Politiche attive, Sbarra: un Paese che non investe nel lavoro, non investe sul futuro

Milano, 26.10.2018

Si può programmare un curriculum di studi che permetta di trovare un’occupazione? È possibile trovare un posto dopo essere rimasti disoccupati a più di 50 anni? Sì si può. Attraverso un percorso di politiche attive del lavoro è possibile affrontare i problemi posti da un mercato del lavoro sempre più frammentato, fatto di contratti precari, lunghi periodi di inattività, necessità di acquisire competenze sempre più approfondite. A confermarlo è stato il secondo appuntamento autunnale de «i Venerdì della Cisl» che si è tenuto questa mattina a Monza sul tema “Politiche attive del lavoro, a che punto siamo?”.

“Le politiche attive – ha spiegato Rita Pavan, segretaria generale Cisl Mbl – sono quell’insieme di attività che facilitano la ricerca di un posto di lavoro: formazione continua, alternanza scuola/lavoro, orientamento, preselezione, ecc. Come sindacato riteniamo che siano fondamentali per tutelare il lavoratore non solo “sul posto di lavoro”, ma anche “nel mercato del lavoro”. Sono provvedimenti costosi e richiedono un intervento che unisca le agenzie private a quelle pubbliche in modo da offrire a tutti le stesse opportunità. Intendiamoci non sono la bacchetta magica che risolve tutti i problemi. Ma sono uno strumento indispensabile”.

In Brianza i primi risultati sono positivi. “La situazione del mercato del lavoro nel nostro territorio – ha spiegato Stefania Croci, Afol Brianza (Agenzia formazione orientamento e lavoro) che opera nel campo delle politiche attive – sta gradualmente migliorando dopo anni di crisi. Lo scorso anno abbiamo registrato 48.304 avviamenti al lavoro (con varie tipologie di contratto) a fronte di 27.952 cessazioni. Il saldo positivo è quindi di 20.352 lavoratori. Un buon risultato. Come centro abbiamo trattato duemila domande, il 41% delle quali ha avuto un esito positivo”. Anche nel Lecchese i dati sono buoni. “Abbiamo seguito i lavoratori con percorsi individuali e di gruppo – ha osservato Matteo Sironi dell’Unità di gestione delle crisi aziendali della Provincia di Lecco -. Per più del 40% di essi siamo riusciti a trovare uno sbocco occupazionale. È un’attività complessa che ha bisogno della collaborazione di tutti gli attori del territorio: enti locali, sindacati, associazioni datoriali, ecc., e che si svolge su più piani”.

È necessario infatti assistere chi ha perso il posto di lavoro, ma è indispensabile operare anche prima della disoccupazione eliminando, attraverso percorsi di formazione continua, orientamento, alternanza scuola/lavoro, le cause che portano alla disoccupazione. “Pochi sanno che in Lombardia solo il 7,2% dei lavoratori segue percorsi di formazione continua nelle aziende – ha osservato Matteo Berlanda dello Ial Lombardia -. Questi sono i dipendenti che hanno maggiore mobilità perché riescono con più facilità a trovare un posto anche in caso di crisi. La prima e più importante politica attiva è proprio la formazione continua”.

Sulle politiche attive siamo però a un bivio. Il Jobs Act le ha previste come un pilastro fondamentale della riforma del mercato del lavoro, ma non le ha implementate. Oggi ci troviamo così di fronte a una normativa nazionale non sincronizzata con quelle dei territori. Non solo, ma queste politiche come si coniugheranno con il nuovo reddito di cittadinanza? “Favorendo il reddito di cittadinanza sulle politiche attive – ha affermato Luigi Sbarra, segretario generale aggiunto Cisl – si sposta l’attenzione dal lavoro al reddito, ma se il lavoro viene meno da dove arriva il reddito? Nel Def poi si parla di affidare queste politiche solo ai centri per l’impiego. Noi non siamo d’accordo. Oggi meno del 3% di chi trova lavoro passa dai centri per l’impiego. C’è bisogno di una politica che metta il lavoro al centro e che sappia coordinare più attori. Un intervento articolato può permettere di meglio far fronte alla precarizzazione del lavoro (soprattutto quello giovanile), all’invecchiamento demografico, all’aumento delle differenze tra i territori e a un lavoro di bassa qualità. Servono investimenti. Un Paese che non investe nel lavoro, non investe sul futuro”.