Cinema e lavoro nel 1970

"Locandina

"LocandinaNell’anno considerato prosegue l’epopea
della dissacrazione di un genere così profondamente americano come il western. Sam Peckinpah,
autore nel precedente anno de "Il mucchio selvaggio" ci consegna La ballata di Cable Hogue,
film grottesco che mette in discussione gli eroi che "si sono fatti da soli" e denuncia il ruolo del capitalismo nella leggenda della
frontiera. La smitizzazione del genere prosegue con "Piccolo grande uomo" di Arthur Penn, film di denuncia sullo sterminio
degli indiani, portatori di una cultura più umanistica e rispettosa della natura e delle persone. Stessa posizione assunta da Soldato blu di Ralph Nelson, mentre un autore
classico come Joseph L. Mankiewicz dirige un interessante western carcerario come "Uomini e cobra". L’ennesimo western "pro
indiani" è infine "Un uomo chiamato cavallo" di Elliot Silverstein. La fine di una epopea raramente ha dato in un solo anno
prodotti così memorabili. La stessa cosa non si può dire dei film sul lavoro anche se, almeno in ambito nazionale, qualche buon prodotto
si trova. Ma andiamo con ordine… Oltre al western il cinema americano offre altre opere importanti come i due film di Robert
Altman
"M.A.S.H." e "Anche gli uccelli uccidono" o "Cinque pezzi facili" di Bob Rafelson. Vi sono in questi film tutta
la disillusione sull’America: la satira sulla guerra (era la Corea ma tutti pensavano al Vietnam), l’apologia sulla rivolta giovanile
e l’inquietudine di una generazione. Altri film americani da segnalare, in un anno produttivo sono "Il clan dei Barker" di Roger
Corman
, "I killers della luna di miele", unico film del musicista Leonard Kastle, "Mariti" di John Cassavetes,
"Una squillo per l’ispettore Klute" di Alan J. Papula e un film sulla dolorosa esperienza omosessuale come "Festa per il compleanno del caro amico Harold"
per la regia di William Friedkin. La critica alla società americana e al capitalismo passa anche attraverso l’opera di Jerry
Lewis
"Scusi, dov’è il fronte?" ed il film militante "Ice" di Robert Kramer. Anche il genere musicale si evolve con i
film dedicati ai concerti a partire da quello che è considerato il simbolo di un’epoca come "Woodstock" di Michael Wadleigh
fino al bel film di Albert e David Maysles che con Charlotte Zwerin girano "Gimme Shelter" su un concerto dei Rolling
Stones funestato da un incidente mortale. Dal Giappone arriva invece un film corale ambientato tra i poveri di Tokio: si tratta di
"Dodès’ka-dèn" di Akira Kurosawa. La produzione inglese si impone a Cannes con "Messaggero d’amore" di Joseph Losey
e produce un inconsueto ritratto di uno degli eroi polizieschi inglesi con "La vita privata di Sherlock Holmes" diretto da Billy
Wilder
. In Polonia si impone Wajda con "Paesaggio dopo la battaglia" e in Germania si fa strada l’estremismo cinematografico
di Herzog con "Anche i nani hanno cominciato da piccoli". I cineforum scoprono un nuovo autore nel greco Théo Anghelopulos
autore di "Ricostruzione di un delitto" e non si fanno sfuggire "Tristana" di un maestro come Luis Buñuel. Il noir francese
invece produce uno dei suoi capolavori: "I senza nome" di Jean-Pierre Melville. L’Italia non è da meno… conquista l’Oscar
come miglior film straniero con "Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto" di Elio Petri ma soprattutto si impone
Bernardo Bertolucci con "Il conformista" e "Strategia del ragno". Un collaboratore di Pasolini come Sergio Citti
esordisce con "Ostia", inaugurando un modo di girare personalissimo raccontando storie drammatiche con un tocco fortemente sentimentale
e favolistico. Anche Luigi Zampa tenta un film in sintonia con l’epoca: "Contestazione generale" con ritratti di un regista
anarchico, di un industriale e di un prete che vorrebbe sposarsi, ma l’operazione non è all’altezza delle intenzioni. Ma veniamo al
nostro tema. Come si è già visto la critica al capitalismo è già fortemente presente nella produzione di oltre oceano ma di lavoro
parla un regista esule polacco come Jerzy Skolimowski rendendo benissimo la struggente storia di una inserviente adolescente
ne "La ragazza del bagno pubblico". Il film del polacco americano Skolimowski si caratterizza per il riuscito ritratto della quindicenne
alle prese con una cotta amorosa in un quartiere operaio di Londra descritto magnificamente. Il ritratto di un operaio razzista è invece
l’oggetto dell’opera di John G. Avildsen nel violento "La guerra del cittadino Joe". Il film di Avildsen
(il futuro regista di Rocky) sarà al centro di molte polemiche per la sua violenza in quanto il protagonista si dedica a far strage
di giovani hippy. Una operaia attrice è invece protagonista del film russo "Nacalo" diretto da Gleb Panfilov. "Locandina"LocandinaUn film non molto riuscito ma curioso proviene dalla Gran Bretagna. Si tratta de "L’uomo che uccise se stesso"
di Dearden su un dirigente industriale alle prese con un sosia che gli sta rubando il lavoro. Tra le storie di disoccupazione
determinata dalla tecnologia ve n’è una curiosa raccontata nella commedia americano-irlandese "Che fortuna avere una cugina nel Bronx"
di Waris Hussein. Si tratta del lavoro di raccolta delle cacche dei cavalli rivenduti come fertilizzanti inventato da un irlandese…
peccato che poi arrivano le auto a sostituire i cavalli… Ma il tema del lavoro è affrontato soprattutto dal cinema nazionale con
"I recuperanti" di Ermanno Olmi, La califfa di Alberto
Bevilacqua
, e Metello di Mauro Bolognini.
Il film di Olmi, pochissimo distribuito e recuperato successivamente dalla televisione, parla di un mestiere inusuale legato alla guerra:
quello dei reduci del dopoguerra dell’altipiano di Asiago che si dedicano, in mancanza di altro lavoro, al recupero dei residuati bellici
per rivenderne il metallo. Scritto insieme a Mario Rigoni Stern, il film ci porta nel dopoguerra dolomitico, mostrando i personaggi
reali, anche grazie allo straordinario attore non professionista Antonio Lunardi. La califfa invece è la storia di un amore che tende
a superare gli odi di classe. Protagonista è la vedova di un operaio ucciso durante una manifestazione che si innamora del padrone
dell’azienda ove lavora. Con il dramma che ne consegue. Infine Metello ci riporta alle lotte operaie della fine ottocento con il ritratto
di un giovane muratore fiorentino alle prese con le prime lotte sindacali di ispirazione socialista. Riprendendo il romanzo di Vasco
Pratolini, Bolognini riesce a ridare l’atmosfera di un periodo storico pieno di conflitti nella prospettiva di una lotta per una maggior
giustizia sociale.