Cinema e lavoro – Il sale della terra

Un film di Wim Wenders (Francia, Italia, Brasile, 2014)

Milano, 22.3.2021

Regia: Wim Wenders, Juliano Ribeiro Salgado – Sceneggiatura: Juliano Ribeiro Salgado, Wim Wenders, David Rosier – Fotografia: Hugo Barbier, Juliano Ribeiro Salgado – Suono: Régis Muller – Montaggio: Maxine Goedicke, Rob Myers Musiche Laurent Petitgand – Produttore delegato: David Rosier – Produttore esecutivo: Wim Wenders – Distribuzione: Officine UBU – Genere: Documentario, Biografico – Durata: 106 min.

Da quarant’anni Salgado attraversa i continenti sulle tracce di un’umanità in pieno cambiamento e di un pianeta che a questo cambiamento resiste. Dopo aver testimoniato alcuni tra i fatti più sconvolgenti della nostra storia contemporanea – conflitti internazionali, carestie, migrazioni di massa – si lancia adesso alla scoperta di territori inesplorati e grandiosi, per incontrare la fauna e la flora selvagge in un grande progetto fotografico, omaggio alla bellezza del pianeta che abitiamo. La sua vita e il suo lavoro ci vengono rivelati dallo sguardo del figlio Juliano Ribeiro Salgado, che l’ha accompagnato nei suoi ultimi viaggi, e da quello di Wenders, fotografo egli stesso.

Mentre ci presenta il mondo di Salgado il film richiama temi quali quello dello sfruttamento e delle dure condizioni dei lavoratori nel mondo, Anche il fenomeno delle migrazioni è al centro del lavoro del grande fotografo. Un film amatissimo tanto che durante la pandemia, a sale chiuse, è stato continuamente riproposto dalle stesse in streaming.

LA CRITICA
Una landa deserta, un uomo con una macchina fotografica che, mimetizzandosi, cerca di fotografare degli animali sospettosi. Potrebbe essere un qualsiasi documentario sulla natura, se non fosse che quell’uomo è Sebastião Salgado, il fotografo brasiliano autore di alcune tra le più drammatiche immagini che siano mai state viste sui giornali del mondo. Salgado, Tião per chi lo conosce, è diventato fotografo per caso, utilizzando la macchina della moglie architetta mentre studiava economia a Parigi. Ma quando ha scoperto la vera essenza della fotografia (come ricorda lui stesso, l’etimo è greco: photo, è luce, graphein è disegno, pittura, scrittura) ha iniziato a girare il mondo per raccontare per immagini la vita di milioni di persone. Armato solo di volontà, curiosità e della macchina fotografica, vero prolungamento dei suoi occhi, Salgado è stato testimone rispettoso e partecipato, raccontando col bianco e nero con toni poetici, sovente maestosi, ipnotici, quasi sempre tragici, l’esistenza umana. Fatica, dolore, disperazione, morte, vengono squadernate dalla fotografia di Salgado nei suoi viaggi in America Latina, in Africa, nell’est Europa. Ma anche gioia, tradizioni, festeggiamenti, l’affetto reciproco di genitori e figli. Wim Wenders (regista e fotografo anch’egli), che assieme al figlio di Salgado, Juliano, ha realizzato il film, è stato attento a non cadere nell’agiografia. Tião è un uomo, che ha cercato di mostrare al mondo la bellezza e le brutture della condizione umana: con le sue immagini ha sconfessato chi accusava la natura di morte e carestie, denunciando le manchevolezze o i consapevoli crimini di chi ha affamato e decimato, per brama di potere, interi popoli. Ha visto la crudeltà e la morte e ne è rimasto sconvolto. Salgado non è un eroe, a un certo punto della sua vita ha raggiunto il limite della sopportazione, e ha deciso di fare qualcosa in prima persona: lentamente, con l’aiuto della moglie, ha ripreso in mano la fazenda di famiglia in Brasile, un ampio terreno ormai desertificato dal disboscamento, e ha cominciato a piantare alberi, dando lavoro e creando un modello e una fondazione che sono diventati un punto di riferimento. Salgado ancora gira per il mondo, aiutato dal figlio, e realizzando immagini meravigliose, tra popoli che cercano di conservare la propria unicità e animali nel loro ciclo naturale. Volti, incontri, ricordi, amicizie: quello di Wenders non è solo l’elogio di un artista, ma il racconto di una lunga esperienza dalla quale traspaiono sofferenza e compassione. Una testimonianza che fa bene a tutti quelli che guardano e che non possono non sentirsi partecipi. (Beppe Musicco – Sentieri del cinema)

Magnificamente ispirato dalla potenza lirica della fotografia di Sebastião Salgado, Il sale della terra è un documentario monumentale, che traccia l’itinerario artistico e umano del fotografo brasiliano. Co-diretto da Wim Wenders e Juliano Ribeiro Salgado, figlio dell’artista, Il sale della terra è un’esperienza estetica esemplare e potente, un’opera sullo splendore del mondo e sull’irragionevolezza umana che rischia di spegnerlo. Alternando la storia personale di Salgado con le riflessioni sul suo mestiere di fotografo, il documentario ha un respiro malickiano, intimo e cosmico insieme, è un oggetto fuori formato, una preghiera che dialoga con la carne, la natura e Dio. Quella di Salgado è un’epopea fotografica degna del Fitzcarraldo herzoghiano, pronto a muovere le montagne col suo sogno ‘lirico’. Viaggiatore irriducibile, Sebastião Salgado ha esplorato ventisei paesi e concentrato il mondo in immagini bianche e nere di una semplicità sublime e una sobrietà brutale. Interrogato dallo sguardo fuori campo di Wenders e accompagnato sul campo dal figlio, l’artista si racconta attraverso i reportages che hanno omaggiato la bellezza del pianeta e gli orrori che hanno oltraggiato quella dell’uomo. Fotografo umanista della miseria e della tribolazione umana, Salgado ha raccontato l’avidità di milioni di ricercatori d’oro brasiliani sprofondati nella più grande miniera a cielo aperto del mondo, ha denunciato i genocidi africani, ha immortalato i pozzi di petrolio incendiati in Medio Oriente, ha testimoniato i mestieri e il mondo industriale dismesso, ha perso la fede per gli uomini davanti ai cadaveri accatastati in Rwanda e ‘ricomposti’ nella perfezione formale e compositiva del suo lavoro. Un lavoro scritto con la luce e da ammirare in silenzio. Nato nel 1944 ad Aimorés, nello stato di Minas Gerais, da cui parte ancora adolescente, spetta al figlio Juliano documentarne la persona attraverso foto e home movies, ricordi e compendi affettivi di incontri col padre, sempre altrove a dare vita (e luce) al suo sogno. Un sogno che per potersi incarnare deve confrontarsi appieno col reale. A Wenders concerne invece la riproduzione dei suoi scatti, che ritrovano energia e fiducia nella natura, le sue foreste vergini, le terre fredde, le altezze perenni. Il regista tedesco, straordinario ‘ritrattista’ di chi ammira (Tokyo-Ga, Buena Vista Social Club, Pina Bausch), converte in cinema le immagini fisse, scorre le visioni e la visione di un uomo dentro un mondo instabile. In una scala di grigi e afflizioni, nei chiaroscuri che impressionano il boccone crudo dell’esistere (l’esodo, la sofferenza e il calvario dei paesi sconvolti dalle guerre e dalle nuove schiavitù), Salgado racconta le storie della parte più nascosta del mondo e della società. Spogliate dalla distrazione del colore, le sue fotografie attestano la conoscenza precisa dei luoghi e la relazione di prossimità che l’artista intrattiene con gli altri, sono un mezzo, prima che un oggetto d’arte, per informare, provocare, emozionare. Foto che arrivano dentro alle cose perché nascono dall’osservazione, dalla testimonianza umana, da un fenomeno naturale. Esperiti esteticamente l’oggetto artistico e l’intentio artistica di Salgado, Wenders rappresenta col suo cinema la ‘forma’ dell’idea di cui gli scatti sono portatori. Scatti radicali e icastici che penetrano le foreste tropicali dell’Amazzonia, del Congo, dell’Indonesia e della Nuova Guinea, attraversano i ghiacciai dell’Antartide e i deserti dell’Africa, scalano le montagne dell’America, del Cile e della Siberia. Un viaggio epico quello di Salgado che testimonia l’uomo e la natura, che non smette di percorrere il mondo e ci permette di approcciare fotograficamente le questioni del territorio, la maniera dell’uomo di creare o distruggere, le storie di sopraffazione scritte dall’economia, l’effetto delle nostre azioni sulla natura, intesa sempre come bene comune. Perché dopotutto la domanda che pone la fotografia di Salgado è sempre ‘dove’? In quale luogo? E determinare il luogo è comprendere il senso della narrazione dell’altro. (Marzia Gandolfi – MyMovies)

Storia della vita professionale e personale del più grande fotografo vivente del mondo, Sebastião Salgado, in un collage di fotografie e spezzoni di film, la maggior parte in un bianco e nero che toglie il fiato ed emoziona tanto da far male, raccontato da Juliano, prima figlio, poi compagno di viaggio del fotografo, sotto l’ala protettrice di Leila, amata compagna di vita e di lavoro di Salgado, sempre presente anche quando assente. È raro che un documentario fatto principalmente di foto emozioni tanto: qui l’unione tra lo sguardo acuto e unico di un talento come Wenders con quello di un figlio – che ammira Salgado, come padre, come uomo e come fotografo, che lo conosce, che “sa” -, unito alla voce fuori campo di Salgado o a suoi primi piani in cui parla, porta a un risultato unico nel suo genere. Non è solo la storia del lavoro di un uomo, è la storia del percorso di un uomo che, posto di fronte a tutte le possibili atrocità distruttive di cui l’umanità è capace, abbandona, rinuncia, lascia. Ma poi, quando Leila gli propone di riforestare le terre di proprietà della famiglia, trasformate in un deserto da anni di siccità, Salgado scopre che – con anni di duro lavoro – ritrasformando la terra arida nella foresta verde che era un tempo, torna anche la pioggia. Capisce così che l’uomo può distruggere la vita, ma può anche crearla e torna a fotografare, a ritrarre la natura, gli animali, la Terra. Memorabile. Distribuisce Officine UBU. (M. Morandini)

Grande fotografo sociale, per decenni il brasiliano Sebastião Salgado ha mostrato l’umano, nel suo dolore soprattutto. Wenders e il figlio Juliano Ribeiro raccontano lui e la sua opera, dall’inizio in America Latina fino agli orrori del Ruanda e oltre. L’uomo è l’animale più crudele, dice Salgado, ma capace anche di elevarsi al di sopra di se stesso. Da non perdere. (Roberto Escobar – L’Espresso 31 ottobre 2014)