Euronote – Prove di politica migratoria europea

Presentato dalla Commissione europea un nuovo Patto su migrazione e asilo

Milano, 29.9.2020

Per ora si tratta solo di proposte, che dovranno passare al vaglio del Parlamento europeo e soprattutto del Consiglio europeo, ma il nuovo Patto sulla migrazione e l’asilo proposto dalla Commissione europea delinea quella che potrebbe diventare la nuova politica europea in materia di migrazioni. L’impostazione è chiara, specie su controllo delle frontiere esterne e gestione dei flussi: rafforzamento dei controlli attraverso il sistema Frontex; superamento del regolamento di Dublino, per alleggerire i Paesi di arrivo dei migranti; condivisione e solidarietà tra Stati membri dell’Ue, se non nel ricollocamento dei nuovi arrivi almeno nella gestione dei rimpatri; maggior collaborazione con i Paesi di partenza e transito al fine di limitare i flussi e facilitare i rimpatri. Certo, si parla anche di canali d’ingresso regolare e di integrazione, ma è evidente che l’attenzione e gli investimenti riguardano altro. «L’accento sui rimpatri è sempre maggiore: sviluppo di un sistema comune europeo dei rimpatri, supporto operativo di Frontex, nomina di un coordinatore per i rimpatri e collaborazione con i Paesi terzi» sostiene l’Associazione studi giuridici sull’immigrazione (ASGI) secondo cui «le poche novità positive annunciate, come la creazione di un meccanismo di monitoraggio indipendente di eventuali violazioni dei diritti umani ai confini, il superamento del sistema Dublino e l’apertura del confronto sulla migrazione regolare, appaiono fragili e piuttosto misere anche in termini numerici, inquinate da un linguaggio e da una retorica che dominano da troppo tempo la politica europea sulla migrazione e l’asilo». Anche più duro il commento di Amnesty International , che attraverso la direttrice del suo Ufficio Europa, Eve Geddie, ha denunciato: «Questo Patto renderà più alte le mura e rafforzerà le barriere dell’Ue. Anziché proporre un nuovo approccio per aiutare le persone a trovare salvezza, pare un tentativo di riverniciare un sistema da anni fallimentare, destinato a produrre conseguenze amare». Inoltre, osserva Amnesty, «questo Patto non farà niente per alleviare la sofferenza di migliaia di persone bloccate nei campi delle isole greche o nei centri di detenzione della Libia né fornirà il necessario sostegno ai Paesi di primo arrivo». Un Patto che «rende norma la detenzione e si basa sulla deterrenza, sul trattenimento nei campi e sulla cooperazione con governi che violano i diritti umani» ha aggiunto Geddie, secondo la quale «i decisori politici europei ora devono migliorare le proposte contenute nel Patto, investendo nella dignità e nella protezione delle persone. Devono sviluppare un piano ambizioso che preveda percorsi legali e sicuri e assicurare un approccio umano, sostenibile e durevole».

Gestire l’interdipendenza tra le politiche e le decisioni

Sono quasi 21 milioni i cittadini di Paesi terzi residenti legalmente negli Stati membri dell’Ue, che rappresentano circa il 4,7% della popolazione totale. Nel 2019 i Paesi dell’Ue hanno rilasciato circa 3 milioni di permessi di soggiorno a cittadini non comunitari, di cui circa 1,8 milioni per una durata di almeno 12 mesi, e hanno ospitato circa 2,6 milioni di rifugiati. Dal picco registrato nel 2015 al 2019 gli attraversamenti illegali delle frontiere esterne dell’Ue sono diminuiti da 1,82 milioni a 142.000 e le domande d’asilo da 1,28 milioni a 698.000, mentre delle circa 370.000 domande di protezione internazionale respinte ogni anno un terzo circa si trasforma in rimpatri effettivi.  La proposta della Commissione nasce dalla costatazione che la crisi dei rifugiati del 2015-2016 ha evidenziato come ogni azione abbia implicazioni per gli altri Paesi: «Mentre alcuni Stati membri continuano ad affrontare la sfida della gestione delle frontiere esterne, altri devono far fronte agli arrivi su larga scala, o centri di accoglienza sovrappopolati, e altri ancora affrontano un numero elevato di movimenti non autorizzati di migranti». Per questo, sostiene la Commissione, è necessario un nuovo quadro europeo durevole per gestire l’interdipendenza tra le politiche e le decisioni degli Stati membri e offrire «una risposta adeguata alle opportunità e alle sfide in tempi normali, in situazioni di pressione e in situazioni di crisi». Secondo la Commissione, il nuovo Patto «riconosce che nessuno Stato membro dovrebbe assumersi una responsabilità sproporzionata e che tutti gli Stati membri contribuiscano costantemente alla solidarietà». La risposta comune deve includere le relazioni con i Paesi terzi, sostiene la Commissione sottolineando come le dimensioni interne ed esterne della migrazione siano inestricabilmente legate: «Individuare le cause profonde della migrazione irregolare, combattere il traffico di migranti, aiutare i rifugiati a risiedere in Paesi terzi e sostenere una migrazione legale ben gestita sono preziosi obiettivi da perseguire sia per l’Ue che per i partner attraverso obiettivi globali, equilibrati e partnership».

Ripartizione delle responsabilità e solidarietà

La parte probabilmente più innovativa del Patto, e che farà certamente più discutere, riguarda la cosiddetta «equa ripartizione della responsabilità e la solidarietà». In pratica, secondo la proposta della Commissione, gli Stati membri saranno tenuti ad «agire in modo responsabile e solidale». Così ogni Stato membro, «senza eccezioni», dovrà contribuire alla solidarietà nei periodi di forte sollecitazione, al fine di stabilizzare il sistema generale, sostenere gli Stati membri sotto pressione e garantire che l’Unione adempia ai propri obblighi umanitari. Tenendo conto però delle diverse situazioni degli Stati membri e della fluttuazione delle pressioni migratorie, la Commissione propone un sistema di «contributi flessibili» da parte degli Stati membri: coloro che non vorranno collaborare alla ricollocazione dei richiedenti asilo, in solidarietà con i Paesi di primo ingresso, dovranno assumersi la responsabilità del rimpatrio delle persone senza diritto di soggiorno e fornire varie forme di sostegno operativo. Il nuovo sistema previsto dal Patto si fonda sulla cooperazione e su forme flessibili di sostegno inizialmente su base volontaria, ma saranno richiesti contributi più rigorosi nei periodi di pressione su singoli Stati membri, sulla base di una rete di sicurezza. Il meccanismo di solidarietà riguarderà varie situazioni, tra cui lo sbarco di persone a seguito di operazioni di ricerca e soccorso, pressioni, situazioni di crisi o altre circostanze specifiche.