Oltre 600 aziende italiane controllate da gruppi cinesi. La sfida della contrattazione

Milano, 23.10.2018

Sono già 641 le imprese italiane controllate da 300 gruppi cinesi o di Hong Kong. Oltre 30mila i dipendenti coinvolti. Quali prospettive per la tutela dei lavoratori? In occasione della sua visita eccezionale in Italia, Cisl e Iscos Lombardia hanno organizzato questa mattina un incontro con Han Dongfang, attivista sindacale cinese e fondatore del primo sindacato indipendente in Cina durante le dimostrazioni di Piazza Tienanmen nel 1989.

Ex-operaio delle ferrovie di Pechino, dopo anni di repressioni e di carcere, oggi Han dirige il China Labour Bulletin, un’organizzazione non governativa di Hong Kong con la quale sostiene i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori cinesi.

Al centro dell’incontro di questa mattina i temi dello sviluppo economico in Cina, gli investimenti di questo paese in Italia e la condizione dei lavoratori. Sono intervenuti anche Rita Fatiguso, corrispondente da Pechino de Il Sole 24ore, Aldo Zuccolo e Massimo Zuffi, della Fim e Femca Cisl, che hanno illustrato i casi Candy e Pirelli.

“Rispetto a 29 anni fa oggi in Cina la situazione è radicalmente cambiata – ha detto Han Dongfang -. Ai tempi di Tienanmen i lavoratori non osavano scioperare, oggi la mappa virtuale degli scioperi che quotidianamente aggiorniamo sul nostro sito del China Labour Bulletin conta oltre 900 iniziative negli ultimi sei mesi, in ogni angolo della Cina”. “Internet, la diffusione dei social media – ha aggiunto – stanno dando grandi opportunità alla condivisione di esperienze e battaglie e il governo cinese sta cominciando a capire che la strada da seguire non è arrestare i lavoratori che manifestano, ma trovare una soluzione ai loro problemi”.

E’ un momento molto delicato e complesso per la Cina, ha spiegato il sindacalista nel suo intervento. Il governo di Xi Jinping, che ha caratterizzato il suo mandato per una lotta senza quartiere alla corruzione, ha nemici ovunque, a partire dagli alti funzionari di partito per arrivare agli imprenditori che anziché reinvestire i capitali nel Paese, a favore dei servizi sanitari e sociali per la popolazione, li spostano all’estero.
“Il partito ha bisogno di ricostruire la sua immagine e ha tutto l’interesse a tenere nel Paese le risorse che gli imprenditori dirottano verso l’estero – afferma Dongfang –. Non so quanto potrà andare avanti questa situazione, ma certo il sindacato indipendente non ha alcun interesse a veder cadere il governo. Vogliamo avviare una fase di grande contrattazione e il nostro primo paletto da superare per affermare le libertà sindacali è il controllo delle aziende, non il governo”. “Non vogliamo che il regime cada, ma aiutare il partito a cambiare in direzione socialdemocratica”, ha spiegato il sindacalista, che nell’ultimo anno è stato impegnato con il sindacato indiano a presentare il primo contratto aziendale dei lavoratori della più grande azienda del settore abbigliamento di Bangalore. “Inizialmente i nostri sindacalisti sono stati licenziati, picchiati – racconta – ma due mesi dopo abbiamo conquistato il primo incontro con la direzione e ottenuto che periodicamente vengano rivisti i livelli salariali”.

Se dal punto di vista della popolazione cinese, gli investimenti di capitali all’estero sono una sorta di “tradimento”, soprattutto perché i profitti milionari che consentono di acquistare società occidentali sono il frutto di salari al minimo, per 6 giorni di lavoro almeno 10 ore quotidiane, dall’altra parte del mondo il quadro è a tinte meno fosche. Almeno per ora.

“Dal calcio alle quote in gruppi strategici, la Cina è dall’inizio del 2014 sempre più presente nell’industria italiana. Pirelli e Candy, i casi illustrati nel corso della mattinata, sono solo due delle tante realtà industriali italiane dove le aziende cinesi hanno una partecipazione – ha sottolineato Marta Valota, direttrice Iscos Lombardia -. Il picco degli investimenti si è avuto soprattutto tra il 2014 e il 2015, anno in cui il gigante della chimica cinese, China National Chemical, ha acquisito una quota di controllo in Pirelli per 7,3 miliardi di euro”.

Gli investimenti cinesi in Italia vanno oggi dai 400 milioni di euro di Shanghai Electric in Ansaldo Energia all’acquisizione del 35% di Cdp Reti da parte del colosso dell’energia elettrica di Pechino, China State Grid, per un valore complessivo di 2,81 miliardi di euro. Interessati dalle mire cinesi sono stati anche i gruppi di moda come il passaggio di Krizia al gruppo di Shenzhen, Marisfrolg. Tra gli investimenti più recenti, da ricordare, nel 2017, l’acquisizione del gruppo biomedicale Esaote da parte di un consorzio nel quale figura anche Yufeng Capital, co-fondato dal patron di Alibaba, il gigante dell’e-commerce cinese, Jack Ma.

Una situazione articolata su cui vigila con attenzione la Cisl lombarda, preoccupata che le acquisizioni da parte straniera non penalizzino l’occupazione. “E’ una sfida importante e la contrattazione è la nostra arma strategica – sottolinea Paola Gilardoni, segretario regionale Cisl Lombardia -. La contrattazione è da sempre decisiva e fondante per al Cisl, è lo strumento attraverso il quale si partecipa alla creazione e distribuzione equa di valore, per il benessere della comunità e lo sviluppo del territorio”.

 

GUARDA IL SERVIZIO DEL TGR LOMBARDIA