Milano, 15.1.2015
Il 1999 è l’anno nel quale il cinema italiano conquista l’Oscar con La vita è bella di Benigni ma è anche un anno di guerra alle nostre porte in Jugoslavia con i bombardamenti sulla Serbia. Cinematograficamente lo si ricorda per una grande perdita: muore infatti Stanley Kubrick dopo averci consegnato Eyes Wide Shut. Altri film degni di menzione sono Accordi e disaccordi per la regia di Woody Allen, la bella storia d’amore che affronta anche il tema della povertà girata da Bernardo Bertolucci con L’assedio, La fortuna di Cookie di Robert Altman, Ghost Dog – Il codice del Samurai di Jim Jarmusch, Una storia vera con la regia di David Lynch e Tutto su mia madre di Pedro Almodóvar. Altri interessanti film sono passati quasi sotto silenzio come nel caso di Topsy-Turvy ( regia di Mike Leigh) o de La lettera del decano Manoel de Oliveira per non citare registi meno conosciuti come Bakhtiar Khudojanazarov che gira Luna Papa . Il box office premia invece American Beauty di Sam Mendes, Matrix dei fratelli Andy e Larry Wachowski, Il sesto senso di Manoj Night Shyamalan o l’episodio 1 di Guerre stellari: Star Wars Episodio I – La minaccia fantasma di George Lucas. Buon successo anche per le due commedie interpretate da Julia Roberts: Se scappi, ti sposo di Garry Marshall e Notting Hill di Roger Michell oltre che per il Tarzan disneyano.
Tra i film che hanno conquistato il pubblico anche Il gusto degli altri della tunisina di origine ebrea Agnes Jaoui; ma di questo film ne accenneremo dopo.
Avventuriamoci dunque nella esplorazione sui film che in qualche modo parlano di economia e lavoro per trovare qualche piacevole sorpresa.
Il cinema americano offre poche pellicole degne di nota: Insider – Dietro la verità di Michael Mann che racconta il mercato del tabacco e lo scandalo degli additivi aggiunti per rafforzare l’assuefazione al fumo che ebbe ben 7 candidature agli Oscar vincendone nessuna; 24 ore donna, film di Nancy Savoca ,in parte prevedibile, che però affronta il tema del rapporto tra maternità e lavoro e tra famiglia e carriera. Si parla di lavoro anche se in un mercato all’aperto nel film Agnes Browne di Anjelica Huston, storia di una vedova alle prese con la povertà, una famiglia numerosa, e lo strozzinaggio che sa però trasmettere ai figli la dignità.
Dall’Argentina arriva invece a Venezia nella settimana della critica Mondo grua di Pablo Trapero che, come si evince dal titolo, racconta di un manovratore di gru costretto ad andare in Patagonia per trovare lavoro ed, attraverso i suoi occhi, la crisi argentina e la realtà operaia di quel paese. Anche in questo caso un film dove l’affermazione della propria dignità diventa lo scopo principale. Nonostante fosse girato in bianco e nero sgranato e di non facile lettura il film ebbe un discreto successo sia nei festival che al botteghino.
Passiamo in Gran Bretagna per segnalare un paio di film diretti con mano femminile. Il primo è Janice Beard segretaria in carriera per la regia di Clare Kilner; storia di una ragazza che trova lavoro in una compagnia automobilistica per pagare le costose medicine necessarie alla madre ammalata. Il film racconta le difficoltà di inserimento nel mondo aziendale per poi evolversi in una vicenda di spionaggio industriale.
La seconda opera è il film della regista scozzese Lynne Ramsay che si intitola Ratcatcher, ambientato a Glasgow durante lo sciopero dei netturbini, segue le vicende di un adolescente alla ricerca di una casa degna ove vivere. Lo sciopero serve per mostrare lo squallore di una realtà come quella della periferia della città scozzese dove i rifiuti che ingombrano le strade raccontano le angosce di un disadattamento adolescenziale.
Ma è dalla Francia che arrivano alcune delle opere più significative. Avevamo già accennato ad Il gusto degli altri, che gira attorno la vicenda di un ricco industriale ma mostra personaggi di ambienti sociali diversi ove temi come la comunicazione ma anche il settarismo diventano l’elemento portante del film.
Ma il miglior film dell’anno in tema di lavoro è senz’altro Risorse umane di Leonard Cantet. Il film segue la vicenda di un laureato in economia aziendale che viene inserito in stage in una azienda ove il padre fa il saldatore ed è ammirato per la carriera del figlio. Alle prese con la legge che porta alle 35 ore settimanali il nostro eroe ne propone una gestione intelligente salvo poi scoprire che l’azienda la sta usando per un progetto di ristrutturazione con conseguente conflitto tra padre e figlio. Si tratta di uno dei pochi film che entrano in merito alla organizzazione aziendale.
Infine non si può dimenticare Rosetta, il capolavoro dei fratelli registi Luc e Jean-Pierre Dardenne, Palma d’oro a Cannes. Il film segue la nostra protagonista, una sedicenne che vive in un carrozzone alle prese con lavori precari e licenziamenti immotivati fino ad arrivare al tentativo di suicidio. Il film è diventato un simbolo dei problemi derivanti dalla disoccupazione tanto che in Belgio il nome Rosetta venne urlato in molte manifestazioni sindacali fino ad ottenere una legge sul lavoro minorile chiamata appunto “Legge Rosetta”.
Anche dall’Italia arrivano alcune opere di rilievo.
Paolo Virzì gira Baci e abbracci, storia di tre operai livornesi disoccupati alle prese con un allevamento di struzzi ed una vicenda di finanziamenti regionali. Il film oltre a consacrare il regista toscano come uno dei maggiori rappresentanti della commedia sociale italiana, riesce a rappresentare il disagio della nostra società quando la decadenza era ancora alle porte.
Decadenza che ha avuto origine anche dalla avidità di alcuni industriali come ben racconta Mario Monicelli in Panni sporchi, graffiante commedia sul denaro e sulla stupidità umana ma anche anticipatrice di quanto la disonestà avrebbe preso piede nel nostro paese.
Anche A casa di Irma di Alberto Bader, regista soprattutto televisivo, prende spunto dalla ricerca del lavoro per raccontare una vicenda di donne che vivono nello stesso appartamento con un bel ritmo ed un umorismo ben costruito.
Ma il film ingiustamente bocciato dal pubblico e pochissimo visto è stato, nel 1999, Non mi basta mai di Guido Chiesa e Daniele Vicari sugli operai della Fiat che avevano partecipato allo sciopero dei 35 giorni nel 1980. A vent’anni di distanza i due registi seguono le vicende di 5 casi raccontandone il loro riciclo ma anche il cambiamento imposto dalla globalizzazione e la sconfitta sindacale che nella vicenda Fiat ha rappresentato una specie di spartiacque tra il passato ed il futuro dell’azienda. Il solo fatto che il film abbia avuto una circuitazione è stato comunque un evento ma non è riuscito a conquistare pubblico. Oggi andrebbe rivisto.