contro il lavoro minorile, sostiene l’Ilo, secondo cui entro la fine del 2022 altri 8,9 milioni di bambini finiranno per essere impiegati in attività lavorative come conseguenza della crescente povertà causata dalla pandemia e dal rincaro di molte materie prime e alimenti.

Soprattutto in agricoltura e in famiglia

Altre caratteristiche del lavoro minorile riguardano poi la differenza tra sessi, con un coinvolgimento maggiore per i ragazzi rispetto alle ragazze di tutte le età: tra i maschi l’11,2% è coinvolto nel lavoro minorile rispetto al 7,8% delle femmine, in termini assoluti la manodopera minorile maschile supera quella femminile di 34 milioni. Quando però la definizione di lavoro minorile si amplia per includere le faccende domestiche, allora il divario di genere tra i 5 ed i 14 anni si riduce di quasi la metà. Dal Rapporto emerge poi come il lavoro minorile sia molto più comune in campagna, con 122,7 milioni di bambini occupati in zone rurali rispetto a 37,3 milioni di piccoli lavoratori urbani. La prevalenza del lavoro minorile nelle aree rurali (13,9%) è circa tripla rispetto alle aree urbane (4,7%). Situazione determinata dal fatto che la maggior parte del lavoro minorile, sia per i ragazzi che per le ragazze, continua a essere svolto in agricoltura, settore che impiega 112 milioni di minori, cioè il 70% circa di tutti i bambini coinvolti nel lavoro minorile. Ciò avviene soprattutto tra i più piccoli, con l’agricoltura che rappresenta spesso un punto di ingresso nel lavoro minorile: oltre tre quarti dei bambini di 5-11 anni coinvolti nel lavoro minorile lavorano in agricoltura.

Altro aspetto molto rilevante è che la maggior parte del lavoro minorile avviene all’interno delle famiglie, aziende a conduzione familiare o microimprese di famiglia: si trova in questa situazione il 72% di tutti i minori impiegati in attività lavorative, percentuale che sale all’83% tra i bambini di 5-11 anni. Un lavoro spesso pericoloso, nonostante la parcezione comune che la famiglia rappresenti un ambiente più sicuro: più di un bambino su quattro di 5-11 anni e quasi la metà dei bambini di 12-14 anni occupati nel lavoro minorile dalla famiglia svolgono mansioni suscettibili di nuocere alla loro salute, sicurezza o morale, sostiene l’Ilo.

Infine la questione scolastica, strettamente legata al lavoro minorile dal momento che una grande quota di bambini coinvolti nel lavoro minorile sono esclusi dalla scuola nonostante rientrino nella fascia di età per la scuola dell’obbligo. Oltre un quarto dei bambini di 5-11 anni e oltre un terzo dei ragazzini di 12-14 anni occupati nel lavoro minorile sono fuori dal sistema scolastico. «Questo limita gravemente le loro prospettive per un lavoro dignitoso anche in gioventù e in età adulta, come il loro potenziale di vita in generale» osservano Ilo e Unicef, secondo cui «molti bambini lottano per bilanciare le richieste della scuola e del lavoro minorile allo stesso tempo, cosa che compromette la loro educazione e il loro diritto allo svago».