Cinema e lavoro – Mammuth

Un film di Benoît Delépine e Gustave Kervern, (Francia 2010)

Milano, 6.5.2020

Regia: Benoît Delépine e Gustave Kervern – Sceneggiatura: Benoît Delépine, Gustave de Kervern – Fotografia: Hugues Poulain Musiche:Gaëtan Roussel – Montaggio: Stéphane Elmadjian – Interpreti: Gérard Depardieu, Yolande Moreau, Isabelle Adjani, Miss Ming, Anna Mouglalis, Benoît Poelvoorde – Distribuzione: Fandango – Durata:90 min.


Mammuth, lavora in un mattatoio. E’ un tipo grosso e poco loquace. Ha appena compiuto 60 anni e i suoi colleghi gli hanno organizzato una piccola festa di addio perché sta per andare in pensione. Mammuth lavora da quando ha 16 anni e da allora non ha mai saltato un solo giorno di lavoro. Quando va a ritirare la pensione, gli viene detto che 6 dei suoi precedenti datori di lavoro non gli hanno mai versato i contributi e che spetta a lui provare che ha lavorato in tutti questi anni. Spi
nto dalla moglie, il nostro eroe inforca la sua vecchia moto, una Mammuth degli anni 70 a cui deve il suo soprannome, e decide di tornare sui luoghi della sua giovinezza. Durante il suo viaggio, incontra vecchi colleghi, amici e parenti persi di vista da anni. Poco a poco si rende conto che all’epoca tutti lo consideravano un imbecille…


Il ritorno dei due registi di Louise Michel con un ottimo film sul rapporto tra vita e lavoro.


LA CRITICA


Non capita oramai molto spesso da essere spiazzati dalla visione di un film, di rimanere letteralmente a bocca aperta dalla follia di immagini che vediamo scorrere sullo schermo. Accade vedendo il nuovo film di Benoit Delépine e Gustave Kervern, Mammuth. I due vengono da anni di televisione in Francia, la loro comicità stralunata dimostrata in molte serie di sketch li ha portati al cinema, ma passando per la via impervia dei piccolissimi budget, dei festival d’autore. I loro film sono stati presentati a Rotterdam, a San Sebastian e finalmente la consacrazione con il concorso a Berlino.Un uomo di 60 anni arriva alla meritata pensione dopo tanti anni: mai un giorno di malattia, sempre presente e disponibile. Scopre però che alcuni suoi vecchi datori di lavoro si sono “dimenticati” di versargli i contributi. Allora, su consiglio della moglie, inzierà un viaggio sulla sua moto “Mammuth”, che non guida da anni, alla ricerca del suo passato e dei contributi che gli spettano. Sarà occasione per scoprire meglio come la sua vita sia stata condizionata dalla morte in un incidente, con lui alla guida, della sua fidanzata da giovane, che apparirà come “angelo custode” e con le fattezze, ahinoi segnate dal tempo, di Isabelle Adjani. Mammuth, rispetto a Louise Michel, è un film dall’umorismo sicuramente meno dark e acido in cui i registi finiscono per amare il proprio protagonista, un candido, un gigantesco corpaccione pieno di una goffagine tanto esilarante quanto in molte situazioni tenera. Un percorso pieno di ostacoli che, attraverso un altro personaggio candido e “poco normale” come quello di una nipote incontrata in viaggio, diventerà un percorso di rinascita. Un film che probabilmente non sarebbe esistito senza Gérard Depardieu, generoso e forse unico nel prestare tutta la sua fisicità, segnata dall’età e dai chili di troppo, con un coraggio straordinario in una performance che potrebbe ricordare Jack Nicholson in A proposito di Schmidt o Mickey Rourke in The Westler. Mammuth è sicuramente più pretenzioso, più autoriale di Louise Michel, anche formalmente, girato com’è su una pellicola Super16 ritoccata in maniera da risultare molto sgranata, estrema. Ogni inquadratura lavora su più piani di visione, con personaggi che si muovono e cose che accadono, spesso spiazzanti, all’estremo dell’immagine. Ma è difficile non farsi travolgere e conquistare dalla creatività di questo film, dal suo coraggio e dalla sua follia. Alcune situazioni comiche, poi, specie all’inizio, sono letteralmente esilaranti. Quando avrete visto Mammuth, muoversi fra le macchine parcheggiate con un carrello del supermercato non sarà più lo stesso. (Mauro Donzelli – Coming Soon)


I reietti che popolano le diegesi di Mammuth e i loro antidonquisciotteschi itinerari (non hanno la consapevolezza di lottare contro dragoni che scambiano per mulini a vento) costituiscono il non plus ultra del disincanto e dello spaesamento identitario. “Mammuth”, cui l’immenso Gérard Depardieu presta anima e corpo, è l’ultimo dei sopravvissuti di un mondo scomparso, il rappresentante di una categoria dimenticata, estremo Angelus novus destinato a essere spazzato via dal vento del “progresso”; un essere che, proprio in ragione di questa condizione di ultimo, accetterà di diventare l’ideale e taciturno portavoce dei perdenti della Storia, lasciandosi andare ad una deriva post-identitaria abnorme come la sua mole, cullato dai fantasmi del passato (la sanguinante e languida Isabelle Adjani) e ridestato dagli affetti del presente (la sempre titanica Yolande Moreau).. (Manuel Billi – Gli spietati)


Depardieu si mette totalmente nelle mani di Delépine e Kervern per questo film che si chiude con una dedica al figlio Guillaume recentemente scomparso e amico dei due registi. La sua mole ormai spropositata invade il film ma, al contempo, se ne lascia trasportare come sulla moto da cui prende il nome. I due registi fanno cinema d’arte allo stato puro a partire dal tipo di supporto visivo estremamente sgranato che utilizzano per le riprese. Loro obiettivo è mostrare l’assurdità di una società che rinserra un uomo in un posto di lavoro alienandolo così da un tessuto sociale che si è trasformato e ha fatto proprio dello sfruttamento dell’opera altrui uno dei cardini della sua sopravvivenza. Delépine e Kervern sono molto abili, nella prima parte del film, a sottolineare, con efficaci tratti di comicità surreale, il disagio che pervade un protagonista costretto a rientrare in un quotidiano che aveva rimosso dalla sua vita. Così come sanno accompagnarlo nelle prime tappe del viaggio in cui entra in contatto con un’umanità varia nei confronti della quale non sa bene come reagire. Il film però finisce con il perdere di vigore nell’ultimo terzo quando si vuole forzare sul registro dell’astrazione finendo con il dare l’impressione di un’improvvisazione un po’ fine a se stessa. Mammuth parte su una moto rombante e torna alla fine del viaggio in motorino. È un po’ quello che succede alla sceneggiatura. (Giancarlo Zappoli – MyMovies)