Cinema e lavoro – La grande scommessa

Un film di Adam McKay (Usa 2015)

Milano, 19.7.2021

Regia: Adam McKay – Sceneggiatura: Adam McKay, Charles Randolph – Fotografia: Barry Ackroyd – Montaggio: Hank Corwin – Musiche: Nicholas Britell – Interpreti: Brad Pitt, Christian Bale, Ryan Gosling, Selena Gomez, Marisa Tomei, Steve Carell, Melissa Leo, John Magaro, Finn Wittrock, Karen Gillan, Max Greenfield, Jeremy Strong, Margot Robbie, Billy Magnussen, Rafe Spall, Hamish Linklater – Produzione: Plan B Entertainment – Distribuzione: Universal Pictures Italia – Durata: 130 min.

Tra il 2007 e il 2008 l’America è travolta da una crisi finanziari, provocata dal fallimentare mercato immobiliare che si regge sulla concessione di mutui ad alto rischio e alla vendita di obbligazioni che hanno come garanzia debiti difficilmente sanabili. Due anni prima del collasso finanziario, il manager Michael Burry analizza la situazione economica americana e si rende conto che la crisi è imminente. Ipotizzando che il crollo avverrà nel secondo trimestre del 2007, Burry decide di trarre profitto dal catastrofico evento con la creazione di un sistema di copertura del rischio di credito, che gli consenta di sfidare il mercato immobiliare. Nonostante la manovra di Burry sembri azzardata, il dirigente della Deutsche Bank Jared Vennett decide di investire nel progetto del manager. Vennett coinvolge il trader Mark Baum e il suo team e, quando il mercato collassa improvvisamente, l’uomo arriva a guadagnare una cifra spropositata. Mentre Burry incassa il 489% di utile, i due inesperti investitori Charlie Geller e Jamie Shipley sono persuasi dalle parole di Vennett e decidono di aderire al sistema di rischio credito. Grazie all’aiuto dell’esperto banchiere Ben Rickert Charlie e Jamie sono tra i pochi sopravvissuti al disastro finanziario. Disgustato dalla prospettiva di trarre profitto dalla bancarotta di milioni di famiglie americane, Rickert farà una scelta azzardata mentre gli investigatori indagano sul sistema ideato da Burry…

Il film, premiato con l’Oscar per la sceneggiatura, è un’opera che aiuta a comprendere i meccanismi della crisi e come tale è da diffondere in ambiti formativi. Essa si ispira a fatti e persone reali compreso il vero Michael Burry che appare nel film in un breve cameo.

LA CRITICA

Il film racconta la scoperta più o meno contemporanea da parte di alcuni uomini della gigantesca “bolla” cresciuta in seno al mercato immobiliare e destinata a scoppiare un paio d’anni dopo con effetti disastrosi. Com’è possibile conciliare lo spettacolo cinematografico, e il tasso fisso d’intrattenimento che deve assicurare, con il racconto di un crack finanziario, dove i protagonisti hanno nomi quali CDO e AAA e la cosa si fa appassionante man mano che si complica? Beh, The Big Short (letteralmente: “il grande scoperto”) dimostra che è possibile; scommette contro le regole date per marmoree del racconto filmico mainstream e vince. Anzi, dati il paradosso a monte e la sorpresa a valle, si può affermare che il film di Adam McKay stravinca, lasciando lo spettatore piacevolmente preso in contropiede. Questo gioco al ribaltamento sulle aspettative di un pubblico ignaro e impreparato, che funziona bene ad una prima visione, non esaurisce però i meriti del film, che poggia invece su un’architettura narrativa solidissima, ispirata dal libro di Michael Lewis che sta alla base del copione, e su un potente e stratificato ritratto dei personaggi, dove la dimensione della star platealmente travestita e trasformata si assomma al personaggio socialmente eccentrico (ma, in fondo, più vero e all’opposto dello stereotipo) e ad un’avvisaglia di back-story, tutt’altro che leggera, nei casi di Christian Bale e Steve Carell, che li conferma protagonisti assoluti. Verboso e nevrotico, il film di McKay è anche punteggiato di alcune riuscite trovate autoironiche, quali la scelta di lasciare le spiegazioni più tecniche a Margot Robbie o Selena Gomez, riprese in contesti vergognosamente deputati al lusso e al piacere, e interpellate col loro nome, “bucando” così la parete della mezza finzione per sconfinare comunque in un altro artificio. Alla fine dei conti, però, l’affondo che porta il film alla vittoria, riporta il castello di carte ad un terreno di scontro umano e comune: alla scelta personale che Baum/Carell è obbligato a compiere al termine della sua crociata e all’epilogo storico e giuridico della grande truffa delle banche. Un epilogo onesto e amaro, in cui il tasso variabile che oscilla più spaventosamente non è quello del mutuo ma della morale. (Marianna Cappi – MyMovies)

Al suo 7° LM (di cui solo 2 usciti in Italia) McKay, anche sceneggiatore con Charles Randolph, ha cavato dal romanzo The Big Short: Inside the Doomsday Machine (2010) di Michael Lewis quello che tecnicamente è un documentario sulle cause dell’attuale grande depressione mondiale. Ma è riuscito a trasformarlo in un thriller finanziario mozzafiato che è al tempo stesso un giallo a soluzione anticipata carico di suspense, una satira tagliente e arguta dei cowboy della finanza USA e un’opera di raffinata e benemerita divulgazione scientifica. Il segreto della sua magia è mostrare, in parallelo, la faccia virtuale della Borsa e la corrispondente faccia reale delle cose fisiche e delle singole vite umane. Cast formidabile e medaglia d’oro a Pitt che l’ha anche prodotto. Da vedere a scuola per far capire come va il mondo. Magari per cambiarlo. (Morando Morandini)

È inutile fingere: ci sono uomini per i quali il profitto, il guadagno a tutti i costi, è una vera ragione esistenziale, una sorta di bussola attraverso cui orientarsi nella vita. Giusto o sbagliato, è un aspetto – politico e sociale – che non si può trascurare e che ha dato origine ad alcune delle crisi economiche più deleterie della storia. Dal crash di Wall Street nel 1929, primo tassello di un puzzle che nel tempo avrebbe portato alla Seconda Guerra Mondiale, allo scandalo dei mutui subprime nel 2007, caso altrettanto devastante che colpì tante famiglie costrette a veder svanire il sogno di possedere una casa. La grande scommessa – travolgente film diretto da Adam McKay – è quella compiuta dal medico e manager Michael Burry (Christian Bale), protagonista di un’incredibile, verissima, vicenda di speculazione. Vincitore con pieno merito dell’Oscar per la Migliore sceneggiatura non originale, il film di McCay è un adattamento del libro di Michael Lewis The Big Short – Il grande scoperto, rappresentazione molto accurata di un tipico episodio di finanza “cruenta”. Qual è dunque la vera storia di La grande scommessa? Il dottor Michael Burry aveva una grande passione: fare soldi. La esercitava con rimarchevole abnegazione, tanto da avere un blog e decidere, dopo qualche tempo, di aprire un fondo comune d’investimento, utilizzando un’eredità e i prestiti di alcuni familiari. La sua società – la Scion Capital – era alla costante ricerca di affari d’oro. Fu dall’analisi della situazione del mercato immobiliare che Burry trovò la scintilla giusta. Milioni di americani avevano acceso i cosiddetti mutui subprime, finanziamenti erogati dalle banche a cattivi creditori o a persone con bassa capacità di rimborso. Secondo la formula 2/28 le banche concedevano ai loro clienti un basso tasso di interesse fisso per i primi 2 anni, passando a quello variabile per i 28 successivi. Naturalmente, se i creditori non avessero potuto pagare (lo scenario più credibile) avrebbero perso la propria casa e le abitazioni sarebbero finite nelle mani degli istituti, liberi di rivenderle ad un prezzo maggiorato. Burry, però, captò prima degli altri la verità: il numero di quei beni immobiliari sarebbe stato altissimo. Così tanto da abbassarne il valore e da provocare un vero effetto domino dagli esiti catastrofici. Un collasso totale che coinvolse gli investitori, come quelli interpretati da Steve Carell e Ryan Gosling, e naturalmente i grandi gruppi bancari. Fedele al motto investire poco per guadagnare tanto – relativamente poco, considerati gli strali dei partecipanti al suo fondo di garanzia – Burry offrì ai principali istituti del Paese e del mondo un prodotto ad hoc: il Credit Default Swap. Si trattava di una sorta di assicurazione al contrario. Burry si impegnava ad effettuare alle banche il versamento periodico di un premio assicurativo su un evento nefasto ipotetico (il crollo del mercato immobiliare, appunto), ottenendo in cambio il pagamento di una mega indennità in caso di crash. Certe di essere al sicuro, le banche accettarono di buon grado l’offerta. In fondo avrebbero dovuto solo introitare dei soldi su un medio o lungo termine. Burry, però, sapeva esattamente cosa sarebbe successo, ci ha puntato tutto e ha vinto. A soli 37 anni ottenne un profitto di 100 milioni di dollari per sé stesso e 700 milioni per i suoi investitori. Il suo fondo inoltre venne chiuso con un +487% e un profitto di oltre due miliardi di dollari. Dirà poi: «Io ho capito che la crisi stava arrivando, perché la Fed [la banca centrale degli Stati Uniti] non l’ha capito?». Il fallimento di tutte le principali attività finanziarie del Paese, dunque, fu la conseguenza primaria di un meccanismo che si reggeva su investimenti tossici – come i mutui subprime e le obbligazioni di debito collateralizzate – fatti passare per l’esatto contrario da agenzie di valutazione compiacenti. Così, mentre i Burry di turno si arricchivano, migliaia di famiglie perdevano la propria casa. Michael Moore lo aveva raccontato nel documentario del 2009 Capitalism: A love story. Anche quella, così come La Grande Scommessa, una storia verissima. (Francesca Fiorentino – The Hot Corn)