Il 1958 è l’anno nel quale escono nelle sale capolavori come "L’infernale Quinlan" di Orson Welles,
o il meno conosciuto La leggenda di Narayama (titolo originale Narayama Bushi-Ko)
di Keisuke Kinoshita. Quest’ultimo film, del quale Shohei Imamura farà
uno splendido remake 25 anni dopo (La ballata di Narayama), racconta in modo drammatico come, in un povero villaggio nel nord
del Giappone, la legge della sopravvivenza opera: per diminuire il numero delle persone improduttive da sfamare essa impone di portare
sul monte le persone anziane ed abbandonarle. Film sulla tragica inutilità della vecchiaia che andrebbe recuperato, "La leggenda di Narayama"
non è la sola grande storia sulla povertà che esce durante la stagione. Luis Buñuel infatti gira nello stesso anno "Nazarin",
storia di un giovane sacerdote che vive tra i poveri. Altri film notevoli nell’anno considerato sono "Cenere e diamanti" di Andrzej
Wajda, riflessione sul dramma della Polonia in guerra, "La donna che visse due volte" di Alfred Hitchcock, una perversa
storia d’amore, La fortezza nascosta di "Akira Kurosawa" avente come protagonisti due contadini in missione in territorio nemico, il
western "Furia Selvaggia" di Arthur Penn sulla vicenda di Billy the Kid, ed il divertente Mio zio, film ecologico di Jacques
Tati. In Italia si afferma la commedia, appunto all’italiana, con il grande successo de "I soliti ignoti" di Mario Monicelli,
anch’esso sull’arte di arrangiarsi per sconfiggere il dramma di una vita stentata. Non vanno neppure dimenticati film come "Il volto"
di Ingmar Bergman, "Il trapezio della vita" di Douglas Sirk o "Missili in giardino", una satira sul modo di vivere
americano operata da Leo McCarey. Ma veniamo al tema del lavoro. Anno non brillante in merito: lezioni di mestiere di un cow boy ad un
portiere d’albergo sono il tema di "Cowboy" di Delmer Daves e, per restare nel genere, interessante la vita dell’allevatore
di montoni offerta da La legge del più forte di George
Marshall. Come da tradizione non manca neppure un bel film sul mestiere di giornalista e la sua etica: nel 1958
tale compito spetta a "Dieci in amore" di George Seaton. Una buona descrizione dell’ambiente teatrale e della durezza dell’apprendistato
nello spettacolo si ha invece in "Fascino del palcoscenico" di Sidney Lumet. Un film sul denaro con protagonista un disoccupato
assunto in una azienda agricola e sospettato di essere un piromane è "La lunga estate calda" di Martin Ritt. Sempre in ambiente
agricolo, ma con un inno alla terra, è il film di Anthony Mann Il piccolo campo. Per terminare la panoramica americana restiamo
nel genere western con un’opera anomala dove il vendicatore delle ingiustizie è un pescatore svedese. Titolo: "Il terrore del Texas",
di Joseph H. Lewis. Venendo in Europa vale la pena di segnalare una interessante critica satirica sul miracolo economico tedesco
nel film "La ragazza Rosemarie" di Rolf Thiele. Anche in Europa comunque vanno per la maggiore le storie legate alla terra
tanto che si registra un western inglese di Raoul Walsh. Si tratta de "La bionda e lo sceriffo" dove lo sceriffo del titolo
è un fabbro londinese trasferitosi nel west. Anche se poco riuscito come film si gira una pellicola ("Terra nuda" di Vincent Sherman)
su un contadino irlandese che emigra in Africa per trovare lavoro; insomma l’ambiente rurale va per la maggiore… Anche l’ambiente
marinaro trova i suoi film: si gira infatti il primo Titanic (dal titolo "Titanic, latitudine 41 Nord") per mano di Roy Ward Bakermentre,
mentre Carol Reed ambienta in un mondo di comandanti di rimorchiatori il film drammatico La chiave. John Ford emigra
in Inghilterra per raccontare la giornata di un ispettore in "24 ore a Scotland Yard" mentre in Francia Marcel Carnè ritrae
i giovani del quartiere latino in "Peccatori in blue jeans". Virtù come fedeltà e tenacia dei giapponesi sono rappresentate da "L’uomo del risciò" di Hiroshi
Inagaki che, con la storia di un tiratore del mezzo di trasporto, conquistò il primo premio a Venezia. Ed in Italia cosa dice
il nostro cinema a proposito di lavoro? Ebbene, per trovare un protagonista operaio, in questo caso un quarantenne romano, dobbiamo
proprio rivolgerci al cinema italiano ed in particolare a Pietro Germi che gira
L’uomo di paglia sullo stesso stile de "Il ferroviere" del quale abbiamo già parlato
trattando dei film del 1956. Seppur di produzione spagnola anche il nostro Marco Ferreri
mette in campo la vita di un impiegato ne El pisito, film sulla crisi degli alloggi
a Madrid. Una analisi politica della camorra e del suo controllo sul mercato ortofrutticolo viene invece svolta dall’opera prima di
Francesco Rosi "La sfida". Un film corale che accenna anche alla solidarietà di classe è il non riuscitissimo "La strada lunga un anno"
di Giuseppe De Santis. Infine una curiosità: un film che si ispira ai primi problemi provocati dai turni di lavoro è il mediocre
"Amore e guai" di Angelo Dorigo. Qui tra i protagonisti una coppia che non riesce mai ad incontrarsi appunto per la diversità
dei turni di lavoro. Un anno, il 1958, non rilevante sotto il profilo dei film che si occupano di lavoro ma dove, comunque, il cinema
italiano è il solo a mettere in scena alcune problematiche operaie.