Camera di commercio Monza, lettera aperta di sindacati e associazioni

Milano, 18.7.2016
 
l dibattito sulle sorti della Camerca di Commercio di Monza si sta facendo sempre più intenso. Riceviamo e pubblichiamo una lettera aperta scritta dai tre componenti della Giunta camerale: Marco Viganò (Cgil, Cisl e Uil Monza Brianza), Carmine Villani, (Adiconsum Monza Brianza, Adoc Monza Brianza, Federconsumatori Monza e Brianza e Confconsumatori Federazione Monza e Brianza), Enrico Novara (CdO Monza Brianza)
 
In questi giorni si stanno decidendo le sorti di una Istituzione importante per il territorio, la Camera di Commercio di Monza e Brianza. Si prospetta un accorpamento dal sapore retrò tra la nostra realtà e quella milanese. È una decisione che investe non solo la capacità di erogare servizi alle imprese sul territorio, ma anche gli assetti istituzionali provinciali.

Le Camere di Commercio fanno parte infatti del sistema istituzionale dei territori, non sono solo un parlamentino delle associazioni datoriali e sociali. Una forzatura in ordine al destino di questa istituzione ci vede contrari. Non è una ragione di parte, ma una preoccupazione che riguarda un elemento essenziale del vivere democratico, perchè le istituzioni sono l’ossatura di questa Repubblica. 

La CCIAA, fin dalla sua nascita, ha contribuito a fare della Brianza un sistema. 
Ci troveremmo senza una Provincia, con una Camera di Commercio di Milano Monza Lodi, una Agenzia di tutela della salute di Monza Lecco (Brianza), una Aler di Monza Como Varese, e così via. Chi ci rimetterà sono coloro che dipendono per lavoro, per la propria salute, per l’abitare, etc…, da chi eroga questi servizi, in assenza di un disegno coordinato e lineare.

Se aggiungiamo lo smembramento di quello che resta della locomotiva del manifatturiero, che si sviluppa lungo la direttrice della Brianza allargata a nord, come a est e ovest, la realtà milanese è certamente più attenta alla grande impresa, meno alla dimensione della PMI presente sul territorio, o a quella artigiana. 
Avere una Camera di Commercio di giovane costituzione come quella di Monza, la terza Camera di Commercio italiana per risorse allocate alle imprese, con tempi di risposta alle stesse invidiabili rispetto a quelli di molte altre Camere, è un valore aggiunto. Milano, di antica storia e gloriosi passati, porta con sé i relativi costi nella gestione, a cui le risorse del nostro territorio destinate alle imprese dovranno necessariamente andare, a prescindere da qualsivoglia accordo che si possa mettere in campo a salvaguardia del territorio.

Noi non ci stiamo! La soluzione per sostenere le società satellite che fanno riferimento alla CCIA milanese non può essere addossata ad un accorpamento come questo, va affrontata su una dimensione almeno regionale. Pensiamo che la CCIA di Monza e Brianza possa tranquillamente rimanere autonoma (nella classifica delle future 60 camere italiane, staremmo a metà classifica), per decidere, con il suo peso, le future aggregazioni.

Lo dicono i numeri: nonostante il taglio del 50% del contributo camerale, siamo l’unica Camera in Lombardia a non avere approvato un bilancio preventivo 2016 che chiude in perdita; si stima che in Brianza, nel 2017, possano essere ancora distribuiti 1.850.000 euro alle imprese. Non è il momento di affrettare i passi. Siamo per sostenere l’area omogenea del manifatturiero che deve prevedere una vicinanza tra i cittadini e le istituzioni. Non è solo una necessità operativa, è quella dimensione della sussidiarietà che distingue una democrazia partecipata da altre forme di governo.

In questo paese le peggiori riforme le abbiamo apprese sotto l’ombrellone e non vogliamo che ciò avvenga anche per questa scelta. In un momento di grande indecisione e confusione dei livelli istituzionali e sulle loro responsabilità, la Camera continua ad essere un interessante tavolo di confronto e governance per le prospettive economiche e produttive del territorio nel suo complesso.

Riconfermare la centralità del manifatturiero, con una sua forte autonomia, seppur dentro confini più larghi e tecnologicamente avanzati, ci deve rendere maggiormente responsabili per le inevitabili ripercussioni su processi produttivi e prodotti. 

Ridurre i luoghi dove si sperimentano leadership territoriali, dove si costruiscono i contenuti del dialogo sociale, dove si analizzano i problemi economici e produttivi e si cercano le soluzioni anche a favore del lavoro, limita fortemente l’occasione per attuare un rinnovamento della classe dirigente di questo territorio, oltre a sancire una dipendenza da una economia finanziaria che caratterizza un certo modo di intendere il fare impresa, lontano dalla nostra quotidianità.