Euronote – Tensione tra commissione e governo italiano

Milano, 30.10.2018

«Il progetto di bilancio del governo italiano rappresenta una deviazione chiara e intenzionale dagli impegni assunti dall’Italia lo scorso luglio. Tuttavia desideriamo continuare un dialogo costruttivo con le autorità italiane». Con queste parole pronunciate lo scorso 23 ottobre dal commissario europeo per gli Affari economici e finanziari, Pierre Moscovici, la Commissione europea ha spiegato la richiesta avanzata al governo italiano di rivedere il documento programmatico di bilancio per il 2019, prima decisione di questo genere intrapresa dalla Commissione. Conformemente alle norme europee in vigore (art. 7, paragrafo 2, regolamento UE n. 473/2013), infatti, l’esecutivo dell’Ue ha adottato un parere in cui chiede all’Italia di presentare entro tre settimane un documento programmatico di bilancio riveduto. «La zona euro poggia su un forte rapporto di fiducia, sostenuto da norme che sono uguali per tutti. È nostro compito e nostro dovere difendere l’interesse comune e gli impegni reciproci assunti dagli Stati membri» ha inoltre dichiarato il commissario europeo per l’Euro e la Stabilità finanziaria, Valdis Dombrovskis, aggiungendo: «Il debito italiano è tra i più elevati d’Europa e in tale ottica non abbiamo alternativa che chiedere al governo italiano di rivedere il documento programmatico auspicando di avviare un dialogo aperto e costruttivo».

I motivi della richiesta della Commissione

La Commissione ha ritenuto che il documento programmatico di bilancio presentato dall’Italia per il 2019 contenga una «deviazione particolarmente grave» rispetto alle raccomandazioni fatte dal Consiglio il 13 luglio 2018 e non sia in linea con gli impegni presentati dall’Italia stessa nel programma di stabilità dell’aprile 2018.

Va infatti ricordato che nel luglio 2018 il Consiglio aveva raccomandato all’Italia di apportare un miglioramento strutturale dello 0,6% del proprio Pil, mentre il documento programmatico di bilancio del governo italiano prevede invece un deterioramento strutturale pari allo 0,8% del Pil nel 2019, nonché un’espansione fiscale vicina all’1% del Pil nonostante il Consiglio avesse raccomandato un aggiustamento di bilancio. Secondo la Commissione, dunque, le dimensioni della deviazione non hanno precedenti nella storia del patto di stabilità e crescita: un divario dell’1,4% circa del Pil, pari a 25 miliardi di euro. Oltretutto, sottolinea la Commissione, gli obblighi di bilancio dell’Italia per il 2019, come per tutti gli Stati membri, erano stati approvati all’unanimità dal Consiglio europeo del 28 giugno 2018 e adottati dal Consiglio dell’Ue del 13 luglio anche con il consenso dell’Italia.

Quello che alcuni esponenti del governo italiano considerano un accanimento della Commissione europea nei confronti dell’Italia è in realtà un atto dovuto, derivante dalle condizioni dei conti pubblici italiani. Le ultime rilevazioni Eurostat mostrano un rapporto debito pubblico/Pil dell’Italia pari al 131,2% nel 2017, cioè il secondo più alto dell’Ue in termini relativi dopo la Grecia (176,1%) e tra i più alti al mondo. «Ciò equivale a un onere medio pari a 37.000 euro per abitante», osserva la Commissione, sottolineando come i costi del servizio del debito assorbono un importo notevolmente maggiore di risorse pubbliche in Italia rispetto al resto della zona euro, «a discapito della spesa produttiva del Paese»: la spesa per interessi dell’Italia nel 2017 è ammontata a circa 65,5 miliardi di euro, pari al 3,8% del Pil, «sostanzialmente la stessa quantità di risorse pubbliche destinate all’istruzione».

A fronte di una simile situazione, nel programma di stabilità presentato nell’aprile 2018 l’Italia aveva annunciato che avrebbe perseguito un obiettivo di disavanzo dello 0,8% del Pil nel 2019, invece «secondo il documento programmatico di bilancio per il 2019 il disavanzo pubblico dovrebbe aumentare notevolmente fino al 2,4% del Pil, tre volte quanto previsto inizialmente» constata la Commissione.

Inoltre, nota con preoccupazione l’esecutivo dell’Ue, «la prevista riduzione del rapporto debito/Pil è soggetta a marcati rischi, dato che si basa, nel documento programmatico di bilancio, su ipotesi ottimistiche di crescita. Ciò significa che anche il rispetto da parte dell’Italia del parametro per la riduzione del debito, che impone una decrescita costante del debito verso il valore di riferimento del 60% del Pil stabilito dal trattato, è a rischio».

Italia tra i principali beneficiari dei fondi europei

Nel 2015 la Commissione aveva presentato gli orientamenti sul modo in cui avrebbe poi applicato le norme vigenti del patto di stabilità e crescita per rafforzare il collegamento tra riforme strutturali, investimenti e responsabilità di bilancio, a sostegno dell’occupazione e della crescita. Tali orientamenti sono poi stati adottati nella Posizione comune sulla flessibilità nel patto di stabilità e crescita e approvati dal Consiglio nel 2016.

Ebbene, sulla base di queste nuove norme tra il 2015 e il 2018 «l’Italia è stata il principale beneficiario della flessibilità, per un importo dell’ordine di 30 miliardi di euro, pari all’1,8% del Pil» sostiene la Commissione, sottolineando come tale flessibilità abbia sostenuto l’attuazione delle riforme strutturali e gli investimenti, e abbia «aiutato l’Italia a far fronte a eventi eccezionali, quali le minacce alla sicurezza, la crisi dei rifugiati e i terremoti».

Inoltre, secondo la Commissione l’Italia ha beneficiato negli ultimi anni di notevoli finanziamenti sostenuti dall’Ue: è stata il secondo maggior beneficiario del Piano Juncker e a ottobre 2018 i finanziamenti del Fondo europeo per gli investimenti strategici dovrebbero aver generato oltre 50 miliardi di euro di nuovi investimenti. L’Italia è anche il secondo maggiore beneficiario dei Fondi strutturali e di investimento europei, spiega la Commissione: «Nel periodo 2014-2020 il Paese ha ricevuto 44,7 miliardi di euro per sostenere, tra l’altro, la competitività delle piccole e medie imprese, la creazione di posti di lavoro di qualità, lo sviluppo delle competenze necessarie, un migliore accesso al mercato del lavoro e alla formazione professionale, la ricerca e l’innovazione, la protezione dell’ambiente e la transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio».