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Nucleare militare, ancora poca sensibilità sui rischi umani, ambientali ed economici

In Cisl a Monza incontro con Lisa Clark

Milano, 14.9.2018

“Il nucleare militare è un rischio per l’umanità. C’è però poca sensibilità su questo tema. È necessario mobilitarsi per far conoscere i problemi umani, ambientali, economici di queste armi di distruzione di massa”. Lisa Clark, di Ican Italia (Campagna internazionale per il disarmo nucleare) delinea così il grande tema del disarmo nucleare nel corso di «No nukes! Sì al disarmo nucleare», l’incontro nell’ambito de “i Venerdì della Cisl” che si è tenuto questa mattina a Monza.

Il tema del disarmo nucleare era molto sentito negli anni Settanta e Ottanta in tempi di Guerra Fredda. Con il crollo del Muro di Berlino, l’attenzione è progressivamente scemata. Ma il problema non è venuto meno. Anzi è diventato ancora più complesso.

Attualmente, ha spiegato Mirco Scaccabarozzi, membro della segreteria Cisl Monza Brianza Lecco, si stima che ci siano 15mila testate atomiche delle quali novemila pronte all’uso. Sono nove gli Stati “atomici”: Stati Uniti e Russia (che insieme possiedono il 90% degli ordigni), Cina, Corea del Nord, Francia, India, Israele e Pakistan. Ma anche in Italia sono custodite nell’aeroporto di Ghedi (Bs) una settantina di testate nucleari statunitensi. Numeri simili di ordigni sono presenti anche in Olanda, Belgio e Germania.

Il pericolo è un’ulteriore proliferazione, cioè la possibilità che altre nazioni vengano in possesso di bombe atomiche. Con il rischio che, per effetto di errori umani o difetti tecnici, possano essere azionate con conseguenze devastanti. La campagna Ican, ha affermato Lisa Clark, ha pubblicato uno studio nel quale ha mostrato gli effetti nefasti dell’esplosione di una serie di ordigni esplodessero in India e Pakistan. La distruzione, oltre a colpire i due Paesi, investirebbe anche le aree vicino fino all’Africa equatoriale impedendo i raccolti e inquinando le falde. Bisogna prendere atto della potenzialità di questi ordigni e bandirli definitivamente. Per far questo è necessaria una mobilitazione globale».

Una mobilitazione simile a quella che ha portato alla creazione della campagna Ican (nel nostro Paese a “Italia ripensaci”) e al successivo Trattato sul divieto delle armi nucleari adottato dall’Onu nel 2017 (che è valso il Nobel per la Pace a Ican).

Anche in Europa si può fare qualcosa. “Le politiche di difesa – spiega Brando Benifei, europarlamentare, membro della sottocommissione Difesa del Parlamento europeo – sono ancora nazionali. Noi come istituzioni continentali non però siamo impotenti. Recentemente è stata approvata una risoluzione che aumenta da 20 a 24 milioni di euro lo stanziamento per progetti di disarmo. Possiamo fare molto per promuovere e sensibilizzare i cittadini. Ciò che ci soddisfa è vedere che esiste già una società civile attenta. Ad essa ci rivolgiamo dicendole di insistere, di continuare a fare pressioni sui governi affinché ci sia un bando definitivo delle armi nucleari”.

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