Cinema e lavoro nel 1952

Gli anni ’50 sono anni particolarmente ricchi dal punto di vista della produzione cinematografica. Il dopoguerra con la brama di informazioni sugli altri popoli e di divertimento dopo la parentesi dittatoriale, lo spirito nuovo che nasce dallo sforzo ricostruttivo fanno del cinema il luogo più frequentato, in attesa dell’arrivo della televisione. La produzione italiana, sull’onda del neorealismo, si divide tra quella socialmente impegnata e quella puramente di evasione mentre tra le produzioni straniere si assiste, soprattutto sull’onda del divismo, ad un’esplosione del cinema classico hollywoodiano.
In questa alacrità produttiva la quantità di opere significative si amplia, anche se quelle che riguardano il tema del lavoro non sono particolarmente numerose data la presenza opprimente della censura sia da noi che negli Stati Uniti, a seguito dell’acutizzarsi della “guerra fredda” che rende sospettosi di comunismo tutti i film che trattano il tema con intenti non puramente parodistici o divertenti.
Il 1952 da questo punto di vista è significativo.
A fronte di opere particolarmente significative come “Umberto D” (uno dei capolavori del neorealismo) si assiste alla nascita di piccoli capolavori del cinema di evasione come “Cantando sotto la pioggia” della coppia Stanley Donen Gene Kelly o di western classici come “Mezzogiorno di fuoco” per la regia di Fred Zinnemann ed interpreti quali Gary Cooper e Grace Kelly.
Passiamo dunque come al solito in rassegna, prima di addentrarci nel territorio della rappresentazione del lavoro, le principali opere dell’anno.
Due film svettano: il già citato “Umberto D” di Vittorio De Sica ed il giapponese Vita di O-Haru, donna galante del grande Kenji Mizoguchi.
Il primo affronta un tema ancora fortemente attuale nel nostro paese: la disperazione e la solitudine degli anziani che, oramai in pensione, si trovano poveri economicamente ed incapaci, in quanto persone dotate di una dignità, di ridursi a mendicare. Il mondo del lavoro qui appare solo nella figura degli ex colleghi che, purtroppo, sono visti come dei privilegiati.
Il film di Mizoguchi, ambientato nel Giappone del XVII secolo, racconta la storia di O-Haru, donna della piccola nobiltà che si innamora di un giovane di classe inferiore e per questo trattata come prostituta e venduta come concubina.
Si tratta di uno dei grandi film di denuncia della condizione della donna raccontata in modo implacabile ma anche con grandi momenti di tenerezza.
Innumerevoli le altre opere di notevole spessore. Citiamo tra le molte, “Casco d’oro” di Becker, “Il corsaro dell’isola verde” di Robert Siodmak, “Luci della ribalta” di Charles Chaplin e “Vivere” di Akira Kurosawa (altre grandi meditazioni sulla vecchiaia), “El” di Luis Buñuel oppure una deliziosa commedia come “Il magnifico scherzo” di Howard Hawks od ancora l’omaggio all’Irlanda di John Ford in “Un uomo tranquillo”.
Tornando in Italia, da segnalare “Il cappotto” di Alberto Lattuada, storia di un umile scrivano comunale che aspira ad un avanzamento nella scala sociale, e “Processo alla città” di Luigi Zampa sulla corruzione a Napoli.
Il 1952 è anche l’anno del debutto del colore in Italia con il bel “Totò a colori” per la regia di Steno.
Ma veniamo al nostro tema: il film italiano che emerge è Roma, ore 11 di Giuseppe De Santis, storia vera di una ventina di donne che, richiamate da un annuncio che promette un lavoro, affollano una scala che crolla. Un film ricco di personaggi, ognuno con una storia di disoccupazione o di frustrazione, che rappresenta una delle ultime opere del neorealismo.
Sullo stesso episodio, nello stesso anno, viene girato da Augusto Genina “Tre storie proibite” ma il film rifugge dal tema della condizione sociale per concentrarsi solo sulle storie singole e con risultati nettamente inferiori.
In epoca di divismo imperante anche il mondo del fotoromanzo attirava le aspirazioni delle giovani ed a questo mondo Fellini dedica il suo primo film: “Lo sceicco bianco”.
Nel genere commedia hanno successo i film sulla famiglia Passaguai: “La famiglia Passaguai fa fortuna” e “Papà diventa mamma”, ambedue diretti ed interpretati da Aldo Fabrizi. Si tratta della storia di un disoccupato che si lascia coinvolgere in una speculazione edilizia nel primo caso e di un commerciante di stoffe oppresso dal lavoro che si fa ipnotizzare nel secondo caso.
Tre ragazze che lavorano in una grande sartoria sono invece al centro dell’attenzione di Luciano Emmer nel film “Le ragazze di piazza di Spagna”.
Anche i film di Totò si ispirano a personaggi che appartengono al mondo del lavoro: un archivista ministeriale in “Totò e i re di Roma” di Mario Monicelli ed un anziano commesso in “Totò e le donne”, sempre di Monicelli in coppia con Steno.
Una fiaba di Franciolini, “Buongiorno, elefante!” vede come protagonista un maestro di scuola pieno di debiti che si improvvisa cicerone ma oramai siamo di fronte ad opere meno interessanti anche se di discreto successo.
Diamo allora un’occhiata all’estero partendo dal mercato americano.
Una descrizione di del mondo del rodeo e degli effetti dei facili guadagni si trovano nel bel film “Il temerario” di Nick Ray.
I diritti dei contadini oppressi dai proprietari terrieri sono la molla rivoluzionaria in Viva Zapata! di Elia Kazan mentre un industriale aeronautico che espone a rischi mortali la vita dei suoi piloti è il protagonista de “Ali del futuro – Oltre la barriera del suono” di David Lean.
Negli Stati Uniti spesso si parla, impropriamente, di “sindacati del crimine” che fanno parte della criminalità organizzata. In questo anno un’inchiesta del senatore Estes Kefauver ispira ben due film: “La città prigioniera” di Robert Wise e “L’impero dei gangsters” di Joseph Kane con il secondo meno riuscito del primo.
Una bella sequenza sul mestiere dei pescatori introduce “La confessione della signora Doyle” di Fritz Lang mentre due bei film si occupano del mondo del giornalismo: “Park Row” di Samuel Fuller e “L’ultima minaccia” di Richard Brooks.
Altri mestieri esaminati dal cinema sono quello del circo in “Il più grande spettacolo del mondo” di Cecil B. De Mille, quello dei paracadutisti del servizio anti-incendi in “Duello nella foresta” di Joseph M. Newman o dei boscaioli, sempre alle prese con incendi, in “L’urlo della foresta”. Ma si tratta decisamente, ad esclusione del film di De Mille, di film minori.
Per concludere si segnala un film spagnolo sul piano Marshall di Luis García Berlanga che ottenne anche dei premi a Cannes. Si tratta di “Benvenuto, Mister Marshall!”, uno dei pochi film interessanti nella Spagna franchista.