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Euronote – Lotta alla disinformazione on line

Nuove proposte della Commissione per limitare l’uso strumentale di social e web

Milano, 3.5.2018

La disinformazione non è una pratica nuova, di fatto è nata con l’informazione, ma è indubbio che le nuove tecnologie ne hanno modificato i meccanismi e soprattutto ampliato la risonanza attraverso la rete. La questione va oltre il problema delle cosiddette “fake news” (notizie false), perché la disinformazione include «tutte le forme di informazioni false, inaccurate o fuorvianti progettate, presentate e promosse per causare intenzionalmente danno pubblico o per profitto». È questa una definizione data dal Gruppo di esperti di alto livello (Hleg) creato dalla Commissione europea per definire la portata del fenomeno, individuare ruoli e responsabilità e formulare raccomandazioni. Il recente caso Facebook/Cambridge Analytica, con dati personali sfruttati in contesti elettorali, ha fatto emergere ancora una volta la necessità di intervenire a livello europeo per garantire i processi democratici anche attraverso un migliore e più efficace contrasto della disinformazione.

A tale scopo la Commissione ha proposto, il 26 aprile scorso, alcune misure riguardanti tra l’altro la realizzazione di un codice di buone pratiche europee sul tema della disinformazione, il sostegno a una rete indipendente di verificatori di fatti e l’adozione di una serie di azioni volte ad incentivare il giornalismo di qualità e promuovere l’alfabetizzazione mediatica.

Importanti indicazioni da una consultazione pubblica

Oltre al supporto fornito dal Gruppo di esperti, l’iniziativa della Commissione si è basata sui risultati di una consultazione pubblica sulla disinformazione online che ha avuto luogo tra il 13 novembre 2017 e il 23 febbraio 2018, per un totale di 2986 risposte ricevute da parte di persone fisiche e organizzazioni prevalentemente di Belgio, Francia, Regno Unito, Italia e Spagna.

Ebbene, oltre il 99% degli intervistati ha dichiarato di essersi imbattuto in notizie false e la maggior parte di loro ritiene che queste vengano diffuse principalmente attraverso i social media, i blog e i giornali online, mezzi di informazione che per questo motivo godono di minima fiducia rispetto a giornali e riviste tradizionali, agenzie di stampa e siti web specializzati.

La consultazione ha evidenziato la percezione che la diffusione attraverso i social media di notizie false sia facile perché queste fanno appello alle emozioni dei lettori (88%), sono diffuse per orientare il dibattito pubblico (84%) e sono concepite per generare entrate (65%). Inoltre, i partecipanti alla consultazione sono convinti che le notizie siano condivise senza controllo preventivo (85%) o non siano verificate (80%) prima di essere pubblicate.

Per quanto riguarda le aree più interessate da “fake news”, secondo i risultati della consultazione, spiccano gli affari politici, l’immigrazione, le minoranze e la sicurezza, di conseguenza c’è la convinzione diffusa che il maggior danno sia fatto sulle decisioni di voto e sull’influenza delle politiche in queste aree di interesse.

Il Centro di ricerca della Commissione europea ha poi pubblicato uno studio sulle notizie false e la disinformazione in cui si rileva che i due terzi dei fruitori di notizie online preferiscono l’accesso mediante piattaforme guidate da algoritmi, come motori di ricerca e aggregatori di notizie, e siti web di social media. Nello studio si afferma che il potere di mercato e i flussi di entrate si sono spostati dagli editori di notizie agli operatori di piattaforme in possesso di dati che permettono loro di abbinare articoli e annunci ai profili dei lettori.

Come contrastare la disinformazione online

La Commissione europea ha così proposto una serie di misure per contrastare la disinformazione online.

Innanzitutto un codice comune di buone pratiche sul tema della disinformazione, che entro luglio dovrebbe essere messo a punto dalle piattaforme online con l’obiettivo di: garantire trasparenza sui contenuti sponsorizzati, in particolare per quanto riguarda i messaggi pubblicitari di natura politica; fare maggiore chiarezza in merito al funzionamento degli algoritmi e consentire verifiche da parte di terzi; agevolare la scoperta e l’accesso da parte degli utenti di fonti di informazione diverse, che sostengano differenti punti di vista; applicare misure per identificare e chiudere gli account falsi e per affrontare il problema dei bot automatici; fare in modo che i verificatori di fatti, i ricercatori e le autorità pubbliche possano monitorare costantemente la disinformazione online.

Un’altra misura riguarda la creazione di una piattaforma online europea sicura sulla disinformazione, che supporti la rete dei verificatori di fatti e i ricercatori del mondo accademico raccogliendo e analizzando dati a livello transfrontaliero e dando loro accesso a dati riguardanti l’intera Ue.

Si considera poi fondamentale una maggiore «alfabetizzazione mediatica», anche con la preparazione di materiale didattico per le scuole, che aiuterà gli europei a riconoscere la disinformazione online e ad accostarsi con occhio critico ai contenuti online.

Gli Stati membri sono chiamati a garantire «processi elettorali solidi» contro minacce informatiche sempre più complesse, fra cui la disinformazione online e gli attacchi informatici, mentre si prevede un sostegno all’informazione «diversificata e di qualità» oltre ad attività di sensibilizzazione mirate a contrastare le notizie false sull’Europa e la disinformazione all’interno e al di fuori dell’Ue.

Ora è prevista la convocazione di un forum di soggetti interessati che entro il luglio prossimo dovrebbe realizzare un codice di buone pratiche sul tema della disinformazione online, con l’obiettivo di ottenere un impatto misurabile entro ottobre. Per la fine dell’anno, poi, la Commissione presenterà una relazione sui progressi compiuti.

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