Euronote – Un’analisi sull’impatto della crisi

Edizione 2021 della rassegna su occupazione e sviluppi sociali in Europa

Milano, 27.7.2021

Non poteva che essere dedicata alle conseguenze della pandemia la rassegna annuale su Occupazione e sviluppi sociali in Europa, curata dalla Direzione generale per l’Occupazione, gli Affari sociali e l’Inclusione della Commissione europea. Si tratta di un’analisi approfondita e aggiornata della situazione economica ed occupazionale nonché delle tendenze sociali in Europa, con un cenno alle relative opzioni politiche.

Lo scoppio della pandemia da Covid-19, osserva il Rapporto, ha colpito l’Ue quando stavano già rallentando da un paio di anni la crescita economica e occupazionale che avevano contraddistinto un periodo di stabile espansione in corso dal 2013. Con l’emergenza sanitaria e le necessarie misure di contenimento introdotte per frenare la diffusione del virus, poi, si è avuta una forte contrazione del Prodotto interno lordo dell’Ue del 6,1% nel 2020, cioè la caduta più grave registrata dalla serie temporale iniziata nel 1995. Crollo che, secondo le previsioni, dovrebbe essere interrotto con un nuova crescita tra la seconda metà di quest’anno e il 2022, ma l’incertezza sull’andamento della diffusione del virus resta alta. L’edizione 2021 del Rapporto Employment and Social Developments in Europe (Esde) individua le principai tendenze economico-sociali verificatesi nell’ultimo anno.

L’impatto geografico della crisi è stato irregolare e potrebbe ampliare le disuguaglianze regionali che esistevano già prima della pandemia. La perdita di posti di lavoro è stata cinque volte maggiore nelle zone rurali rispetto alle città. Tra gli Stati membri dell’Ue, le regioni mediterranee sono state le più colpite dalla perdita di posti di lavoro, legata anche a una quota maggiore di persone che lavorano nel turismo.

I lavori che non potevano essere svolti da casa hanno visto ovviamente un calo dell’occupazione, soprattutto nei settori più duramente colpiti dalle misure di blocco, come alloggio, ristorazione e viaggi. Il calo occupazionale è stato meno pronunciato nei «lavori critici in prima linea con un’elevata interazione sociale», come medici, infermieri, operatori di assistenza personale e assistenza all’infanzia.

Le regioni europee che si sono dimostrate più resistenti tendono a condividere un’elevata produttività regionale, un alto livello di popolazione qualificata, grandi investimenti in ricerca e sviluppo, istituzioni pubbliche locali di qualità e solide infrastrutture digitali. I mercati del lavoro più performanti si sono rivelati maggiormente protetti contro la recessione economica.

Il calo del tasso di occupazione è stato leggermente superiore tra gli uomini, tuttavia l’effetto della pandemia ha evidenziato disuguaglianze di genere di vecchia data: le donne hanno registrato un calo più marcato delle ore lavorate, poiché sono stati fortemente colpiti dalle chiusure settori caratterizzati da elevata occupazione femminile. Inoltre, osserva l’analisi Esde, le donne hanno continuato ad assumersi la maggior parte delle responsabilità di assistenza familiare.

Mercati del lavoro deteriorati

Nel 2020 l’occupazione è diminuita dell’1,5% nell’Ue e dell’1,6% nell’area dell’euro, dopo una crescita ininterrotta dal 2013 che aveva raggiunto numeri record nel 2019, con  rispettivamente 209 milioni e 161 milioni di occupati.

Si è trattato comunque di cali meno marcati di quelli registrati per il Pil, spiega il Rapporto, grazie alle misure introdotte in sostegno all’occupazione, attuate in tutti gli Stati membri e sostenute da fondi dell’Ue. Così, il danno portato dalla crisi al mercato del lavoro nell’Ue è stato finora più contenuto rispetto ad altre economie avanzate come gli Stati Uniti, dove l’occupazione è diminuita del 6,3% nel 2020, e in una certa misura il Giappone (-2%). Sia nell’Ue che nella zona euro è dimunuito il numero complessivo delle ore lavorate in modo molto più forte rispetto al numero di occupati. L’evoluzione della pandemia ha infatti avuto un forte impatto sulle assenze dal lavoro di persone occupate, sottolinea lo studio Esde: tra l’ultimo trimestre 2019 e il secondo trimestre 2020 il numero totale di assenze nell’Ue è quasi raddoppiato, soprattutto in conseguenza del forte aumento della cassa integrazione. Ciò è avvenuto di più per gli uomini che per le donne (+109,9% contro +83,0%) e con differenze notevoli tra gli Stati membri: aumenti molto elevati a Malta (+963%), in Romania (+652%) e Grecia (+579%), molto contenuti invece in Svezia (+6,2%) e Finlandia (+11,7%). Assenze tornate ai livelli pre-crisi nel terzo trimestre con la fine della cassa integrazione e i lavoratori tornati al loro posto, ma riprese poi nell’ultimo trimestre 2020 durante la seconda ondata di contagi e lockdown.

L’importanza del dialogo sociale

Il Rapporto sottolinea il ruolo delle parti sociali, che hanno contribuito a gestire la crisi pandemica in molti aspetti e a vari livelli. I Paesi con forti istituzioni di dialogo sociale hanno favorito il coinvolgimento precoce delle parti sociali nella progettazione e nell’implementazione di misure di risposta, come i programmi di lavoro a orario ridotto. In alcuni Paesi dell’Ue, i problemi di salute hanno limitato le tradizionali procedure di contrattazione collettiva, mentre in altri il coinvolgimento delle parti sociali è aumentato alla luce di interventi pubblici urgenti. In alcuni casi, nota il Rapporto, le parti sociali hanno facilitato la fornitura di informazioni alle autorità pubbliche e ai lavoratori: «Istituzioni consolidate di dialogo sociale hanno dimostrato di essere importanti in tempi di crisi. Dove i legami tra le parti sociali e le autorità pubbliche sono forti, i partner sociali possono contribuire con maggiore facilità all’adattamento necessario». Per questo, aggiungono gli autori dello studio Esda, «le parti sociali devono svolgere un ruolo centrale nella ripresa e nell’adattamento al cambiamento strutturale. (…) Il dialogo sociale dà voce ai lavoratori, il che aumenta l’accettazione dei cambiamenti nei processi di produzione, in modo da promuovere l’innovazione e, in ultima analisi, la competitività».